In Portogallo, il nuovo ciclo di mobilitazioni operaie e popolari, iniziato nel settembre del 2012 con manifestazioni in larga parte spontanee, e proseguito con decine di scioperi di categorie sindacali, è approdato ad un nuovo stadio di sviluppo con le proteste del 2 marzo.
Sotto la parola d’ordine “que se lixe la troika” (“che si fotta la Troika!”), “il popolo comanda di più!”, un milione e mezzo di persone hanno manifestato contro i tagli ai salari e allo stato sociale. La rabbia sociale continua a montare e si appresta a travolgere il sistema politico portoghese, minando le già fragili basi del governo di destra. Preparatori a questa giornata erano stati l’accerchiamento del Parlamento, cantando la canzone della rivoluzione dei garofani (Grandola Vila Morena), e la cacciata del Primo ministro dall’università.
In un paese che ha visto la nascita del movimento degli Indignados, nel maggio 2011, c’è ora una coincidenza tra le mobilitazioni spontanee di centinaia di migliaia di giovani e studenti e le convocazioni della centrale sindacale comunista (Cgtp).
Il fattore scatenante delle manifestazioni è stata la visita della delegazione della troika a Lisbona per la settima revisione del “piano di salvataggio” della Bce, partito col prestito di 78 miliardi di euro nel 2008 per provare ad arginare la frana finanziaria apertasi nei conti dello Stato. Dopo un massacro sociale (ad esempio con l’introduzione dell’imposta sociale unica che ha fatto schizzare verso l’alto le tasse pagate dalle classi meno abbienti), il deficit dello Stato è calato nel 2012 dal 6,7% al 5,6% ma l’obiettivo imposto del 3% è ancora lontano!
Non avendo rispettato i feroci piani di rientro elaborati dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale, una nuova ondata di tagli si abbatterà sulle masse portoghesi sfinite da cinque anni di austerità e da un tasso di disoccupazione al 30 per cento della popolazione attiva ed al 50 per cento tra i giovani (tra il 2008 e il 2013 si sono persi 626mila posti di lavoro).
Tutti i settori della società portoghese sono sul piede di guerra: studenti, giovani, disoccupati, lavoratori e pensionati. Senza forzare paralleli col movimento delle forze armate protagonista della Rivoluzione dei garofani, che nel 1974 fece cadere la dittatura, è significativo il presidio dei militari dell’esercito sotto la residenza del premier Passos Coelho. La manifestazione è resa possibile dalle leggi in vigore in Portogallo dopo la rivoluzione, secondo le quali i militari possono manifestare, seppure in silenzio e in abiti civili.
Ricevendo subito la solidarietà dai loro colleghi francesi della Cgt, sono scesi in sciopero contro la privatizzazione i lavoratori dei cantieri navali di Viana Do Castelo, nazionalizzati dopo la rivoluzione. Nel pubblico impiego ci sono stati 168mila licenziamenti in sette anni ed ora è stato rescisso il contratto collettivo di lavoro. Il 15 marzo si è tenuta un’enorme manifestazione dei lavoratori pubblici. I lavoratori del tessile hanno scioperato il 23 marzo per protestare contro i tagli ai salari in uno dei pochi settori economici non investito dalla crisi grazie alla crescita delle esportazioni. Il 27 una mobilitazione nazionale della gioventù contro la disoccupazione è terminata con l’accerchiamento del parlamento.
Nel settore privato sono stati congelati dal 2011 tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro e c’è un totale boicottaggio da parte delle associazioni padronali rispetto all’ipotesi di rimuovere il blocco.
Per chiudere e rilanciare le manifestazioni di categoria, la Cgtp ha lanciato una marcia nazionale contro l’impoverimento del paese. La piattaforma di questa marcia richiede di portare a 515 euro (dagli attuali 432) il salario minimo intercategoriale, l’aumento dei salari per recuperare la perdita del potere d’acquisto e lo sblocco della contrattazione collettiva.
Il gruppo dirigente della Cgtp sta tenendo una serie di incontri con le associazioni padronali per definire la riapertura di un tavolo concertativo. Non è questa la direzione che deve prendere il sindacato, proprio nel momento in cui maggiore è la sua forza. Con una piattaforma di rottura con le compatibilità di questo sistema economico la Cgtp può bloccare il paese ed aprire la strada ad un cambiamento politico che stravolga il Portogallo.
Il Partito comunista portoghese viene dato in crescita da tutti i sondaggi ed è accreditato all’11 per cento. Insieme al Partito socialista, ha intensificato l’attività parlamentare per chiedere le dimissioni di Passos Coelho e del governo del Partito socialdemocratico. Si fa strada, negli editoriali del giornale del partito, l’idea che il Partito socialista abbia imparato la lezione del 2011, quando crollò alle elezioni dopo aver messo la propria firma sui primi piani di lacrime e sangue. Il gruppo dirigente del Pcp sta cercando una via per proporre un’alternativa istituzionale alla crisi del capitalismo in Portogallo, infilandosi in un vicolo cieco.
Il problema non risiede semplicemente nel fatto che, nell’intenzione di esercitare una stretta autoritaria per piegare le mobilitazioni operaie, la destra portoghese elabori un nuovo ordinamento dello Stato basato su principi contrari alla Costituzione frutto della Rivoluzione dei garofani. Il tema di drammatica attualità è proprio che quella rivoluzione non è andata fino in fondo, fino a decapitare l’oligarchia finanziaria sopravvissuta al crollo della dittatura. Il Partito comunista portoghese e la Cgtp debbono orientare in direzione rivoluzionaria lo straordinario patrimonio di lotte degli ultimi anni e raccogliere la fiducia del movimento “que se lixe la troika” mostrando la determinazione del partito a lottare contro la dittatura della finanza, unica condizione per non farsi travolgere dall’onda che sta investendo il sistema politico in Portogallo.
Nessun accordo con il Partito socialista! I lavoratori portoghesi necessitano un programma rivoluzionario per avanzare dalla lotta contro la troika a quella contro il capitalismo.