Il 20 maggio il Senato ha approvato il “piano casa” del governo Renzi. Il decreto, proposto dal Ministro per le infrastrutture Maurizio Lupi, ci è stato presentato come lo strumento decisivo per affrontare l’emergenza abitativa che affligge da anni il nostro paese.
I numeri sono da far tremare i polsi. Secondo un dossier presentato da Legambiente dal titolo “Basta case vuote di carta”, negli ultimi 5 anni sono stati emessi oltre 311mila sfratti, e milioni di famiglie vivono condizioni di grave disagio per pagare le rate del mutuo o dell’affitto nonostante siano ben due milioni e 700mila le case vuote su tutto il territorio italiano. Il dossier analizza non solo il quadro dell’emergenza abitativa ma lo mette giustamente in connessione con il consumo di suolo nel nostro paese, con la continua costruzione di case inutili e inaccessibili per chi ne avrebbe bisogno ma che restano sfitte e invendute per anni. Mentre sono ben 700mila le famiglie, che per reddito e condizioni, avrebbero diritto ad un alloggio di edilizia popolare.
Il “piano casa” del governo
Cosa propone il “piano casa” del governo per tutto ciò?
Innanzitutto si evita di affrontare due punti fondamentali, cioè quello del fabbisogno inevaso di case popolari e il problema del caro affitti, segnalato in maniera drammatica dall’esplosione dirompente degli sfratti per morosità.
Si incentiva la dismissione delle case popolari invece che favorirne l’incremento. L’articolo 3 del decreto prevede infatti una delega al governo per varare un decreto che, anche in deroga alle leggi vigenti di tutela degli assegnatari, acceleri il processo di dismissione del patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica.
Dal punto di vista del caro affitti, non c’è alcun intervento strutturale.
L’incentivo dato al canale concordato (con la riduzione al 10% della cedolare secca) non è un intervento per ridurre gli affitti ma la semplice fotografia del mercato attuale. In questo senso, questa misura, nella situazione odierna, si presenta come un ulteriore intervento a favore della rendita immobiliare.
Gli incrementi del fondo sociale e di quello per la morosità incolpevole sono miserie. All’articolo 1 ci sono effettivamente stanziamenti per il fondo sociale affitti e per gli sfrattati per morosità incolpevole: poco più di 240 milioni di euro, proprio una bella cifra. In realtà è un trucco contabile. Si sono sommati gli stanziamenti da qui al 2020 (7 anni). Anno per anno, quindi, sono meno di 40 milioni in media. Peccato che solo quindici anni fa, con la crisi ancora lontana, il solo fondo sociale per gli affitti era di 600 miliardi l’anno (c’erano le lire), ovvero più di 300 milioni di euro l’anno. La notizia vera, quindi, è che nel 2014, con un numero di sfratti per morosità che è tre volte superiore a quello di 15 anni fa, ci sono risorse per le famiglie meno abbienti tre volte inferiori.
Il piano di recupero per gli alloggi Erp è finanziato con soldi ottenuti con modalità incerte. In ogni caso si parla al massimo di 12mila alloggi, una goccia nel mare del fabbisogno sociale esistente. Inoltre, questa goccia è inserita dentro un quadro di ulteriore riduzione del comparto abitativo pubblico, essendo il cuore del provvedimento (l’art. 3), l’ulteriore accelerazione della dismissione del patrimonio, anche in deroga alle leggi statali esistenti.
In pratica le misure previste per fronteggiare l’emergenza abitativa sono del tutto vaghe, future, senza investimenti pubblici e basate sulla solita fallimentare miscela di svendita del patrimonio immobiliare pubblico, costituzione di “fondi di garanzia” (pubblici) che andranno a finanziare programmi di edilizia popolare “in convenzione con cooperative edilizie” e un altro taglio delle tasse per i proprietari di immobili, per costruttori e immobiliarie.
Grandi gruppi immobiliari che si preparano all’imminente svendita degli edifici pubblici ad opera del Dipartimento del tesoro. Una vendita che porterebbe nelle casse dello Stato ben 36 miliardi.
Occupi? Sei un criminale
Se sin qui siamo alla solita politica degli annunci, l’aspetto veramente straordinario del decreto è che sostanzialmente l’unica norma immediatamente operativa nel nostro ordinamento dal 28 marzo è quella prevista all’art. 5 che tratta apertamente della repressione del movimento delle occupazioni. Il decreto prevede che: “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”.
In pratica gli occupanti di case non potranno più chiedere la residenza e l’allacciamento alle forniture di acqua, gas ed energia elettrica. Inoltre chi occupa edifici residenziali pubblici sarà cancellato per cinque anni dalle liste per l’assegnazione delle case popolari. Con il decreto Renzi-Lupi le “famiglie impoverite” costrette a vivere in immobili occupati “abusivamente” vedono violato il diritto fondamentale alla residenza che ne sottende molti altri come non poter votare, non poter più iscrivere i figli a scuola, non poter più accedere all’assistenza sanitaria e non poter più ottenere, se stranieri, la cittadinanza italiana. Una vera e propria selezione di classe per emarginare gli strati più poveri della società.
Questi durissimi provvedimenti repressivi si inseriscono in un periodo costellato di provvedimenti diretti contro il movimento di lotta per la casa, con sgomberi e arresti in tutta Italia. è necessario opporvisi con ogni mezzo come è necessario lottare senza se e senza ma contro il decreto Lupi.
Il programma necessario
In questi anni abbiamo visto svilupparsi in varie città d’Italia un movimento di occupazioni con cui migliaia di persone senza casa occupavano stabili abbandonati o case sfitte. Questo tipo di iniziative necessarie per tamponare nell’immediato la necessità di un’abitazione andrebbero tuttavia viste non come il fine della mobilitazione (cioè la lotta per occupare o difendere le occupazioni) ma come un mezzo insieme alle manifestazioni, ai presidi e non solo, per ottenere un alloggio stabile per tutti. Non può sfuggire a nessuno il carattere precario delle occupazioni, con gli occupanti costretti a vivere in condizioni molto difficili. Anche storicamente le occupazioni erano un mezzo per rivendicare la costruzione e/o l’assegnazione di case popolari dignitose, non una soluzione al problema abitativo. Proprio in questo contesto è fondamentale collegare la rivendicazione della casa con quella del lavoro per tutti, con la lotta contro la disoccupazione, contro la povertà e contro tutte quelle politiche volte a far pagare la crisi agli strati più poveri della popolazione. È chiaramente necessario elaborare un programma di rivendicazioni che affermi con forza che la casa è un diritto di tutti! Questo programma deve contenere una serie di punti fondamentali come:
Come ci insegnano i punti più alti delle mobilitazioni per il diritto all’abitare, solo unendo la lotta per la casa a una lotta più complessiva contro questo sistema economico e questa società si potranno fare passi avanti concreti per ottenere una casa per tutti.