All’inizio di quest’anno l’Istat rileva un nuovo record del tasso di disoccupazione, che arriva al 12,9%, il peggiore dato mai registrato dal 1977. La percentuale cresce pesantemente se si considerano solo le giovani generazioni, di cui il 42,4% sono disoccupati.
Nel solo 2013 ci sono stati quasi 500mila occupati in meno, che fanno arrivare a quota 3,3 milioni i disoccupati del nostro paese. Di questi quasi la metà risiede nel Mezzogiorno, dove più del 50% dei giovani è senza lavoro, dato che peggiora ulteriormente se si prendono in esame solo le giovani donne.
Questi dati bastano per confermare che ci troviamo di fronte ad un aumento cronico della disoccupazione come non si vedeva dagli anni ’70; una condizione strutturale che taglia fuori dal mondo del lavoro milioni di persone, di lavoratori espulsi dal processo produttivo, ma anche e soprattutto di giovani che probabilmente non vi entreranno mai.
Il dato sulla disoccupazione non dice tutto sulla reale situazione lavorativa di chi vive oggi in Italia: si calcola che l’80% delle assunzioni avvengano con tipologie di lavoro precario, divenute quindi anch’esse un elemento oramai strutturale. Se a questo si sommano la perdita del potere d’acquisto dei salari dei lavoratori e i tagli allo stato sociale si registra un processo di impoverimento di massa che coinvolge milioni di persone.
La “miseria garantita” di Renzi
Renzi in una delle tante dichiarazioni a difesa del Jobs act aveva sostenuto che “tutti coloro che perdono il posto di lavoro hanno diritto a un sussidio universale”, proposta di cui però ad oggi non c’è traccia nei provvedimenti del governo. La proposta che Renzi aveva paventato ha aperto una discussione su quanto avviene negli altri paesi europei; in diversi di questi infatti, com’è noto, ci sono forme di sussidi per i disoccupati. Ma nelle proposte del Consiglio dei ministri fino ad ora esplicitate non c’è nulla di più di un rimaneggiamento dell’Aspi, il sussidio introdotto dalla Fornero, da cui rimangono esclusi le partite Iva e le altre forme false di lavoro autonomo, gli stagisti o chi ha lavorato in nero, in pratica un terzo degli attuali disoccupati. E, soprattutto, non propone alcun sostegno per coloro che cercano lavoro per la prima volta.
Com’era prevedibile, del resto, l’obiettivo del Jobs act, lungi dal risolvere i problemi occupazionali, specie delle giovani generazioni, è quello di andare verso un ulteriore aumento della precarietà. In realtà nelle condizioni attuali qualsiasi proposta sulla universalità del welfare non fa altro che condurre ad un allineamento verso il basso delle tutele di tutti i lavoratori. Una vera e propria “miseria garantita”.
Nel programma che stiamo elaborando come Sinistra, Classe, Rivoluzione abbiamo ritenuto indispensabile avanzare la proposta del salario garantito per tutti i disoccupati che consideriamo, al pari di altre (come quella della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e il blocco dei licenziamenti), decisiva oggi per garantire la sopravvivenza dei lavoratori e dei giovani di questo paese.
Pensiamo che chi è senza reddito o non ha una continuità di reddito debba avere un salario pari all’80% di un salario minimo fissato per legge. Una somma che attraverso una nuova scala mobile dei salari sia indicizzata all’inflazione.
Insieme al salario garantito occorre lottare, quindi, affinché venga introdotto un salario minimo intercategoriale, fissato per legge, sotto al quale nessuna retribuzione può scendere. Tale cifra non può collocarsi al di sotto dei 1.200 euro al mese. Tale salario minimo rappresenta uno stimolo importante per livellare tutti i salari verso l’alto, in modo che la battaglia tra disoccupati, precari e senza lavoro sia il più possibile unitaria per il diritto ad un’esistenza e ad un lavoro degni.
Questa rivendicazione non è in contraddizione con la difesa e il ripristino effettivo dei contratti nazionali, che dalla proposta di un salario minimo intercategoriale e del salario garantito possono uscire rafforzati.
Non si tratta infatti di garantire un reddito di cittadinanza, come da più parti viene proposto, svincolato dalla centralità del lavoro, ma al contrario avanzare una proposta in grado di unificare la classe in una battaglia comune, non solo per resistere alla precarietà e al lavoro nero, ma anche per evitare ogni tipo di divisione, da quelle generazionali a quelle territoriali.
Salario garantito e ammortizzatori sociali
Il salario garantito farebbe uscire dal ricatto milioni di persone che oggi sono costrette ad accettare condizioni lavorative e salariali da fame pur di sopravvivere in mancanza di alternative, e può essere un disincentivo nell’accettare bassi salari. Sarebbe un’arma potente per combattere il sistema mafioso e clientelare di assunzioni che imperversa in molte regioni d’Italia.
Una proposta che deve integrare gli attuali ammortizzatori sociali, che vanno potenziati, in modo che i lavoratori costretti a stare in quelle condizioni non debbano vivere nella miseria. È un punto importante perché, come si è già visto, non mancheranno gli attacchi in particolare alla cassa integrazione, specie quella in deroga, che coinvolge 300mila persone, in un paese che, tra quelli europei, dedica meno soldi (24,5% del Pil) alla protezione sociale.
Qualsiasi proposta che tenti di barattare forme di reddito con l’abolizione della cassa integrazione, così come propongono ad esempio i grillini, va respinta con forza, rivendicando non solo la difesa di ogni singolo posto di lavoro e il legame tra i lavoratori e un determinato contesto produttivo, ma il fatto che siano i padroni a pagare attraverso la nazionalizzazione delle aziende in crisi sotto il controllo operaio.
A chi ci chiede dove si prendono i soldi per finanziare un tale strumento, rispondiamo semplicemente che i soldi si prendono da chi li ha e cioè tra quel settore minoritario della società che detiene il grosso della ricchezza e che dalla crisi si è ulteriormente arricchito.
È una proposta utopica? Sicuramente è una proposta non compatibile con l’attuale sistema economico, che non ha nessun interesse a garantire una condizione dignitosa di chi è senza lavoro o appartiene a quella fascia sempre più estesa fatta di precari o lavoratori poveri.
Le crescenti diseguaglianze sociali non possono essere attenuate con un po’ di elemosina che questo governo potrebbe concedere in cambio di attacchi su altri fronti, ma mettendo in discussione l’intero sistema.
Una proposta di transizione il cui obbiettivo è quello di dare maggiore forza ai lavoratori e ai giovani che non hanno via d’uscita se non si pongono nell’ottica di mettere in discussione le compatibilità che questo sistema ci impone, ben sapendo che l’unica strada per ottenere un reale miglioramento delle condizioni di vita è quella della mobilitazione.
Da parte delle organizzazioni sindacali si è alzato un coro di critiche a qualsiasi proposta, seppur timida, di salario o reddito garantito, con le eccezioni di alcuni sindacati di base e della Fiom che ha abbracciato la proposta del reddito di cittadinanza.
In Italia questa rivendicazione storicamente non è mai stata fatta propria dalle organizzazioni di massa del movimento operaio, che con il pretesto di dare centralità alle tutele dei lavoratori e il mito irrealizzabile (nel capitalismo) della piena occupazione, nulla hanno fatto per opporsi all’aumento della precarietà e della disoccupazione, per non parlare della necessità di organizzare un fronte unitario.
I vertici sindacali ci dicono che i diritti si conquistano con la contrattazione, ma visto che su questo versante da vent’anni almeno ci fanno ingoiare solo bocconi amari, una vertenza che ottenga per legge un salario garantito avrebbe un carattere unificante e farebbe compiere un passo in avanti significativo a tutto il movimento operaio.
Lottiamo dunque per la difesa dei posti di lavoro e perché tutti abbiano diritto ad un lavoro dignitoso. Allo stesso tempo è sacrosanto non limitarsi a questo aspetto. Proprio per tale ragione questa parola d’ordine deve farsi strada non solo negli ambiti di movimento, ma anche nel sindacato, a partire da una battaglia comune tra tutti coloro che vogliono battersi sul serio per gli interessi della classe operaia.