Sabato 9 e Domenica 10 Marzo si è riunito a Roma il Comitato Politico Nazionale (Cpn) del Prc. Si trattava della prima riunione dopo l’ennesima disfatta politica ed elettorale avuta alle elezioni con Rivoluzione Civile.
Molti militanti si aspettavano una risposta per uscire dalla crisi in cui la strategia della Segreteria nazionale, fatta di continui cambi di linea sempre in attesa del contenitore salvifico, ha condotto il partito. Qualche compagno aveva sperato che le dimissioni della Segreteria potessero aprire un confronto approfondito in tutto il partito, analizzando le ragioni dei continui zig zag di linea politica e della conseguente crisi in cui è piombato in Prc.
Nulla di tutto questo. Dalla maggioranza del gruppo dirigente nessuna proposta è emersa lasciando i militanti, già confusi e demoralizzati per la linea seguita fino ad oggi, in un'attesa che rischia di consumare le energie rimaste e la voglia di riscatto.
Ancora la doppia verità
Tutto il Cpn è stato attraversato da un dibattito sulle prospettive e sul congresso straordinario. Oltre alla posizione di FalceMartello, espressa nel dibattito e riassunta nel documento finale presentato, si sono confrontate due opzioni principali.
In primo luogo quella del segretario Ferrero che iscrive la sconfitta dentro un quadro in cui a suo dire non ci sarebbe lotta di classe, assolutizzando la parzialità del conflitto che pure esiste, non sapendo cogliere i settori in lotta e soprattutto negando le responsabilità dei gruppi dirigenti a partire da quello del Prc, che ha abbandonato da tempo ogni tentativo di lotta nel sindacato e contro le burocrazia sindacali.
Ferrero ammette che Rivoluzione Civile ha fallito, d’altronde non potrebbe fare altro, ma fornisce una spiegazione segnata da elementi di “casualità”, in cui avrebbe un ruolo chiave una gestione sbagliata della campagna elettorale.
L’esito politico di questa sconfitta non è altro che la riproposizione della formula vuota della “costruzione di una sinistra antiliberista unita e autonoma dal centrosinistra”, come dire la montagna ha partorito il topolino.
L’altra posizione principale emersa nel dibattito è stata spiegata da Claudio Grassi. Sconfitta senza appello, ennesima battuta d’arresto dopo le europee e il fallimento della Federazione della Sinistra, fallimento del percorso dal congresso di Chianciano. Da questa disfatta secondo i compagni di Essere Comunisti si uscirebbe guardando alle contraddizioni nel Pd dopo l’era Bersani ed “aprendo un dialogo con tutti i soggetti politici e sociali, sindacali, di movimento che stanno a sinistra del Pd, per iniziare il percorso che porta alla costruzione della sinistra alternativa”, il primo interlocutore appare essere Sinistra Ecologia e Libertà.
Entrambe le proposte ripropongono terreni già battuti che ci hanno consegnato l’attuale quadro disastrato.
Come ha ammesso il segretario nelle conclusioni e come emerge da tutti gli interventi “siamo di fronte ad una divisione del gruppo dirigente”. Una simile diversificazione di analisi e di proposta che ha attraversato tutto il dibattito avrebbe meritato una conclusione coerente con due documenti diversi nella ex maggioranza del Prc. Così non è stato. Un accordo di vertice culminato con un documento comune che non affronta i nodi politici ma costruisce un finto ed instabile equilibrio tra le correnti della maggioranza ha tentato di negare le divergenze, consegnando il partito allo stallo e mettendone a rischio il già compromesso futuro. Ancora una volta la doppia verità: una per i militanti ed una per i gruppi dirigenti.
La farsa del dibattito sul congresso
Dopo una sconfitta di queste caratteristiche un gruppo dirigente dotato di un minimo spirito di autocritica si sarebbe dimesso. Lo stesso Ferrero all’ultima Direzione Nazionale del Prc prima delle elezioni, convinto di avere il quorum in tasca, aveva annunciato le dimissioni ed il congresso immediato in caso di sconfitta.
Ma davanti alla prova dei fatti la reazione è stata ben diversa. La segreteria ha presentato dimissioni di circostanza e ha rifiutato il congresso subito.
Come compagni di FalceMartello abbiamo presentato un ordine del giorno che chiedeva il congresso entro l’estate, per ridare la parola al partito e potersi confrontare su un'ipotesi politica e programmatica in grado di uscire dall’impasse attuale. Su proposta della Presidenza il Cpn ha negato l’ammissibilità di questo ordine del giorno che non è stato messo ai voti.
Ma il paradosso si è avuto quando la maggioranza si è divisa al suo interno proprio sullo stesso punto e c'è stato uno scorporo della parte sul congresso come risultato della divisione tra la proposta di Ferrero che chiedeva il congresso entro il 2013, e quella di Grassi sul congresso subito.
Si è tolto così il diritto ai compagni delle minoranze di partecipare a una decisione che dovrebbe riguardare l'intero organismo dirigente e non solo i compagni della maggioranza. Nella votazione si è affermata con 43 voti contro 23 la posizione di Ferrero, del congresso farsa lungo quasi un anno che avrà come effetto la paralisi del partito.
Sui documenti conclusivi 11 voti sono stati raccolti dal nostro documento e 5 dal documento presentato da Targetti e altri
Senza linea e senza capacità di direzione politica
Il risultato di questa due giorni di dibattito è un partito senza linea, senza un gruppo dirigente che si assume l’onere di indicare un percorso di uscita e senza la possibilità per i militanti di avere tra le loro mani un percorso limpido di discussione per via congressuale. La segreteria dimissionaria gestirà il partito per un anno, con l'eccezione del compagno Grassi che considera irrevocabili le sue dimissioni (altri due compagni della sua area restano però in Segreteria).
Ancora una volta, come abbiamo scritto in tutti gli snodi chiave del dibattito del Prc dal 2008 ad oggi, “l’eterno ritorno del sempre uguale”.
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