Un minuto di silenzio per i morti sul lavoro, proposto dalla segretaria del circolo Poste di Milano Patrizia Granchelli, ha aperto una discussione che è stata condotta, come chiesto nella relazione del responsabile Partito nei luoghi di lavoro Alessandro Giardiello, «senza partire da tesi preconfezionate», ma dando la parola ai compagni che conducono il lavoro in prima fila cercando di scendere «dal generale al particolare» per poter poi trarre delle conclusioni fondate su dati di fatto solidi.
Una richiesta di concretezza, una aderenza quasi plastica a un movimento che si sta ampliando, con decine e decine di aziende presidiate, ma che si sviluppa partendo da condizioni di estrema frammentarietà, in un quadro politico-sindacale quanto mai complesso e segnato da un forte isolamento. La parola “vuoto” non a caso è ricorsa in diversi interventi: vuoto di riferimenti organizzati, «operai senza partito e, spesso, anche senza sindacato», ha segnalato nelle conclusioni Claudio Bellotti.
E’ questo il contesto di esperienze con un importante elemento di autorganizzazione, nei presidi, nei coordinamenti che qua e là cominciano a sorgere, a testimonianza che, come suggerito nel loro intervento dagli operai dell’Agc di Cuneo, il “vuoto” può anche essere visto come uno “spazio” su cui lavorare. Molti dei coordinamenti e comitati sono sorti attorno a vertenze che hanno assunto un valore simbolico: così il caso del coordinamento lavoratori del Piceno attorno alla vicenda Manuli, raccontato da Gabriele De Angelis, l’esperienza del Friuli a partire dalla Safilo, o quella di Parma lanciata dalla lotta della Spx.
«L’autorganizzazione - ha detto Edgar Banja, lavoratore Danieli di Udine - nasce innanzitutto dalle latitanze sindacali».
Tra gli altri intervenuti ricordiamo Maurizio Stabile, lavoratore delle Poste di Como e militante Cub, licenziato per aver “danneggiato l’immagine dell’azienda” con le sue denunce sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza, Francesco Brigati del Comitato lavoratori in lotta dell’Ilva di Taranto, Giovanni Rivecca della Fiat-Sata di Melfi, Mimmo Loffredo da Pomigliano, Maria Lucia Bisetti dalla Azimut di Avigliana, Osvaldo Celano della Marcegaglia di Sesto, Emilio Fois che ha raccontato la crisi della chimica in Sardegna, Francesco Santoro e Beppe Violante da Modena, Angelo Pagaria dell’Eutelia di Pregnana Milanese. Da Mario Maddaloni, circolo Prc della Napoletanagas, una richiesta precisa al partito di lavorare a un forte intervento in un settore che da qui al 2012 sarà nel pieno del processo di liberalizzazione. Antonio Mangione del circolo Trasporti di Milano ha ripercorso con rabbia il calvario di migliaia di lavoratori degli appalti ferroviari, frantumati dal dilagare di appalti e subappalti, dalle gare al massimo ribasso, spesso drammaticamente divisi fra italiani e immigrati.
Silenzio in sala ed emozione quando ha preso la parola Gianni Frizzo, dirigente della lotta delle Officine di Bellinzona, che con 31 giorni di sciopero hanno salvato l’azienda e scosso una Svizzera che «non vedeva una lotta simile dal 1918». Grande interesse anche per le parole di Giuliana ed Emidia, fra le protagoniste del gruppo Officina Donna, che nella lotta di Bellinzona ha saputo far rivivere dentro e fuori la fabbrica il protagonismo delle donne: «Cose che non si vedevano dal ‘68…».
«Non facciamo della nostra lotta una bella storiella da raccontare - ha esortato Gianni - abbiamo lavorato per anni per costruire un gruppo operaio che godesse della fiducia dei propri colleghi di lavoro».
Sul ruolo dei quadri di fabbrica sono tornati in molti. Significativa la considerazione di Silvia Tagliabue, giornalista free-lance e collaboratrice della Cub, che ha testimoniato in modo magistrale i 15 mesi di lotta della Innse di Milano in un documentario proiettato ormai in decine di aziende, presidi, circoli: «Alla Innse si vedeva all’opera una strategia e una tattica studiata in modo dettagliato dai dirigenti della lotta».
Conclusioni “aperte” da parte di Claudio Bellotti, responsabile del dipartimento Radicamento sociale: «Un percorso di autorganizzazione è possibile e necessario, lavoriamo su questi legami orizzontali per poter irrompere sui livelli più alti», dove ad oggi i lavoratori faticano a far sentire la propria voce. Bisogna lavorarci lungamente sia sul piano organizzativo che su quello rivendicativo. Parole d’ordine generali, come la rivendicazione di poli industriali pubblici che salvino il patrimonio produttivo a rischio, sono sacrosante ma non scaturiscono di per sé da un movimento che, per condizioni materiali, percorsi, livelli di coscienza e di organizzazione, parte da situazioni assai diverse e solo ora comincia ad allargarsi.
Provare e riprovare, quindi, come ha insegnato anche l’esperienza latinoamericana. Organizzazione del partito e organizzazione delle lotte vanno discusse e praticate in modo contestuale, pena cadere nelle prese di posizione astratte o in una politica di pura immagine.
Prossima tappa, la Conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici di fine gennaio.
(da Liberazione del 29 dicembre 2009)