Almeno al congresso del Pd, vince un candidato del Pd. E questa è già una notizia.
Con un pesante calo di affluenza rispetto alle scorse primarie (poco meno di 300mila contro i 460mila del 2009) Renzi prende la maggioranza relativa del voto degli iscritti con il 46,7% dei voti, segue Cuperlo con il 38,4%. Il 9,2% di Civati mostra il limite di appoggio in questa fase del documento che si era presentato come “di sinistra”, salvo poi fare ingloriose ritirate ogni volte che si doveva dare battaglia. Pittella con il 5,7% non parteciperà alle primarie dell’8 dicembre, che decideranno davvero il nuovo segretario.
Sia Renzi sia Cuperlo dichiarano il giorno dopo di aver ottenuto un risultato sopra le aspettative. Suonano come frasi di circostanza in mancanza di uno scarto maggiore, visto che difficilmente si aspettavano un 40% di Pittella, ma denunciano due elementi di verità: da una parte Renzi si afferma oltre che nell’elettorato anche nell’apparato e nel partito, superando lo status di “corpo alieno” con cui veniva descritto in passato; dall’altra la minoranza di Cuperlo, almeno dentro il partito, non è ridotta a una pura e testimoniale residualità, come sembrava fino a poche settimane fa. Cuperlo vince fra l’altro nella maggioranza delle grandi città: Milano, Bologna, Genova, Roma, Napoli, Bari, Palermo, mentre Renzi si afferma soprattutto al Sud oltre che a Torino e Firenze.
Renzi, alfiere della borghesia
Con ogni probabilità l’8 dicembre Renzi sarà eletto ai gazebo segretario del Pd. I sondaggi gli danno il 72% fra chi dichiara che andrà sicuramente o probabilmente a votare.
Da dove è partita la campagna di Renzi? Esattamente un anno fa il Corriere pubblicava il video di una serata di fund raising con il seguente sottotitolo:
“Capitani d’azienda, banchieri, consulenti finanziari e colletti bianchi di vario genere. Ecco i sostenitori di Matteo Renzi, chiamati dal golden boy della finanza, Davide Serra, fondatore del fondo Algebris. (...) Scopo della cena, presso la Fondazione Metropolitan, è raccogliere fondi per sostenere la campagna del sindaco di Firenze. E qualche portafoglio interessante si è visto, il numero uno di Deutsche bank Italia, Flavio Valeri, il presidente di Lazard e Allianz Italia, Carlo Salvatori, l’ex dg di Bpm, Enzo Chiesa, Andrea Soro di Royal bank of Scotland e l’amministratore delegato di Amplifon, Franco Moscetti. Tra gli altri sono stati visti anche giovani manager di Mediobanca e professionisti di diversi studi legali milanesi”.
Insomma, quando Renzi dichiara che “dobbiamo iniziare a dire che vogliamo prendere il voto dei delusi del centrodestra, della Lega” forse non intende proprio quelli dei lavoratori. Si candida ad essere il nuovo portavoce della borghesia italiana capeggiando l’unico partito che apparentemente garantisce un po’ di stabilità vista la disgregazione della destra. Di Berlusconi infatti non critica le politiche antioperaie ma la scarsa affidabilità e responsabilità: troppi interessi personali, troppa poca attenzione agli interessi generali della classe dominante.
La borghesia sogna un partito di riferimento di cui è priva dalla crisi della Dc e apre il portafoglio. E Renzi traccia il programma nel suo documento: ci sono troppi sindacati e troppi sindacalisti, bisogna consentire alle aziende straniere di investire in Italia, ciò che otteniamo dalla dismissione del patrimonio (privatizzazioni) “dovrà essere utilizzato soltanto per ridurre il debito, non producendo ulteriore spesa”, “il Pd non sarà mai subalterno al mercato” ma “proprio per questo (misteri del sillogismo) la politica non può interferire con operazioni economiche e finanziarie”. Viva l’uguaglianza, che però “non significa ugualitarismo (…) significa che chiunque può giocarsela”. Chiunque abbia il fondo Algebris fra i finanziatori, almeno.
Ma c’era proprio bisogno di Renzi per fare tutto ciò? Il Pd ha coerentemente difeso gli interessi della classe dominante, dal governo e dall’opposizione, in tutti questi anni. Sì, ma per la borghesia sono sempre rimasti peccati originari la parziale provenienza dall’apparato Pci e il legame con la Cgil. Quel personale politico era utile ma non era suo. Oggi è messo in minoranza, e il salto di qualità lo denuncia Renzi quando dichiara di D’Alema “è la prima volta che perde un congresso”.
Cuperlo, pedone del centrosinistra (di larghe intese)
La risposta alla scalata di Renzi si è coagulata attorno a Cuperlo. Non esattamente un candidato forte, rispecchiava lo scacco in cui si era trovata la linea Bersani dopo le elezioni. Il “governo del cambiamento”, l’applicazione dell’austerità e del rigore ma con i richiami ai cosiddetti “valori della sinistra”: i lavoratori, gli esodati, la scuola pubblica, gli immigrati, una maggiore uguaglianza, l’interlocuzione con i sindacati, tutti citati in un documento pieno di richiami all’etica, con tanto di citazione di papa Francesco. È la ricetta che chiede amichevolmente i sacrifici, classica del centrosinistra italiano e sdoganata dai partiti socialdemocratici al governo in Europa. Su questa ricetta, e su questo personale politico “amico” punta la Cgil, con diversi dirigenti che hanno espresso pubblicamente il sostegno alla candidatura Cuperlo: Cantone (Spi), Megale (Fisac), Miceli (Filctem), Martini (Filcams). Non sfuggono d’altronde i punti di contatto fra il documento Cuperlo e la bozza del documento Camusso al congresso Cgil.
Questo non fa di Cuperlo e del settore di apparato che si è aggregato attorno a lui il portavoce dei lavoratori nel Pd. A maggior ragione a causa della crisi di strategia della direzione Cgil, che subisce questa situazione e si consegna ostaggio di qualunque governo anziché rilanciare il conflitto sociale. Ciononostante l’avanzata di Renzi ha trovato una resistenza dove, oltre al puro scontro di apparato, riemerge quel settore socialdemocratico che spiegavamo essere esistente, pur residuale e sottomesso all’egemonia borghese nel Pd.
Che ne sarà del Pd?
Questi elementi di fondo si svilupperanno sulla base delle evoluzioni dello scenario sociale e politico, e di certo non in modo lineare. Ciò emerge già dal fatto che chi alza di più i toni contro il governo di larghe intese sia proprio Renzi, che lo fa perché il passaggio da segretario del Pd è solo una tappa nel suo obiettivo di diventare Primo ministro, e quindi ha interesse nel progressivo indebolimento del governo, obiettivo per cui ha usato anche il caso Cancellieri, chiedendo a Letta di esporsi (e quindi compromettersi) in prima persona come condizione per avere il suo appoggio.
Di manovre di questo genere ne vedremo in abbondanza, ma il punto di fondo è che nel prossimo periodo il Pd sarà investito sempre di più da due pressioni opposte. Da una parte la borghesia lo vorrà perno di stabilità governativa, con un occhio di riguardo al “responsabile” Nuovo CentroDestra di Alfano. Dall’altra rimane per milioni di persone a sinistra – nonostante tutto – un riferimento, soprattutto per la mancanza di un’alternativa credibile alla sua sinistra.
Questo passaggio congressuale, e le primarie di dicembre con la probabile vittoria di Renzi, aumenteranno le tensioni all’interno del partito, rendendo sempre più angusto lo spazio per chi guarda a sinistra e al sindacato. Ma la condizione perché queste tensioni portino a una rottura sarà verosimilmente l’esplosione del conflitto di classe, che dovrà supplire alla mancanza di strategia e di coraggio di questi elementi, Civati docet. La lotta dei lavoratori Amt a Genova – di cui parliamo in altri articoli di questo giornale – è un assaggio delle pressioni che si scaricheranno sul Pd.
Si porrà allora in modo stringente a livello di massa la necessità di avere una reale alternativa politica a sinistra. Alternativa politica che riguarderà molto più che un settore del Pd, e in cui bisognerà dare battaglia proprio alle concezioni socialdemocratiche e riformiste che hanno portato in questi anni solo sconfitte e che più di altre sconfitte non possono dare.