Con le dimissioni di Napolitano dal Quirinale esce di scena una delle figure politiche più importanti per la classe dominante. Basta infatti scorgerne rapidamente la biografia per capire come la sua lunghissima carriera sia stata interamente consacrata alla salvaguardia e al mantenimento dell’ordine costituito.
All’interno del Partito Comunista Italiano Napolitano fu il principale rivale di Berlinguer come candidato alla segreteria e il leader dell’ala destra, l’area dei “miglioristi”, così chiamati perché alla prospettiva della trasformazione socialista della società avevano sostituito quella del “miglioramento” del capitalismo. A onor del vero la linea ufficiale del partito non conteneva nulla di rivoluzionario o leninista: il socialismo veniva demandato ad un lontano futuro cui si doveva arrivare gradualmente e pacificamente attraverso una politica di riforme sociali. Ma questa politica riformista non era sufficiente per Napolitano, il cui obiettivo era quello di sganciare il PCI dal blocco sovietico per trasformarlo in una rispettabile forza socialdemocratica filo-occidentale. Napolitano non aveva in realtà alcuna critica di principio allo stalinismo, tanto che nel 1956 aveva difeso senza indugi la violenta repressione dell’Armata Rossa contro la rivoluzione ungherese. Semplicemente per lui il legame con l’URSS era un fardello che nel contesto della Guerra Fredda impediva al PCI di accedere ai vertici dello stato borghese. Di fatto Napolitano fu il grande precursore della svolta della Bolognina che nel 1991 portò alla trasformazione del PCI nel Partito Democratico della Sinistra.
Con il crollo dell’URSS e la fine del PCI, finalmente nel 1996 si aprirono per gli ex comunisti le agognate porte del governo e Napolitano ovviamente si trovò in prima fila. Divenne ministro degli Interni nel primo governo Prodi e in questa veste promosse la legge Turco-Napolitano che introduceva i Centri di Permamenza Temporanea (veri e propri lager per immigrati), un provvedimento che avrebbe fatto da apripista per future leggi ancor più razziste come la Bossi-Fini.
Grazie al suo curriculum Napolitano era un candidato alla presidenza della Repubblica accettabile anche per la destra berlusconiana, della quale non deluse certo le aspettative quando da presidente firmò senza battere ciglio tutte le peggiori leggi di Berlusconi, dal lodo Alfano allo scudo fiscale, dal legittimo impedimento alla riforma Gelmini.
Ma il presidente Napolitano divenne davvero protagonista nel 2011 quando il Berlusconismo andò in crisi travolto dagli scandali e dalla pressione dei mercati internazionali. Mentre lo spread saliva a picco e montava la protesta nelle piazze, la borghesia italiana decise di liberarsi di Berlusconi e fu proprio Napolitano il regista della congiura di palazzo che avrebbe portato alla nascita del primo governo di unità nazionale presieduto da Monti e all’inizio delle politiche di austerità volte a rassicurare l’Europa e il mondo della finanza.
Un ruolo ancora più rilevante venne ricoperto da Napolitano durante la crisi istituzionale seguita al terremoto elettorale delle elezioni 2013. Dopo un anno di austerità gli elettori avevano punito i partiti che avevano sostenuto Monti e avevano invece premiato il Movimento 5 Stelle. Il parlamento era così frammentato che non si riusciva né a formare un governo né ad eleggere il nuovo presidente della Repubblica. A salvare la situazione ci pensò ancora una volta Napolitano, che nonostante i suoi 88 anni suonati, si fece rieleggere al Quirinale per la seconda volta e insediò di autorità il governo Letta, basato sulla stessa maggioranza parlamentare e con lo stesso programma del governo Monti: il peggiore schiaffo che si potesse immaginare alla volontà di cambiamento espressa dagli Italiani nelle urne. Quello di Letta era un governo del presidente, legittimato quasi esclusivamente dal fatto che fosse Napolitano a farsene garante. Ancora una volta Re Giorgio era stato il pilastro fondamentale dell’unità nazionale in Italia, applaudito dalla stampa borghese di tutto il mondo.
Mai un presidente della Repubblica era stato rieletto per un secondo mandato e mai aveva concentrato nelle sue mani un potere tanto vasto. Ma la forza di Napolitano non rappresentava altro che la debolezza del sistema politico italiano, costretto ad affidarsi ad un presidente senile per garantire la propria sopravvivenza. Se oggi Napolitano si è deciso a cedere il timone, è perché pensa che la tempesta sia passata, la borghesia abbia trovato il suo nuovo paladino in Renzi e le istituzioni non abbiano più bisogno della sua venerabile protezione. E’ quindi un preciso dovere di tutti gli sfruttati mandare in malora il suo operato, mobilitandosi contro il governo Renzi e travolgendo quel sistema di potere che per tutta la sua vita il vecchio migliorista si è sforzato di tenere in piedi.