Il 3, 4 e 5 marzo si sono tenute le elezioni per il rinnovo delle Rsu del Pubblico impiego. Presumibilmente quasi 2 milioni di lavoratori della pubblica amministrazione, statali, enti locali, agenzie fiscali, enti pubblici non economici e sanità sui circa 2 milioni e mezzo di aventi diritto hanno votato. Un dato di affluenza ben diverso da quello che si riscontra negli ultimi anni nelle elezioni politiche e amministrative. Mentre la maggioranza mostra sempre più disaffezione rispetto alle tornate elettorali, europee, politiche o amministrative che siano, continua a ritenere importante interessarsi alle vicende sindacali, nonostante la sfiducia dimostrata dai lavoratori, in più occasioni, nei confronti delle stesse direzioni sindacali.
Il primo dato interessante che andrà confrontato con le precedenti elezioni Rsu del 2012 è proprio quello del totale degli aventi diritto. Siamo certi, infatti, che il dato complessivo dimostrerà il netto calo del numero dei dipendenti come effetto del blocco del turn over, nonostante in questa occasione avessero diritto al voto anche i dipendenti precari.
Mentre scriviamo non siamo ancora a conoscenza dei dati definitivi, che saranno certificati dall’Aran (agenzia della Pubblica amministrazione) tra qualche settimana. Tuttavia un primo bilancio è possibile. In primo luogo la Cgil, anche nel pubblico impiego, rimane il primo sindacato con una percentuale, pare, di poco superiore al 31 per cento. Una Cgil, però, che cala complessivamente seppur in termini di pochi decimali. Tengono anche Cisl e Uil con un piccolo calo della Cisl e una leggera crescita della Uil.
Un calo significativo della Cgil c’è stato in diversi grandi Comuni, come a Roma, circa mille voti in meno, Napoli, Firenze e Venezia, segno che laddove c’è un’alta “competizione sindacale”, compresa quella di sindacati autonomi e corporativi, i sindacati confederali e in particolare la Cgil tendono a perdere consensi. Nello stesso Comune di Roma è da segnalare il successo dell’Usb (+910 voti) verso cui, evidentemente, si spostano la quasi totalità dei voti persi dalla Cgil. Non sembrano, in realtà, rafforzarsi in linea generale i sindacati di base con alcune altre eccezioni, come al Comune di Firenze. Ma tendenzialmente si verifica un calo in alcuni enti dove la presenza in particolare di Usb è più consistente e “storica”. Segno che laddove questo sindacato ha acquisito un radicamento tende, col tempo, a deludere e non rappresenta una reale alternativa.
Da segnalare le crescita del voto al sindacato autonomo dei vigili in molti territori, una categoria che, evidentemente, non ha dimenticato le posizioni della Cgil sulla vicenda di Roma (vedi le precedenti edizioni di FalceMartello).
Considerevole anche la crescita di alcuni sindacati autonomi e professionali in sanità, dove la Cgil ha la perdita più consistente in quasi tutti i territori. Un comparto nel quale i lavoratori hanno maggiormente sentito il peso dei tagli e il blocco delle assunzioni peggiorandone in modo significativo le condizioni materiali di vita e di lavoro. Un comparto nel quale si sente maggiormente il peso dell’inefficacia dell’azione delle direzioni sindacali tradizionali e dell’assenza di conflitto.
Come mai dopo le iniziative di lotta dell’autunno la Cgil tiene ma non cresce? Come abbiamo spiegato sulle pagine di questa rivista, il fatto che quella lotta abbia avuto un arresto ha trasmesso ai lavoratori un senso di inadeguatezza e un’incapacità nell’andare fino in fondo.
Tuttavia tra i lavoratori pubblici c’è qualcosa di più profondo. C’è l’assenza del rinnovo del contratto da oramai quasi sei anni, la consistente perdita di potere d’acquisto dei salari, le controriforme che si sono susseguite negli anni senza una risposta all’altezza dello scontro. La rottura col Partito democratico di Renzi dell’autunno inoltre non si traduce in scelte conseguenti sul piano territoriale e aziendale dove, anzi, in troppe occasioni si continua a vedere una vicinanza con quel partito nelle istituzioni locali, ancora verso una concertazione che non c’è più.
In questo contesto non è più eludibile la necessità, da subito, essendo già in grosso ritardo, di sviluppare una piattaforma audace e avanzata per il rinnovo dei contratti pubblici, a partire dalla rivendicazione di un consistente aumento salariale, dall’abolizione del precariato e dalla lotta contro le “riforme” degli ultimi anni che stanno smantellando i servizi pubblici. La parola deve passare al protagonismo dei lavoratori che hanno dimostrato la loro disponibilità a lottare.