Bilancio di 5 mesi di lotta contro la precarietà nel call center più grande d’Italia
A Roma i 4.600 lavoratori di Atesia - il più grande call center d’Italia e d’Europa con stipendi da fame tra i 400 e i 500 € in media e 25.000 lavoratori che sono transitati in più di 10 anni senza mai vedere uno straccio di contratto degno di questo nome - sono stati protagonisti negli ultimi cinque mesi di un ciclo di scioperi e manifestazioni che rappresenta senza ombra di dubbio il punto più alto raggiunto finora dalle mobilitazioni contro la precarietà.
Il 12 maggio di quest’anno il primo sciopero, con un’adesione dell’80%. Il primo giugno il secondo sciopero, adesione tra il 60 e il 70%. Migliaia di lavoratori senza un contratto fisso, nelle condizioni di più completa ricattabilità hanno cominciato a dire finalmente “basta!” e a dire che non ci stanno a vedersi presentate proposte di contratti d’apprendistato al momento del rinnovo (che cade proprio in questi giorni), dopo aver lavorato ad Atesia per anni (alcuni perfino 10 anni!).
La direzione della lotta è nelle mani del Collettivo del lavoratori precari autorganizzati, stanchi dell’attendismo dei rappresentati sindacali del Nidil-Cgil impegnati nell’impresa titanica di “gestire” la flessibilità e di far rispettare gli accordi del maggio del 2004, ispirati alla Legge 30 (impegnati quindi a far applicare bene il più grave attacco ai lavoratori di questo paese degli ultimi vent’anni).
Al centro delle rivendicazioni non ci sono cose complicate da capire, c’è solo il diritto al contratto a tempo indeterminato e a potersi costruire un futuro.
Il 22 giugno il primo corteo contro la precarietà parte da Atesia e raggiunge la sede del gruppo Cos che, nel maggio del 2004, ha acquisito dalla Telecom l’80% della proprietà del call center, padrone Alberto Tripi, il più fulgido rappresentante dell’ultima sfornata di capitalisti italiani tutti dediti alle più spericolate speculazioni finanziarie.
Il corteo del 22 Giugno mostra le prime difficoltà ad allargare la mobilitazione e i lavoratori del gruppo Cos non scendono per strada per solidarizzare con il corteo arrivato sotto la loro sede.
Si fa evidente già in quel momento la necessità di tentare in tutti i modi, con assemblee e volantinaggi, di rivolgersi a tutti i lavoratori coinvolgendoli sui passi della mobilitazione che si sta portando avanti, mentre, al contrario, si fa strada l’ìdea che, dal momento che c’erano molte sigle, il corteo era comunque andato bene mentre era evidente come ci fossero solo fasce ristrette di attivisti e mancava il coinvolgimento della massa dei lavoratori, che è quello che serve per invertire i rapporti di forza, a maggior ragione in una lotta così impervia come quella di lavoratori precari.
Prima dell’estate, approfittando di un naturale calo di tensione, parte l’azione repressiva dell’azienda, che non rinnova il contratto a 200 lavoratori, dicendo loro di ripresentarsi a settembre, e licenzia in tronco 4 lavoratori del collettivo “rei” di aver provato ad organizzare un’assemblea per discutere i mancati rinnovi.
A settembre si riprende il filo delle mobilitazioni e il 9 c’è uno sciopero convocato dalla Cgil per tutto il gruppo Cos, il primo sciopero mai convocato per tutto il gruppo. La piattaforma è scandalosamente arretrata e parla dell’applicazione degli accordi del maggio del 2004 spiegati sopra. Ma i lavoratori non scioperano seguendo per filo e per segno quello che c’è scritto sulla piattaforma, scioperano perché vedono questo momento inserito nella lotta più generale contro la precarietà e per migliorare le loro condizioni di lavoro, lotta che da maggio ha avuto un’impennata.
L’occasione sarebbe stata buona per cogliere questa disponibilità dei lavoratori a continuare la battaglia, superare l’arretratezza della piattaforma della Cgil e proporne una più avanzata con cui rilanciare. Il Collettivo però ha preso la decisione di boicottare lo sciopero e di chiedere ai lavoratori di rientrare al lavoro. Chi scrive ha criticato questa scelta nell’assemblea svoltasi alla Festa di Liberazione la sera prima dello sciopero. Pensiamo che si sia persa un’occasione importante per allargare il fronte ed aumentare la forza di cui poter disporre per contrastare l’arroganza di Atesia.
Gli ultimi due momenti di lotta sono lo sciopero del 15 settembre convocato dal Collettivo ad Atesia che ha confermato ancora come ci sia una certa disponibilità dei lavoratori a lottare e il corteo del 29 settembre al quale hanno partecipato anche i precari dell’università, protagonisti delle proteste di queste settimane contro la Moratti.
È necessario fare un bilancio della lotta
È importante approfittare di qualsiasi opportunità per tracciare un primo bilancio e noi, per parte nostra, speriamo di poter dare il nostro contributo.
Non c’è niente di più valido che l’esperienza viva della lotta di classe e capire cosa non è andato oggi può servire a far più male ai padroni domani.
Il Collettivo ha avuto l’inestimabile merito di rompere il ghiaccio ed è evidente che la lotta condotta da questa struttura all’Atesia offra l’indicazione della strada che si deve seguire per uscire dall’angolo in cui i lavoratori precari sono stati confinati negli ultimi anni. Le tesi che asserivano l’impossibilità di reagire vista la completa destrutturazione del mondo del lavoro, sono state ridotte in polvere dallo sviluppo concreto della lotta. Non appena qualcuno si è fatto carico di dare il via, e questo è stato fatto dal Collettivo, i lavoratori hanno trovato nella loro organizzazione, negli scioperi, nei presidi, il canale per reagire ad anni di sfruttamento selvaggio a cui per troppo tempo si è rinunciato a dare la risposta adeguata.
Ma è importante che chi dirige una lotta si ponga costantemente il problema di raggiungere la massima unità tra i lavoratori coinvolgendoli e di allargare il fronte di lotta, trasformando i rapporti di forza raggiunti nella mobilitazione in conquiste.
Ad esempio, non essersi ancora posti l’obiettivo di rinnovare le vecchie rappresentanze sindacali è stato un errore. Nel concreto ne consegue che, nonostante questi rappresentanti non siano più espressione del reale sentimento della maggioranza dei lavoratori, e nonostante da maggio ad oggi ad Atesia si sia avuta una radicale trasformazione della coscienza delle persone che ci lavorano, questi rappresentanti sono ancora lì a concertare nuovi peggioramenti alle condizioni di lavoro.
Tutta l’impazienza nei confronti dell’immobilismo del Nidil è molto più che comprensibile ma se questa rabbia non viene usata per cambiare le cose dentro al sindacato vuol dire che lasceremo ancora che a sedersi al tavolo delle trattative con l’azienda ci vada gente disposta a calarsi le brache ancora prima di entrare.
Come lavoratori de la Nostra Voce - Alternativa operaia in Cgil abbiamo più e più volte avanzato la proposta che si eleggessero delegati di trattativa revocabili in qualsiasi momento e che si promuovesse la formazione di un coordinamento con delegati eletti dalle altre realtà in lotta.
Con il coinvolgimento dei lavoratori si può ottenere che i delegati di trattativa che loro hanno eletto siano quelli con cui l’azienda va portata, obtorto collo, a trattare. Solo così si può farla finita con gli accordi firmati sulla testa di chi li dovrà subire.
il ruolo del prc
Un’ultima parola su Rifondazione comunista. Assessori e rappresentanti di Rifondazione hanno a più riprese dato la loro disponibilità a “dare una mano” ai lavoratori, ma il partito si è mosso sempre con i piedi di piombo, cercando di fare pressioni sul centrosinistra (al governo dappertutto, a Roma, in provincia e nella Regione), fermandosi un passo prima di una possibile rottura dell’alleanza, dando ragione al Collettivo senza criticare la direzione della Cgil. Mesi di tentennamenti ed ambiguità sono sfociati in una contestazione da parte dei lavoratori a Bertinotti durante l’iniziativa ad Atesia per le primarie, in cui il segretario è stato criticato per aver sostenuto di essere a favore dei contratti a tempo indeterminato e contemporaneamente di essere disponibile a ritocchi alla Legge 30 (meglio sempre ammiccare al programma dell’Unione e non urtare troppo la suscettibilità di Prodi).
I lavoratori hanno giustamente detto: “O una cosa o l’altra!”
12-10-2005