L’interevento di Marchionne al Meeting di Rimini organizzato da Comunione e Liberazione non lascia spazio a dubbi sullo scontro che si è aperto nei mesi scorsi, a Pomigliano prima e a Melfi dopo, nel più importante gruppo industriale italiano e sulla determinazione dell’amministratore delegato della Fiat ad andare fino in fondo.
L’obiettivo di Marchionne, ripetuto per l’ennesima volta stamane, è quello di superare le attuali relazioni industriali, considerate obsolete. È una partita che combatte per conto di tutto il padronato italiano, e la Marcegaglia, ma non c’era motivo di dubitarne, si è affrettata a difendere a spada tratta la Fiat.
Per fare questo Marchionne, dal Meeting dei ciellini propone un nuovo patto sociale, – e non abbiamo dubbi sul fatto che questa proposta susciterà vivo interesse in uno spettro significativo del panorama politico – nonostante non siano mancate critiche al comportamento oltranzista di Marchionne rispetto ai licenziamenti a Melfi, in cui alcuni vedono il rischio che possa far saltare l’intero quadro che si sta delineando.
Inutile parlare della piena disponibilità di Angeletti e Bonanni, che hanno fatto del loro asservimento ai padroni la propria ragione d’essere. Bonanni, sempre da Rimini, ha spiegato come il problema sia la scarsa partecipazione dei lavoratori italiani nei processi decisionali delle aziende, a differenza di quanto, secondo lui, avviene negli USA. È una frottola bella e buona: in America come in Italia i lavoratori non decidono nulla. Le burocrazie sindacali vengono integrate a volte nei consigli di amministrazione delle aziende, dove ricevono lauti stipendi e assolvono pienamente al loro ruolo di servi del padronato fra i lavoratori.
Alla Fiat della sorte dei tre lavoratori licenziati a Melfi interessa relativamente, il punto è che, per citare lo stesso Marchionne "non siamo più negli anni '60 e occorre abbandonare il modello di pensiero che vede una lotta fra capitale e lavoro e fra padroni e operai".
Più chiaro di così si muore! la verità è che vogliono approfondire quello che è accaduto in questi anni, dove la lotta di classe l'hanno fatta solo loro: profitti record per i padroni, precarietà e miseria per i lavoratori.
Un patto sociale quindi che non servirebbe ad altro che a sancire la piena libertà da parte dei padroni di avere mano libera su tutti i fronti, stracciando lo statuto dei lavoratori e il contratto nazionale; un ritorno in grande stile agli anni ‘50.
Il lasciapassare per un padronato arrogante che, dopo che vi è stata una sentenza che accerta l’atteggiamento antisindacale della Fiat, può permettersi di non reintegrare 3 licenziati politici sul proprio posto di lavoro, che vengono accusati di aver sabotato la produzione dell’azienda, con “palesi violazioni della vita civile in fabbrica”.
Varrebbe la pena ricordare a Marchionne che si tratta della stessa fabbrica nata con una deroga al contratto nazionale, in cui prima della lotta dei 21 giorni di Melfi vi erano in un anno 9000 provvedimenti disciplinari nei confronti dei lavoratori. Una fabbrica cioè dove vigevano condizioni di lavoro impossibili.
Quello che oggi la Fiat definisce sabotaggio non è altro che uno sciopero contro l’aumento del 10% dei carichi di lavoro mentre si era in regime di cassa integrazione.
È la dimostrazione di come per i padroni la legalità sia ad uso e consumo; una gabbia da chiudere solo quando dentro ci sono i lavoratori.
È sicuramente importante che la sentenza del tribunale di Melfi abbia dato ragione ai lavoratori, ma qualunque sia il verdetto del ricorso fatto dalla Fiat bisogna continuare ad estendere la mobilitazione. Anche perchè la Fiat ha la possibilità di esercitare forti strumenti di pressione sulla stessa magistratura ed è già accaduto in varie circostanze che, pur di fronte all'evidenza dei fatti, giudici del lavoro dessero ragione ai padroni.
Proprio per questo, la battaglia douare su tutti i fronti e non solo su quello legale.
A dire il vero la stessa vittoria per quanto parziale di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli non è frutto semplicemente della sentenza della magistratura, ma della generosa mobilitazione messa in campo dai lavoratori di Melfi.
Gli stessi lavoratori che in questi giorni stanno dimostrando ancora una volta la solidarietà operaia nei confronti dei propri compagni di lotta, indignati dal fatto che la Fiat ha proposto ai licenziati di confinarli nella saletta sindacale, lontano dal proprio posto di lavoro.
La Fiat attende il 6 ottobre, data di pronunciamento del ricorso presentato dall’azienda, ma prima ancora, il 21 settembre, le parti saranno chiamate dal giudice del lavoro di Melfi per chiarire cosa si intenda per "l’immediato reintegro dei lavoratori nel proprio posto di lavoro".
La battaglia per il reintegro immediato deve essere il primo passo per rilanciare la mobilitazione su scala nazionale. Il problema non è riprendere il dialogo con Fiat, come sostiene Epifani, ma fornirsi di una strategia complessiva in grado di rispondere a questo attacco senza precedenti.
Una partita che passerà per la mobilitazione che la Fiom metterà in campo, come la manifestazione del 16 ottobre, e che si legherà allo scontro che ci sarà attorno alla newco a Pomigliano, fino ad arrivare al rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici e alle regole del settore auto, rispetto a cui i padroni vorrebbero nuove deroghe.
C’è, come non accadeva da tempo nelle fabbriche, la comprensione che vi è un disegno politico preciso che punta a schiacciare la classe operaia e la sua capacità di organizzare il conflitto in fabbrica.
Sara questa consapevolezza ad essere uno degli elementi determinanti per i rapporti di forza che decideranno dell’esito dello scontro in atto in questi mesi.
*operaio Fiat-Sata di Melfi
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