Come era stato annunciato, il padronato italiano ha ricevuto per Natale il primo decreto attuativo della legge delega sul lavoro, quello che contiene la nuova disciplina sui licenziamenti e abolisce l’articolo 18.
Il decreto, che attualmente è ancora una bozza in discussione, abolisce per i rapporti di lavoro instaurati dopo la sua entrata in vigore la possibilità di ottenere la reintegrazione in tutti i casi di licenziamento illegittimo motivato con (inesistenti) ragioni economiche; l’unica sanzione sarà un magro risarcimento: 2 mesi di stipendio per ogni anno di anzianità, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mesi nei casi improbabili in cui il rapporto di lavoro sia durato almeno dodici anni (anche dopo la riforma Fornero il risarcimento minimo era comunque di 12 mesi di stipendio).
Anche per i licenziamenti collettivi la reintegrazione è sempre esclusa e valgono le stesse sanzioni, rendendo così estremamente economico per il datore di lavoro violare criteri e procedure di legge.
Gli unici casi in cui rimane il diritto alla reintegrazione sono quelli in cui si può dimostrare (ma è quasi impossibile) la discriminazione, e i licenziamenti disciplinari in cui risulti inesistente il fatto materiale contestato al lavoratore. Ma perché mai un datore di lavoro dovrebbe inventarsi di sana pianta un addebito disciplinare, quando senza alcun rischio si può inventare una motivazione economica?
In caso di violazione della procedura disciplinare (ad esempio perché non è stato consentito al lavoratore di difendersi) e nel caso in cui non siano stati affatto indicati i motivi del licenziamento, la sanzione economica è addirittura dimezzata: il risarcimento sarà soltanto di un mese per ogni anno di anzianità, con un minimo di 2 mesi di stipendio.
Questo stesso importo potrà anche essere offerto spontanea-mente dal datore di lavoro in cambio della rinunzia all’impugnazione del licenziamento: il lavoratore potrà rifiutare, ma di fronte alla prospettiva di perdere un sacco di tempo per ottenere poco di più, in molti sceglieranno questa vera e propria elemosina.
Tutto questo vale per le aziende con più di quindici dipendenti. Per quelle più piccole è rimasto invariato il limite massimo del risarcimento in caso di licenziamento illegittimo (6 mensilità), mentre il minimo è stato ritoccato verso il basso, da 2,5 a 2 mesi di stipendio.
Infine, il lavoratore licenziato potrà ritirare presso l’Inps un voucher da consegnare a una delle agenzie di lavoro accreditate: nel caso trovi effettivamente un nuovo lavoro, anche molto peggiore del precedente, l’agenzia potrà incassare il voucher. In sostanza, risorse che avrebbero dovuto essere utilizzare per potenziare il collocamento pubblico verranno invece regalate al privato.