I lavoratori dell’Ipercoop di Sesto San Giovanni riuniti in assemblea il 20 dicembre 2007, votano a stragrande maggioranza la proposta di organizzare uno sciopero per protestare contro l’aumento del lavoro domenicale. Lo sciopero doveva tenersi sabato 22 dicembre, in concomitanza con lo sciopero nazionale per il contratto del commercio (nel quale il settore della distribuzione cooperativa non era stato coinvolto). Solo l’intervento dell’apparato sindacale ha impedito che si tenesse l’iniziativa di lotta programmata dai lavoratori. L’esperienza di un lavoratore dell’Ipercoop.
L’idea di organizzare lo sciopero, nasceva dalla constatazione che non era possibile accettare l’ennesimo peggioramento delle nostre condizioni di lavoro senza cercare di opporsi. La Regione Lombardia ha recentemente varato (il 28 novembre scorso) la legge sull’aumento del lavoro domenicale negli esercizi commerciali, proposta di cui si parlava da oltre un anno e sulla quale il sindacato non ha mai mobilitato i lavoratori in iniziative di sciopero. Questo nonostante è evidente il peggioramento che l’aumento del lavoro domenicale rappresenta per i lavoratori del commercio, già martoriati da livelli impressionanti di precarietà e flessibilità, con già tutti i sabati lavorativi obbligatori e con orari che si allungano sempre di più nella fascia serale. Aumentare le domeniche lavorative in una realtà come quella del commercio, rappresenta un attacco spudorato alla qualità di vita dei lavoratori, vuol dire rendere ancora più difficile riuscire a costruirsi una vita sociale fuori dal lavoro.
Per inciso l’approvazione di questa legge è avvenuta senza che il sindacato informasse neppure noi delegati sindacali. La verità è che una parte del sindacato non è poi così contraria al lavoro domenicale (“perché la società cambia”, “perché si dà un servizio al cliente”, ecc.); ma soprattutto è evidente come c’è chi nel sindacato vede con terrore qualsiasi vaga idea di conflitto, per cui si è scelto semplicemente di tacere la cosa. Ricordo che in Coop è da tempi biblici che non si vede uno sciopero, qui la lotta è come se fosse proibita: a differenza dell’altra parte del commercio, non è stata indetta neppure un'ora di sciopero per il contratto nazionale, né per il contratto integrativo, né per le domeniche o altro. L’ultimo sciopero che ha coinvolto i lavoratori Coop è stato quello (di sole 4 ore) dell’autunno 2005, contro la finanziaria del governo Berlusconi… Ci chiediamo: perché la Coop deve essere trattata diversamente dalle altre aziende, quando nel concreto i problemi che vivono i lavoratori in Coop sono i medesimi di quelli delle altre catene commerciali?
Questa questione non sfugge del tutto ai lavoratori e nell’ultimo periodo ha contribuito a generare una sfiducia generale verso il sindacato, visto come connivente con l’azienda. Nell’ultimo anno, nel nostro negozio, le assemblee sono state sempre meno partecipate. Addirittura l’assemblea svolta ad ottobre sul protocollo del Welfare ha visto appena 11 partecipanti su 200 lavoratori (i votanti al referendum sono stati 46, vinto dai favorevoli al protocollo per soli due voti).
Se occasione poteva esserci per organizzare una lotta era questa, il tema delle domeniche è molto sentito tra i lavoratori ed è di facile comprensione. Questa era l’occasione per tentare di rompere una situazione soffocante di pace sociale, apatia e individualismo, che rischia di travolgere tutto il sindacato.
La proclamazione dello sciopero
Nella Rsu siamo solo due lavoratori, entrambi della Cgil. Anche se l’altro delegato è sempre stato sulle posizioni della maggioranza della Cgil – mentre io sostengo le posizioni della sinistra sindacale Rete 28 aprile – su questa questione delle domeniche eravamo entrambi d’accordo a scioperare. Alla fine anche il funzionario Filcams, interpellato dalla Rsu, si era detto d’accordo con lo sciopero, non tanto perché fosse convinto, ma perché pensava che tanto i lavoratori non ci avrebbero seguito. Invece, l’idea che questa questione delle domeniche fosse sentita dai lavoratori e che su questo si poteva creare un clima combattivo nel negozio, si è rivelata assolutamente corretta. Le assemblee convocate sono state le più partecipate dell’intera storia del nostro negozio e hanno votato in modo massiccio il sì allo sciopero. Parteciperanno alle assemblee 68 lavoratori, che nel nostro settore sono un numero molto elevato. Di questi ben 63 si sono espressi per lo sciopero, 5 astenuti, 0 contrari.
Le assemblee si sono svolte due giorni prima dello sciopero e sono state tenute dalla sola Rsu. Sono stati spiegati i termini della legge approvata e l’ingiustizia che ci stanno perpetrando. Va ricordato che con i contratti di assunzione che ha usato Coop negli ultimi anni, non esiste né una facoltatività, né alcuna rotazione rispetto al lavoro domenicale, semplicemente se il negozio è aperto la domenica siamo obbligati a lavorare.
Nelle assemblee è stato spiegato bene un concetto: “è evidente che non basta uno sciopero per cambiare una legge, per fare questo serve un movimento di lotta più ampio. Ma sì, possiamo dare un segnale chiaro all’azienda, che non siamo d’accordo con questo peggioramento. Possiamo dare un segnale importante ai clienti, se gli spieghiamo che fare la spesa la domenica comporta un disagio ai lavoratori, che si può fare benissimo la spesa durante la settimana, questo può essere capito. Negli anni ’80 quando i negozi chiudevano alle 19.30 e la domenica erano sempre chiusi, non è che c’erano le masse affamate che reclamavano un supermercato aperto”.
Infine, lo sciopero serviva da segnale anche ai lavoratori degli altri negozi. Se da noi lo sciopero veniva bene, inevitabilmente questo avrebbe spinto altre Rsu o, comunque, altri lavoratori, a porsi nell’ottica di protestare contro il lavoro domenicale, non siamo certo gli unici lavoratori che osteggiano questo peggioramento. Quello che era sicuro è che se non facevamo nulla, non solo era certo che l’azienda applicava la legge, ma si creavano le condizioni per futuri peggioramenti.
Altra cosa importante che è stata fatta nelle assemblee, è l’aver spronato i lavoratori a porsi in modo attivo, spiegando agli altri colleghi che non erano venuti in assemblea (perché di riposo, o perché lavoravano in orari lontani dalle assemblee, ecc.) la giustezza dello sciopero, dando i volantini, ecc. Ed è quello che hanno fatto. Non esagero nel dire che nel giro di un giorno, il clima nel mio negozio era totalmente cambiato rispetto a quello visto in questi quattro anni e mezzo. Una volta innescata la lotta di classe ha una dinamica tutta sua. Era impressionante vedere, come nelle ore successive alla proclamazione dello sciopero, tutta una serie di lavoratori venirmi a dire che avrebbero fatto sciopero convinti da altri colleghi, sono venute persino delle promoter (che non sono dipendenti di Coop) a dirmi che sabato 22 non sarebbero venute a lavorare per solidarietà. C’era gente che non aveva mai partecipato a nessuna assemblea in vita sua, eppure aveva deciso di scioperare. Tutto era pronto, avevamo anche un volantino da utilizzare al presidio esterno al negozio rivolto ai clienti.
La revoca dello sciopero
Quello che è avvenuto è chiaro. Appena abbiamo consegnato la comunicazione di proclamazione dello sciopero all’azienda, la Coop ha fatto pressioni sulla Cgil per convocare un incontro urgente per il giorno successivo. Non è possibile sapere cosa è successo nei piani alti della struttura sindacale, quello che è certo è che dopo la proclamazione dello sciopero l’atteggiamento del funzionario sindacale era completamente cambiato: la mia era una “posizione politica” di cui me ne assumevo le conseguenze, preconcetta per lo sciopero, che io non ero necessario alla trattativa e che avrebbe deciso la struttura “insieme alla Rsu che ci sta”. L’altro delegato di fronte alle pressioni della struttura sindacale, si era immediatamente allineato. Era evidente che stavano preparando una revoca dello sciopero.
Alla trattativa, venerdì 21, erano venuti anche i massimi dirigenti di Coop Lombardia, mentre per la delegazione del sindacato c’erano due funzionari Cgil, più noi due della Rsu. Riassumendo la trattativa, l’azienda era disposta a tutto pur di revocare lo sciopero, si sono detti aperti a risolvere tutti i problemi interni che da oltre un anno avevamo posto come Rsu senza ottenere risposte (passaggi livello, riproporzionamenti, calendari annuali dei turni, ecc.). I funzionari prendono la palla al balzo e inizia l’altra trattativa: io che volevo fare comunque lo sciopero e gli altri tre che non ne volevano più sapere. Non riuscendo a sbloccare la situazione, vado anche a prendere un lavoratore di quelli più avanzati e lo porto alla riunione, cercando di fare di tutto per convincere almeno l’altro delegato; se la struttura sindacale non voleva più lo sciopero potevamo almeno mantenerlo come sola Rsu. Ma anche questo non è servito, l’altro delegato sotto la pressione dei funzionari adesso sosteneva persino che lo sciopero non serviva a niente. Alla fine mi sono ritrovato in minoranza e non ho potuto evitare la revoca dello sciopero. Ho potuto solo assicurarmi che tutta la vicenda sia di nuovo discussa tra i lavoratori in una nuova tornata di assemblee. Certo, sotto la minaccia dello sciopero, l’azienda è stata costretta a mettere per iscritto un verbale di accordo che recepisce tutta una serie di concessioni per i lavoratori, richieste che da tempo ponevamo. L’accordo impegna l’azienda a: passaggi di livello entro gennaio nei reparti previsti dal contratto, la consegna di calendari mensili e annuali dei turni al posto di quelli settimanali (cosa che in tutti gli incontri precedenti veniva sempre considerata “impossibile”), miglioramenti riguardo alla comunicazione dei turni delle cassiere e una calendarizzazione di incontri esplicitamente finalizzati ai riproporzionamenti (cioè per passare a più ore contrattuali i lavoratori part-time che ne hanno fatto richiesta). Se tutto quello che si è ottenuto è positivo per i lavoratori, il problema è che riguardo alle domeniche siamo ancora al punto di partenza.
Le assemblee
Alle assemblee svolte il 28 dicembre parteciperanno 50 lavoratori. Il funzionario ha cercato di prendere tutto il tempo a disposizione per parlare solo dell’accordo, senza toccare il tema delle domeniche. Poi, quando il tema veniva affrontato, invece di spiegare come potevamo contrastare questa legge ingiusta, si è cercato semplicemente di convincere i lavoratori che sulle domeniche non dovevamo fare nulla. Tutti i ragionamenti del funzionario, erano i soliti luoghi comuni a favore del lavoro domenicale, come il fatto di paragonare il lavoro domenicale che facciamo nel negozio a quello di chi lavora in ospedale (!), o il fatto che così la Coop guadagna di più e questo è anche nel nostro interesse (!), che non si può andare contro le leggi approvate e chi lo fa è nell’illegalità (!), ecc. Proprio un bel modo di convincere i lavoratori che il sindacato fa di tutto per difendere i nostri interessi!
Quello che ho spiegato è che se si erano ottenute delle concessioni - nel giro letteralmente di un giorno dopo che in un anno l’azienda sosteneva che le stesse erano impossibili - dimostra solo che la lotta è cento volte più efficace di tanti incontri verbali. Ma se eravamo riusciti ad ottenere alcune cose (che per la verità già ci spettavano), sulle domeniche eravamo a punto a capo. Lo sciopero andava mantenuto ed è necessario mettere in campo delle iniziative contro il lavoro domenicale. Non si può dire che ormai c’è una legge e non possiamo fare nulla, se una legge è sbagliata è nostro dovere opporci e tentare di cambiarla. Forse che la legge 30 sulla precarietà non è stata approvata e non è comunque nostro dovere fare di tutto per cambiarla? Soprattutto, bisogna finirla di parlare sempre e continuamente del problema, agitato in toni minacciosi, di come vanno male gli affari a Coop e che è nel nostro interesse che aumentino i profitti dell’azienda (e quindi se ne deduce che va concesso l’aumento del lavoro domenicale). Concentriamoci a discutere in modo serio del problema dei nostri salari e dei nostri interessi di lavoratori, che si possono difendere solo iniziando ad organizzare iniziative di lotta.
Le assemblee sono finite senza una proposta operativa unitaria. E’ del tutto evidente, ormai, che non è possibile portare avanti nessuna lotta, né alcuna trattativa seria con l’azienda, se prima non si elegge una nuova Rsu più forte numericamente e su posizioni combattive. Il tentativo di organizzare lo sciopero non è riuscito. Però, non è stato tutto inutile. La cosa più importante che si è ottenuto è che una fetta di lavoratori ha preso maggiore coraggio e consapevolezza della propria forza. Diversi lavoratori sono emersi in tutta questa vicenda, magari persone che prima non venivano mai in assemblea e adesso hanno capito che non solo è importante partecipare, ma che è indispensabile intervenire e impegnarsi in prima persona per cercare di cambiare le nostre condizioni.
Conclusioni
Questa vicenda dimostra, nel suo piccolo, il livello di degenerazione a cui è arrivata una parte del sindacato. Ovviamente, niente di assolutamente nuovo, ma forse si è scesi di un gradino al di sotto di quello che eravamo abituati.
Questa vicenda, altresì, dimostra nel concreto come il problema della pace sociale non è dovuto tanto ai lavoratori (che in quest’occasione erano per lottare, eccome), ma il problema è sempre di direzione. Sono stati i funzionari sindacali che coscientemente hanno soffocato la conflittualità che stava emergendo.
Un’altra considerazione riguardo alla realtà di questo posto di lavoro, tutto sommato piccolo (200 lavoratori), dove sembrava che non c’era proprio nessun accenno di conflittualità. Eppure, a furia di insistere, nelle assemblee e nelle discussioni, si è riusciti a far emergere il conflitto e anche quella coscienza di classe, che si è concretizzata nella combattività di diversi lavoratori.
L’ultima considerazione sull’importanza dei quadri. E’ del tutto evidente come in definitiva quello che è decisivo sono sempre i quadri su cui si può contare. E’ necessario che più lavoratori scelgano di impegnarsi in una militanza attiva, per sviluppare livello di coscienza e capacità di intervento. Se ci fosse stato letteralmente anche solo un militante formato in più su cui contare, tutto il corso di questa vicenda sarebbe stato molto diverso. Con tutto quello che ne sarebbe conseguito in termini di nuove possibilità che si aprivano per estendere il conflitto di classe.