Si è riunita martedì 9 giugno la direzione nazionale del Prc per valutare il risultato delle elezioni. Alcune considerazioni del compagno Claudio Bellotti (Segretaria nazionale Prc)
Abbiamo degli alleati, possiamo cercarne altri? Benissimo, ma per fare battaglie precise, nella chiarezza di cosa ci unisce, cosa ci divide, chi siamo. Individuiamo cento situazioni chiave della crisi e mettiamo in piedi un intervento a 360 gradi come è stato fatto in alcune situazioni positive ma isolate, e su questo cerchiamo di schierare tutte le forze possibili anche esterne al partito; individuiamo quelle vertenze territoriali che ancora resistono e facciamo lo stesso; apriamo un serio dibattito sulla situazione del sindacato e lavoriamo ad aggregare un fronte che lanci una proposta chiara di fronte alla paralisi del gruppo dirigente della Cgil, paralisi che apre la strada a cedimenti vistosi verso le varie proposte di contratto unico (cioè un nuovo attacco all’articolo 18) che in assenza di una reazione potrebbero essere il preludio a un rientro nei ranghi il cui rischio aumenta di giorno in giorno.
Le stesse sperimentazioni sul terreno del partito sociale sono ricche di insegnamenti (penso in particolare all’intervento in Abruzzo) che per essere valorizzati vanno però sottratte a una logica propagandistica che rischia di soffocarne le potenzialità maggiori.
Questo è il lavoro da fare. La politica dei pesi e contrappesi è la politica della paralisi, del galleggiare su una situazione che di per se stessa non evolve certo in modo positivo.
2. I compagni della mozione 2 sono entrati molto baldanzosamente nel dibattito al grido “Chianciano è stata sepolta dalle urne”. È loro diritto farlo, sarebbe bello sapere cosa ne pensa il segretario. In realtà i due nodi di Chianciano sono ancora aperti, irrisolti e terreno di forte conflitto: esistenza del Prc come forza antagonista e anticapitalista, subordinazione o meno rispetto al Pd. La scissione e le elezioni hanno spostato questo scontro di strategia su un terreno diverso da quello di Chianciano, ma non lo hanno certo risolto. Vogliamo derubricarlo, nasconderlo, o vogliamo discutere una strategia per far prevalere la posizione di sinistra? Per il momento registro che a Chianciano si parlava di “alternatività strategica” al Pd, oggi si parla di “autonomia”. Anche le parole hanno un significato preciso.
Sempre dai compagni della mozione 2 nel corso della direzione è venuto un attacco molto preciso contro il risultato “eccessivo” del compagno Mimmo Loffredo, candidato della Fiat di Pomigliano, che ha raccolto 8000 preferenze. Ci si dice che questo avrebbe danneggiato la testa di lista. Siamo dunque un partito nel quale il successo del voto operaio fa scandalo? Anche su questo il silenzio del segretario nelle sue conclusioni grida più di mille parole. A quanto pare gli operai in lista ci devono stare come medagliette, non come strumento di ricostruzione dell’intervento nelle fabbriche.
3. C’è una nuova offensiva contro le componenti interne al partito. Si fa demagogia contro chi coltiverebbe orticelli, veri o presunti. Su questo mi permetto di dire a tutti i compagni che in buona fede chiedono giustamente unità e azione comune nel partito, di prestare grande attenzione. Bisogna fare la fatica di guardarci, dentro questi orticelli, per vedere se ciò che vi cresce sono erbacce, piante velenose o se invece c’è qualcosa di fecondo che può servire al partito tutto. Le componenti possono piacere o meno, ma perlomeno sono trasparenti. Si può misurare alla luce del sole ciò che ciascuno dice e fa, la ricchezza o povertà delle posizioni di ciascuno, la coerenza tra parole e fatti. L’alternativa, oggi, sarebbe quello di una finta unità nella quale al dibattito fra componenti si sostituirebbe il dibattito nelle segrete stanze, con cricche e cordate che si aggregano per conquistare posizioni.
È invece verissimo che va intrapresa subito (non fra sei mesi) una seria lotta per fare sì che il partito metta ai “posti di comando” (che poi devono essere solo dei posti dove ci si spacca la schiena per lavorare) compagni/e che siano selezionati per capacità politica, di intervento, di costruzione. Nelle sue conclusioni in Direzione, il compagno Ferrero si è abbandonato a una descrizione sconfortante di quello che a suo modo di vedere sarebbe il nostro militante medio, dipinto come un personaggio roso dal cinismo nel migliore dei casi, carrierista precocemente invecchiato nel peggiore. Ebbene, respingo questa descrizione che è un insulto ai tanti compagni e compagne che in questo partito ci mettono anima e corpo senza chiedere nulla in cambio che non sia la soddisfazione di fare la cosa giusta. Riconosco tuttavia che quella descrizione si attaglia a una parte consistente del quadro dirigente, e il fatto che sia stata accolta senza batter ciglio da parte di molti dei compagni presenti alla riunione (naturalmente è solo una sensazione, che tuttavia ho provato molto forte) mi fa pensare che molti non solo la riconoscessero come vera, ma vi si riconoscessero almeno in parte. Se le cose stanno così, il compito non è denigrare il partito e i suoi militanti, ma chiamarli a raccolta per fare piazza pulita di cinici e carrieristi che intasano i nostri organigrammi.
4 Riorganizzare il partito, quindi, ma sul serio. Non possiamo più permetterci un funzionamento e degli assetti interni che troppo spesso vanificano e disperdono lo sforzo generoso dei nostri militanti.
I problemi più evidenti sono:
- un perdurante distacco fra il gruppo dirigente nazionale e il corpo del partito;
- una percezione distorta di ciò che realmente è il partito da parte di molti suoi dirigenti nazionali; in altre parole, si continua a non prendere atto delle nostre reali dimensioni, dell’asprezza della battaglia che abbiamo davanti non per qualche mese di “purgatorio”, ma per tutta una fase politica;
- una forte autoreferenzialità del gruppo dirigente nazionale e un prevalere di una concezione spesso d’immagine e “convegnistica” della funzione dirigente.
A questo si aggiunga che l’esclusione dal parlamento europeo ci consegna anche l’aggravarsi del nostro problema finanziario. Va infine aperta una riflessione sullo stato del partito in aree-chiave del paese, particolarmente nel nord.
Nell’affrontare questa discussione vanno tenuti fermi due principi aurei. Primo: la critica deve sempre partire dai “piani alti”, ossia un gruppo dirigente deve sempre essere pronto a mettersi in discussione in maniera trasparente. Secondo: non si può derogare sul punto del bilancio del lavoro svolto, come peraltro abbiamo anche scritto nel documento conclusivo del congresso nazionale.
Da questo punto di vista dobbiamo riconoscere che le decisioni assunte lo scorso autunno, quando abbiamo stabilito responsabilità e assetti nazionali, in larga parte non hanno prodotto i risultati necessari. A scanso di equivoci dico subito che mi assumo la piena responsabilità di aver votato e quindi sostenuto quelle proposte; la mia critica non è quella di chi vuole tirarsi da parte e prendere una posizione comoda senza assumersi l’onere della proposta. Tuttavia va preso atto della realtà.
Il nostro assetto fatto di ben 49 dipartimenti nazionali strutturati in 6 aree facenti capo ad altrettanti membri della segreteria, si è dimostrato elefantiaco, poco produttivo e viziato dall’equilibrismo delle componenti che rende scarsamente esigibile un bilancio trasparente del lavoro svolto.
Difendo il ruolo politico delle diverse aree che compongono il nostro partito, sono convinto che il fatto che il nostro dibattito sia esplicito e riconoscibile sia un fatto positivo, perché permette di misurare la coerenza di ciascuno e la ricchezza (o meno) delle diverse posizioni. Tuttavia questo non può diventare lo schermo che rende illeggibile il funzionamento del partito, il rischio è che si stabilisca sempre una reciproca assoluzione fra componenti della maggioranza che di fatto rende impossibile un funzionamento sano e corretto della nostra struttura.
Penso che vadano rimessi a disposizione tutti gli incarichi dirigenti del nostro partito, ossia: segreteria, Direzione nazionale, incarichi nazionali (dipartimenti e aree). Perché anche la Direzione, che è un organo puramente politico? Perché oggi, come risultato dei processi di cui dicevo sopra, la Direzione va ricomposta in modo tale da unificare direzione politica e responsabilità dei diversi settori. È assurdo che vi sia un organismo che discute senza avere al suo interno tutti i compagni che poi quelle discussioni dovranno tradurle in pratica e iniziativa politica quotidiana; specularmente, è altrettanto assurdo che esistano compagni/e che hanno assunto responsabilità importanti e che non sono presenti in Dn (alcuni neppure nel Cpn): faccio solo tre esempi: né il responsabile lavoro, né quello del dipartimento partito sociale, né il responsabile immigrazione, fanno parte degli organismi dirigenti. La scissione fra la discussione politica e la sua traduzione pratica è qualcosa di esiziale che dobbiamo rompere.
Non abbiamo bisogno di una Direzione con 49 dipartimenti e 6 “capi-area”, che assomiglia a un governo infarcito di sottosegretari. Dobbiamo identificare una dozzina di settori chiave, sceglierne i responsabili in una discussione trasparente su quanto fatto fin qui, discutendo quindi caso per caso e non proponendo il solito “listone” fatto col bilancino. Per farlo, va convocato un Cpn allargato, in modo da avere la presenza di tutti quei compagni (segretari di federazione, ecc.) che pur non facendone parte devono essere pienamente coinvolti in queste scelte.
Il Cpn deve discutere singolarmente di tutte le proposte e candidature per ciascuna di queste responsabilità, anche attraverso approfondimenti in commissioni o gruppi di lavoro, per poi scegliere democraticamente fra tutte le proposte in campo, fuori dalla logica degli equilibri di componente e delle fedeltà. Pazienza se l’amor proprio di qualche compagno/a dovesse uscirne ammaccato, ci guadagnerà l’amor proprio del partito.
La nuova Direzione nazionale va costruita in modo che chi ha responsabilità nazionali ne faccia obbligatoriamente parte. Resta quindi un ampio margine (la direzione attuale ha 45 componenti, quella eletta al congresso ne aveva 60) per integrare l’organismo dirigente ristabilendo le proporzioni fra le aree politiche, la presenza di territori, ecc.
Si tratta di una proposta che salvaguarda quindi una serie di punti chiave.
- rispetta il pluralismo interno al nostro partito
- razionalizza il nostro funzionamento
- punta a creare una reale corrispondenza fra parole e fatti, fra proposta e verifica.
Infine una proposta specifica. Abbiamo deciso, secondo me giustamente, di dotarci di uno specifico strumento per approfondire la situazione del nord Italia. Sono state prodotte analisi e proposte interessanti sulle quali ritengo si dovrebbe investire allargando e approfondendo quanto fatto. Forse sarebbe il caso di decentrare alcune funzioni nazionali in una federazione del nord, con l’obiettivo di avere la massima ricaduta positiva sul partito in un’area che non è geografica, ma è politico-sociale, nella quale siamo in forte sofferenza e dalla quale non possiamo prescindere se vogliamo costruire un partito in grado in futuro di sfidare con efficacia l’egemonia berlusconiana e leghista, ma anche le suggestioni del “Pd del nord” e i potenti blocchi di potere che innervano entrambi questi schieramenti.
Molto altro vi sarebbe da dire, ma riterrei ipocrita non segnalare innanzitutto quelli che sono a mio avviso i punto più brucianti sui quali dobbiamo deliberare, e sarebbe mortale annacquare questi problemi in una discussione generica. Dobbiamo dire con chiarezza cosa vogliamo cambiare e per andare dove, se non vogliamo che di Chianciano rimanga solo un’ombra buona magari a essere evocata per fare poi tutt’altro.
11 giugno 2009