Due bombe ad orologeria
"Una bomba a orologeria". Così titolava un articolo del Sole 24Ore del 13 marzo scorso riferendosi in particolare ai Lavoratori socialmente utili (Lsu) e ai precari impiegati nella scuola. Ma la preoccupazione oramai coinvolge tutti i 120mila Lsu censiti dal Ministero del Lavoro, che secondo un decreto (DLGS 81 del 2000) dovrebbero trovare collocazione stabile entro il 31 ottobre del 2000, altrimenti gli enti che li utilizzano dovranno pagare il 50% (400mila lire) del loro assegno mensile per gli ultimi 6 mesi di proroga possibili. La situazione finanziaria degli enti locali però non da nessuna garanzia ai Lsu, per effetto dei tagli dei finanziamenti agli enti locali operati dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni, e che si sono fatti sentire soprattutto al sud dove sono concentrati ben 111mila Lsu. Di tutto questo i lavoratori hanno dimostrato d’essere coscienti negli ultimi mesi.
Anche il sindacato guarda con preoccupazione alle prossime scadenze. In una richiesta urgente di incontro con il governo datata 8 giugno 2000 a firma dei responsabili nazionali di categoria di Cgil Cisl e Uil, essi registrano "una generale e preoccupante stasi, e anche gravi arretramenti, sui vari fronti di iniziativa", ma dell’incontro che sarebbe dovuto tenere a luglio non si sa ancora niente.
La piattaforma confederale presentata in varie assemblee con i lavoratori a maggio non lascia comunque presagire nulla di buono. Si punta ancora su società miste e cooperative di Lsu alle quali affidare lavori e servizi di competenza degli enti locali e dello stato, privatizzandoli, e in tal senso si giudica positivamente il nuovo decreto perché servirebbe ad esercitare pressione su quegli enti locali che hanno sfruttato questi lavoratori per coprire i loro vuoti di organico a costo zero, risparmiando migliaia di miliardi.
I confederali puntano anche a prepensionamenti allargati, perché si rendono conto che in pochi mesi non potrà essere realizzato quello che non è stato fatto in tre anni, e sperano che il governo offra ulteriori incentivi alle imprese che assumono Lsu.
In altre parole, i vertici sindacali stanno facendo di tutto per non offrire alla protesta dei lavoratori uno sbocco unitario e una soluzione comune per tutti.
I Lsu non possono aspettarsi nessun miglioramento della loro condizione a partire da questa piattaforma. Anzitutto perché i prepensionamenti non coinvolgerebbero che il 18% di loro, senza tener conto dei circa 8mila giovani Lpu, e sempre ammesso che un provvedimento di questo tipo non venga bloccato dal centrodestra, come accadde al decreto che doveva a marzo stabilizzare la posizione del 1.800 Lsu impiegati negli uffici giudiziari. La possibilità poi che una impresa, anche di fronte ad un incentivo di 18 milioni, preferisca un Lsu con famiglia ed esperienza sindacale, a un giovane precario e flessibile, non può neppure essere considerata seriamente. Infine perché società miste e cooperative non potrebbero dare occupazione che a una piccola parte di loro, per di più a salario ridotto e con la necessità successivamente di competere sul mercato con altre cooperative e società di servizi per mantenere gli appalti.
Dobbiamo invece lottare per impedire che gli Lsu diventino come si vorrebbe lo strumento per lanciare, specie a sud, una serie di privatizzazioni selvagge di servizi essenziali come la manutenzione di strutture ed edifici pubblici, persino cimiteri, o dei servizi di pulizia e amministrazione (segreteria) della scuola. I lavoratori hanno imparato, attraverso i casi della Telecom o delle FS, solo per citare qualche esempio, cosa significhino per loro le privatizzazioni: intensificazione dei ritmi di lavoro, tagli al personale e peggioramenti salariali.
Gli stessi utenti di questi servizi non hanno avuto nessun beneficio dalle privatizzazioni. Nel caso della scuola si aggraverebbe una situazione resa già pesante (ancora una volta soprattutto al sud, ma non solo) dai tagli dei finanziamenti, dal-l’Autonomia e dalla Parità scolastica.
Nei mesi di giugno e luglio ci sono state già le prime risposte dei Lsu, con la manifestazione nazionale dei Cobas del 28 giugno e con alcune manifestazioni locali. Sarebbe necessario però coinvolgere la massa di questi lavoratori, cosa che finora non è riuscita né ai sindacati extraconfederali né ai vari movimenti autonomi. La ragione è semplice: la stragrande maggioranza dei Lsu sono operai provenienti dall’edilizia o dall’industria, metalmeccanici e chimici prevalentemente, (dati del Ministero del Lavoro) ed hanno mantenuto la loro appartenenza sindacale confederale, pur maturando un alto livello di critica nei confronti del sindacato che personalmente abbiamo potuto riscontrare in modo diretto in alcune assemblee in provincia di Caserta. Cgil Cisl e Uil sanno che questa volta potrebbe essere necessario il ricorso ad uno sciopero generale dei Lsu, come unica valvola di sfogo possibile per contenerne la rabbia.
Potremmo perciò assistere tra settembre e ottobre a mobilitazioni diverse e più incisive di quelle viste in precedenza. Ma sarà necessario dotarsi di una piattaforma vera per risolvere il problema, che rivendichi la stabilizzazione degli Lsu nelle piante organiche i cui buchi essi hanno coperto. Nella scuola, per fare solo un esempio, ci sono 40.000 posti vacanti e solo 15.000 Lsu impiegati (dati della direzione generale del Ministero dell’Istruzione), perché ricorrere alle cooperative allora? Alla base appunto c’è la scelta politica di liquidare quello che resta della presenza del pubblico anche nei servizi che invece dovrebbero dal pubblico essere garantiti.
Rifondazione Comunista potrebbe giocare un ruolo di primo piano rispetto ai Lsu. La piattaforma del partito ha fatto passi avanti, ma si muove ancora in una pericolosa ambiguità, accettando ancora l’idea delle società miste e delle cooperative, e quindi delle privatizzazioni, come possibile soluzione al problema Lsu. Comunque anche la migliore piattaforma di per sé non basta. Il partito dovrebbe mobilitare attorno ad essa i militanti, in particolare al sud, e intervenire contro la frammentazione prodotta dal governo e dal sindacato, offrendo una prospettiva unitaria ai Lsu. E dovrebbe orientarli al resto dei lavoratori, per una battaglia unitaria contro precarietà e flessibilità, per impedire "guerre tra poveri" come quella avvenuta in Sicilia, dove di fronte all’annuncio di una possibile e consistente riduzione del personale, i lavoratori della Regione sono ricorsi al Tar contro l’intenzione di assumere Lsu.
Nelle regioni come la Campania dove il Prc è al governo col centrosinistra invece, pur avendo inserito nell’accordo programmatico la questione degli Lsu, spesso però senza una definizione precisa dei percorsi, si corre il serio rischio di essere visti come controparte dai Lsu, aggravando la crisi di radicamento che il partito vive al sud.
Una occasione è stata già parzialmente sciupata con la conferenza dei quadri meridionali, svoltasi a giugno a Napoli, dove la questione Lsu non ha trovato spazi sufficienti di discussione e organizzazione dell’iniziativa politica.
Nei prossimi mesi è necessario premere con forza affinché il partito rimuova ogni ambiguità dal proprio programma su questo aspetti e intervenga con decisione in questa vertenza, recuperando il terreno perduto.