I recenti scandali che hanno riguardato il Partito democratico dell’Emilia Romagna e che hanno colpito i suoi esponenti più in vista, dall’ex presidente della regione Vasco Errani, ai due candidati alle primarie per la stessa carica, Bonaccini e Richetti (poi dimessosi dalla competizione), hanno lasciato solo parzialmente intuire la natura di questo partito. Il Pd infatti proprio sul territorio emiliano-romagnolo riesce ad esprimere in modo più chiaro ed esemplare il legame che lo unisce a doppio filo ai poteri economici ed industriali che esso rappresenta.
Non è un caso ad esempio la presenza del ex presidente di Legacoop, il romagnolo Giuliano Poletti, nella compagine governativa di Renzi come Ministro del lavoro. L’intreccio di affari tra Pd e Legacoop rende infatti il rapporto tra questi due soggetti una vera e propria simbiosi dove può essere difficile comprendere chi è l’uno e chi l’altro. è abituale infatti la transumanza di dirigenti dal partito emiliano alle cooperative emiliane, con presidenti di cooperative che diventano sindaci e amministratori pubblici o viceversa. La Legacoop è un’associazione di cooperative che costituisce un ristretto nucleo di appaltatori di opere pubbliche, tra cui le più conosciute sono sicuramente Coopsette, Cmc, Unieco, Ccc e altre, tutte rigorosamente emiliano-romagnole. A queste latitudini, dove il Pd amministra quasi ovunque, negli ultimi anni le cooperative di Legacoop si sono aggiudicate il 70 per cento degli appalti pubblici.
Oltre ai costruttori, in Legacoop vi sono anche alcune grandi imprese di conferimento come la Cirio, la Valfrutta e, soprattutto, la Granarolo, che per quasi un anno e mezzo è stata la controparte diretta della lotta dei facchini che a Bologna hanno rivendicato diritti, dignità e condizioni di lavoro umane. Singolare e vergognoso il fatto che Giovanni Monti, presidente di Legacoop, in una conferenza stampa realizzata proprio all’inizio dell’inchiesta “spese pazze” sia riuscito ad etichettare come mafiosi i facchini in lotta, per poi passare ad esprimere la propria solidarietà ai componenti della giunta di Errani indagati, indicando nel modello bolognese “uno dei massimi esempi di civiltà”.
Ma non è finita qui. Sono sempre cronaca politica di queste settimane i tentativi condotti da Renzi e Poletti di riorganizzare completamente le condizioni sui posti di lavoro, con l’introduzione del Jobs act. Tutele progressive, autoimprenditorialità, terzo settore, volontariato. Queste sono le oscure parole chiave di questa controriforma che in parole povere significherà più precarietà, più sfruttamento e meno diritti per i lavoratori e maggiore mano libera per le aziende. Un modello che è già stato ampiamente sperimentato proprio con il “modello emiliano” dove le cooperative fanno la parte del leone.
Un modello di cui fanno parte alcuni colossi dei servizi come Manutencoop e Coopservice, entrambe emiliane e la quasi totalità delle cooperative sociali. E a questi soggetti che ormai da molti anni in Emilia, la regione a guida Pd ha affidato i servizi e il welfare regionale. Il motivo principale con cui sono state giustificate queste scelte è il costo del lavoro, che le cooperative sociali riescono a contenere grazie a un sistema di contratti che colloca i lavoratori del privato sociale nettamente al di sotto delle retribuzioni e delle condizioni di lavoro dei pari mansione pubblici. Probabilmente questa giustificazione non è neanche del tutto vera (spesso far gestire un servizio al privato costa di più che farlo gestire al pubblico) ma è, prima di tutto, una scelta politica che ha significato grossi profitti per gli amici della Legacoop e al tempo stesso indebolimento della forza contrattuale dei lavoratori assunti con contratti che non prevedevano neppure la tutela dell’articolo 18.
Non c’è che dire. Un rapporto, quello tra Partito democratico e padronato emiliano, che ha costruito una vera e propria traccia di lavoro per il governo Renzi.