È di ieri la sentenza del tribunale che impone alla Fiat di reintegrare gli iscritti alla Fiom in fabbrica. Bisognerà farla rispettare con la lotta perchè Marchionnne ha già fatto capire come tenga in considerazione le sentenze della magistratura a lui sfavorevoli. Invitiamo alla lettura di un articolo scritto da due lavoratori di Pomigliano e dell'indotto, che abbiamo pubblicato sul numero di FalceMartello attualmente in vendita, e che fa il punto della situazione.
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Siamo oramai alla vigilia del secondo anno dal referendum, voluto da Marchionne, allo stabilimento Gian Battista Vico di Pomigliano d’Arco. Non ricorderemo quei giorni e il relativo dibattito in questo articolo, perché di cose ne sono state dette a fiumi.
Ci concentreremo invece nel fotografare la situazione attuale dello stabilimento e dell’indotto. Attualmente nella Fip (acronimo di Fabbrica Italia Pomigliano cioè la famosa Newco) sono impiegati 2137 lavoratori, per la maggior parte ex dipendenti dello vecchia società, 205 sono invece dipendenti Ex Ergom.
Nello stabilimento campano prima, del famoso piano Marchionne, erano impiegati in Fga (Fiat Group Automobiles) 5mila lavoratori. Per comprendere bene quali siano per ora le conseguenze occupazionali del rilancio dello stabilimento, bisogna detrarre dal numero totale 500 dipendenti che hanno scelto la mobilità o semplicemente si sono fatti accompagnare alla pensione, salvo poi scoprire di essere esodati. Vanno sottratti inoltre i circa 400 lavoratori dello stampaggio, unico reparto che ha mantenuto una continuità lavorativa visto la presenza di lavorazioni per altri stabilimenti Fiat, ma che oggi però si trova a produrre quasi esclusivamente per la Panda. Il reparto stampaggio non ha ancora chiaro il suo destino, essendo Fga e quindi avendo una scadenza improrogabile (Cigs per cessazione attività a Luglio 2013). Nella stessa situazione si trovano pure i circa 200 test driver. Infine ci sono i 316 lavoratori di Nola ai quali era stato promesso un piano di rilancio sin dalla sua creazione come reparto confino (gennaio 2009) che però non è mai avvenuto. Considerando che da poco sembra essere stata lanciata anche la nuova motorizzazione Gpl e Metano, è chiaro oramai a tutti che il completo riassorbimento dei lavoratori, specie se si considera il calo dei dati di vendita della Fiat, è sempre più un desiderio irrealizzabile, una chimera.
Tutto questo avviene nel quadro delle relazioni sindacali prodotte dall’accordo capestro di Pomigliano. I sindacati non firmatari come la Fiom si ritrovano completamente estromessi dalle fabbriche della Fiat, sul piano formale non è più possibile farsi rappresentare dalla Fiom. A Pomigliano poi bisogna aggiungere che non uno dei 380 lavoratori che risultavano ancora iscritti a dicembre 2010, nonostante la campagna terroristica contro la Fiom, è di fatto passato in Fip. Su questo tema si sono aperti diversi contenziosi giudiziari che le tute blu della Cgil hanno impugnato in procedimenti civili e penali nei confronti di Fiat.
Per chi lavora in Fip la situazione è molto pesante per i ritmi di lavoro, tra pause che saltano e condizioni umilianti a cui sono sottoposti i lavoratori. Il caso più emblematico è quello dell’acquario, che prevede, nel caso in cui un lavoratore sbagli qualcosa nel processo produttivo, che l’operaio sia costretto a chiedere scusa pubblicamente di fronte ai capi e ai colleghi.
Riprendere la mobilitazione
Gli ultimi mesi sono stati particolarmente difficili per la ripresa del conflitto a Pomigliano. Ci sono stati di sicuro problemi oggettivi, la paura l’ha fatta da padrone tra i lavoratori, che hanno atteso per molto tempo buone notizie, sperando e non accettando la verità dei fatti. È chiaro che in una situazione del genere, non è stato facile mobilitarsi. Tuttavia, proprio su questo terreno i vertici Fiom hanno mostrato molti limiti; infatti oltre alle iniziative sul terreno legale, poco si è fatto per riprendere il rapporto coi lavoratori, lacerato dalla cassa integrazione. Una mancanza di audacia che si inserisce nella linea generale che la Fiom ha portato avanti negli ultimi mesi, ma che è anche il retaggio degli anni della concertazione che hanno formato quadri sindacali non abituati a uno scontro di tale portata.
Per molto tempo si è rincorso le azioni Fiat giocando a rimpiattino, sicuramente con analisi e dichiarazioni condivisibili, ma con una difficoltà a produrre un percorso concreto di mobilitazione. Oggi, dopo aver maturato che solo legalmente non si riesce ad ottenere i risultati sperati, ci sono continui richiami alla necessità di rigenerare il conflitto, con i lavoratori che risultano come un motore per troppo tempo fermo, che, a furia di provare ad accelerare, si rischia di ingolfare. È da qui che ora vogliamo ripartire, mettendo in campo iniziative che da tempo proviamo a proporre. Si è ripreso il dialogo con i lavoratori attraverso un’assemblea e un presidio fisso il mercoledì davanti alla fabbrica. Il 6 giugno saremo davanti al comune di Pomigliano, che prima del referendum si schierò apertamente con Fiat, organizzando la “famosa” marcia-pagliacciata dei 400, contenti per gli investimenti che garantivano la continuità lavorativa per tutti i dipendenti della Fiat. Sappiamo che questo non risolverà i nostri problemi, ma ci offre l’opportunità di riprendere un terreno conflittuale che può portare alla crescita di partecipazione. Promuoveremo altre iniziative, anche più efficaci, cercando di ricostruire quel consenso che dopo il referendum aveva fatto preoccupare una fetta significativa della borghesia padronale del nostro paese.
L’esempio dei lavoratori dell’ex-Ergom
Come abbiamo già avuto modo di dire sulle pagine di questo giornale, proprio il protagonismo dei lavoratori è stato il motore della ripresa della mobilitazione all’ex Ergom, indotto di primo livello della Fiat.
Appena si è palesato infatti che la maggior parte dei lavoratori non sarebbe rientrato in Fip, trovandosi quindi privi di prospettiva occupazionale, la speranza ha lasciato il posto alla rabbia e alla necessità di non credere più alle promesse e agli appelli alla tranquillità dei sindacati firmatari dell’accordo.
Si tratta di un percorso che va avanti da alcuni mesi e che ha il proprio motore in un gruppo di lavoratori cassintegrati che si è costituito in un comitato.
L’iniziativa dei lavoratori ha fatto sì che, dopo diverse forme di mobilitazione (assemblee ai cancelli, presidi e cortei), l’azienda finalmente si è seduta al tavolo, salvo poi ribadire quello che i lavoratori già sapevano e cioè che una metà dei quasi mille dipendenti dovrebbe entrare in Fip. Tutto però dipende da come andrà il mercato della Panda, mentre per la metà che resterebbe nello stabilimento di Napoli non vi è alcuna prospettiva.
Se il percorso avviato dai lavoratori dell’Ergom ci indica la strada su come rilanciare la mobilitazione, è necessario che la vertenza venga condotta unitamente da parte dei lavoratori della Fiat e dell’indotto, essendo il destino di queste fabbriche indissolubilmente legato.
La necessità di una strategia generale
Resta il fatto che, di fronte all’inefficacia del progetto Fiat e alla non volontà di garantire tutti i posti di lavoro, la Fiom, attraverso le dichiarazioni di Airaudo, chiede al governo di attirare investitori nel settore auto in Italia. La verità, che risulta sempre più evidente guardando a quanto accade a Termini Imerese e nella valle Ufita (Irisbus), l’unica soluzione per tutelare veramente l’occupazione è lottare per nazionalizzare il settore auto.
Allo stesso tempo serve una strategia complessiva per dare fiducia ai lavoratori e dimostrare che la battaglia non è ancora persa. A Pomigliano questo vuol dire in primo luogo denunciare il fallimento del piano Marchionne e rivendicare la salvaguardia di tutti i posti di lavoro, alla Fiat come nell’indotto, cosa che non può essere fatta con la sola produzione della Panda.
Proprio per questo è necessario mettere insieme i lavoratori cassintegrati, attraverso un lungo e paziente lavoro di ripresa dei contatti coi singoli lavoratori lasciati a casa dal piano Marchionne, non solo per organizzare il conflitto attraverso iniziative di lotta, ma anche perché a luglio 2013 scadrà la cassa integrazione per cessazione di attività e questa questione va posta all’ordine del giorno fin da subito. Non possiamo continuare ad attendere le mosse della Fiat, dobbiamo muoverci d’anticipo. Nella convinzione che, quando sarà chiaro che molti lavoratori resteranno fuori, ci sarà una nuova esplosione della lotta.
Infine, così come si sta facendo, vanno denunciate le condizioni di lavoro in Fip, attraverso i presidi fuori ai cancelli. Solo in questo contesto è possibile affrontare anche la partita più generale della rappresentanza della Fiom in fabbrica, a Pomigliano e nel resto degli stabilimenti Fiat.
*operaio Fiat Pomigliano
**Rsa Ex Ergom Napoli