In questi primi mesi di governo Matteo Renzi ha continuato a distribuire promesse, così come aveva fatto per le primarie del congresso Pd.
Addirittura nel discorso di insediamento da Presidente del Consiglio aveva annunciato una riforma al mese fino a giugno, ma la strada per trasformare le dichiarazioni in realtà non è così lineare come vuole far credere.
A farne le spese è stato in primo luogo l’Italicum, la riforma della legge elettorale che doveva essere il punto fermo del patto di ferro con Forza Italia e che, lungi dall’essere approvata, per ora, come ha precisato Berlusconi, rimane “spiaggiata al Senato” mentre i tempi di approvazione slittano a settembre.
Sono altri i terreni su cui Renzi ha scelto di spendersi per poter dire di essere di parola rispetto alle promesse fatte: dai tagli al costo della politica, poche briciole ma che siano d’esempio (sic!), al tetto, si fa per dire, di 240mila euro annui per i manager pubblici, fino ad arrivare alla riduzione dell’Irpef con i tanto sbandierati 80 euro in più in busta paga.
Elementi di bonapartismo
Sarebbe sbagliato non individuare gli elementi di discontinuità rispetto ai due precedenti governi, Letta e Monti, ma purtroppo la discontinuità non riguarda chi paga la crisi!
Rispetto ai suoi predecessori Renzi concentra su di sé aspettative molto maggiori, maggiori speranze, ma anche maggiori rischi, che gli vengono in particolare, ma non solo, dal consenso ottenuto alle primarie. Un’investitura che i suoi predecessori non avevano, essendo nati sull’onda delle debolezze altrui, Monti di quella di Berlusconi e Letta di quella di Bersani, ed entrambi tenuti a galla da Napolitano, rispetto a cui Renzi può permettersi una maggiore autonomia.
Ma è stata soprattutto l’impasse del governo Letta-Alfano a rendere non solo plausibile ma necessaria la sua sostituzione con un Presidente del Consiglio e un governo che devono portare a casa il risultato in poco tempo. Non a caso l’Economist paragona Renzi ad un giocatore d’azzardo che va di fretta. È da questa situazione di crisi del sistema politico italiano e dalla sua impasse che acquista valore la figura di Renzi, che fa della retorica decisionista la sua cifra stilistica. Non sorprende quindi l’accelerazione che ha imposto in questi primi mesi di mandato.
Se il restringimento degli spazi democratici, il ridimensionamento, ad esempio, del ruolo del parlamento, piuttosto che la successione di presidenti senza passare dal voto e l’inosservanza delle stesse forme della democrazia borghese stanno dentro un processo di crisi del sistema politico italiano che dura da diversi anni, ci troviamo di fronte al salto di qualità di un premier che pensa di parlare direttamente al popolo, senza la mediazione delle parti sociali, più di quanto non abbia fatto lo stesso Berlusconi, a cui bastava la marginalizzazione della Cgil.
La risposta data da Renzi alle critiche mosse dal presidente di Confindustria Squinzi e a quelle della Camusso, al decreto lavoro è sintomatica: “uno scontro tra palude e corrente impetuosa”; la “strana coppia Squinzi-Camusso” davanti alla “scommessa politica di togliere per la prima volta alla politica e restituire ai cittadini e alle imprese si oppongono. Lo ritengo un ottimo segnale che siamo sulla strada giusta”, aggiungendo poi di essere interessato al consenso delle famiglie italiane e non a quello delle associazioni sindacali e imprenditoriali.
Una ricerca del consenso su basi bonapartiste, espressi in un atteggiamento che sarà caratterizzato da un connubio di proclami demagogici e attacchi diretti, come dimostra il Jobs act, dove la precarietà viene estesa a vita natural durante per venire incontro ai giovani!
L’affondo dentro e fuori il PD
Il Pd sarà ancora per la prossima fase uno spazio non pacificato, è infatti naturale che, in assenza di altro, una serie di contraddizioni si esprimano anche lì dentro. Da un lato c’è il tentativo di riorganizzarsi degli anti-renziani, con la nascita di una nuova corrente, Area Riformista, il fronte composto da bersaniani e lettiani, ma non dai Giovani turchi, che ha un peso non indifferente nella pattuglia parlamentare.
Un ostacolo non di poco conto sulla via per le riforme che Renzi auspica, tant’è che deve chiedere in due mesi quattro volte la fiducia alla Camera e cedere sugli emendamenti della minoranza Pd al decreto lavoro. Ma lo stesso copione, e cioè spaccature e tentativi di mediazione, si porrà per ognuna delle proposte, dalla legge elettorale alla riforma del Senato, dove il testo di Chiti alternativo a quello di Renzi è sottoscritto da 25 senatori Pd e incassa la disponibilità a discuterne del Movimento 5 stelle e di Forza Italia. Un fatto inedito, quello di una proposta alternativa all’interno dei democrats, su una questione di così grande portata come una riforma costituzionale.
Mai come oggi le linee di demarcazione nel Pd sono chiare fra le correnti. Ciò si è prodotto sulla base di una sconfitta pesante della “sinistra”, tant’è che Renzi può tranquillamente spadroneggiare nel partito e permettersi di far man bassa di nomine e posizioni.
A questo si aggiungono le frizioni con la Cgil, che non sono riconducibili esclusivamente alle battaglie interne al Pd.
Ma l’affondo di Renzi dei mesi scorsi non è solo all’interno del suo partito, ma anche in direzione del centrodestra. Nella sua logica si candida ad essere l’erede della crisi berlusconiana e le spaccature all’interno del centrodestra ovviamente danno a Renzi maggiori spazi, non fosse altro per mancanza di rivali. Il fatto che l’ex portavoce di Forza Italia, Sandro Bondi, criticando la mancanza di strategia di FI, proponga di sostenere Renzi perché la prima cesura netta rispetto alla storia comunista del Pd è un segnale grottesco di un processo più profondo.
Se i governi di unità nazionale hanno comportato un processo di logoramento dei partiti che l’hanno sostenuta, l’obiettivo di Renzi è quello di capitalizzare da questo processo provando a fagocitare quello che gli è intorno. Non sorprende quindi che, all’avvicinarsi delle elezioni europee, Alfano come Berlusconi provino a smarcarsi e ad alzare il tiro.
Scossoni futuri
Se la quadratura del cerchio è stata possibile per il taglio dell’Irpef, non è detto che sia possibile con le altre cose che attendono il governo. Al di là dell’equilibrismo che Renzi metterà in campo per potersi districare tra accelerazioni e veti incrociati, non ci sono da varare solo le riforme istituzionali.
La prossima tappa è la riforma della pubblica amministrazione, un attacco diretto in primo luogo ai lavoratori del pubblico impiego e alle aziende municipalizzate. C’è poi da completare la (contro)riforma del lavoro, in particolare rispetto agli ammortizzatori sociali.
Ulteriore scoglio sarà il passaggio delle elezioni europee, con cui Renzi dovrà fare i conti, anche rispetto al tentativo di recuperare su Grillo.
Nella fretta di Renzi non c’è solo la sua aspirazione personale, ma anche la comprensione per i poteri forti in Italia che il tempo che la classe dominante ha a disposizione non è infinito.
Di fronte a questa necessità useranno Renzi perché oggi è l’unico strumento possibile. Un’affermazione alle elezioni europee e amministrative del 25 maggio fornirebbe a Renzi il segnale di via libera per approfondire le politiche di lacrime e sangue (e di ulteriori provocazioni) che il premier sarà chiamato a fare per conto dei poteri forti.
In un contesto in cui il disagio sociale si allarga e coinvolge più generazioni, e in particolare i giovani, non può bastare un linguaggio da imbonitore o qualche decina di euro in busta paga per ingoiare politiche anti-operaie. Renzi si illude se crede che bastino la debolezza e la pavidità di Camusso e soci a garantire la pace sociale.
Il rischio per questo governo è quello di un logoramento più profondo dei suoi protagonisti, e in primo luogo del Partito democratico, senza che si vedano all’orizzonte probabili alternative per garantire la stabilità di cui ha bisogno la borghesia.
Per quanto non esistano processi ultimativi, il contesto rimane di grande volatilità e la crisi si approfondisce; le provocazioni di Renzi non andranno avanti all’infinito senza colpo ferire e il clima di attesa nei suoi confronti può trasformarsi rapidamente in diffidenza e ostilità aperta.