La crisi ucraina mette in luce i profondi cambiamenti nei rapporti mondiali. Ad ogni svolta fondamentale nella situazione è necessario aggiornare la nostra analisi e identificare i fattori decisivi che determinano gli sviluppi fondamentali a livello mondiale. I punti che seguono intendono proporre una prima approssimazione a una discussione che ha ricadute decisive per l’azione di chi intende lottare contro questo sistema.
1. Una nuova guerra fredda?
Il conflitto tra Usa e Russia è stato descritto come un ritorno alla Guerra fredda, cioè alla contrapposizione che per quarant’anni vide fronteggiarsi il blocco sovietico da un lato e gli Usa e la Nato dall’altro. Niente di più sbagliato: la spartizione del mondo sancita a Yalta nel 1945 era un assetto sostanzialmente stabile, nel quale il terreno di scontro era delimitato dalla impossibilità (o meglio: dalla irrazionalità) di un conflitto nucleare, che non avrebbe lasciato vincitori. Non mancarono i conflitti, sia diplomatici che militari, ma questi erano riconosciuti implicitamente da entrambi i contendenti come conflitti su scala locale o regionale. Nonostante gli Usa rimanessero la potenza prevalente, esisteva un relativo equilibrio almeno fino agli anni ’80.
Il conflitto odierno nasce invece dalla rottura dei precedenti equilibri; una rottura maturata lungo anni e decenni, che ora emerge con una brusca accelerazione degli avvenimenti.
2. Il declino degli Usa
La fase della globalizzazione è terminata con la crisi del 2008. Per circa trent’anni gli Usa avevano guidato il capitalismo mondiale sotto la parola d’ordine della liberalizzazione totale degli scambi e dei movimenti di capitale, gestita attraverso istituzioni internazionali quali il Wto, il Fondo monetario e la Banca mondiale, nelle quali il predominio nordamericano era senza appello, tanto quanto lo era il predominio della Nato sul piano militare.
La crescita del commercio mondiale, l’ulteriore sviluppo della divisione mondiale del lavoro attraverso gli enormi flussi di investimenti diretti alle aree di nuova apertura al capitalismo (Cina e Asia, ex blocco sovietico) e al mondo ex coloniale, la concorrenza al ribasso dei salari, attraverso le delocalizzazioni e l’emigrazione crescente, il pieno dispiegarsi della libertà di movimento dei capitali: questi sono stati gli elementi caratterizzanti del ciclo definito liberista, che ha coperto gli anni ’80, ’90 e l’inizio di questo secolo.
Con oltre 4.440 miliardi di dollari di investimenti diretti all’estero, e oltre mille basi militari al di fuori dei propri confini, gli Usa rimangono non solo la prima potenza militare del mondo, ma anche quella che più profondamente ha pervaso l’economia mondiale con la propria presenza. Ma nel capitalismo nessun equilibrio è permanente. La nuova divisione del lavoro su scala mondiale col tempo ha mutato profondamente i rapporti di forza sul piano economico.
Nella storia nessuna classe dominante abbandona la sua posizione di predominio senza combattere e l’imperialismo Usa non fa eccezione. L’attuale politica mondiale degli Usa è quindi segnata dal relativo declino della loro potenza economica e dal tentativo di reagire a tale declino ponendolo su nuove basi.
3. Frantumazione del mercato mondiale
Dal punto di vista economico il principale terreno di scontro è il Pacifico. Obama sta tentando di isolare la Cina proponendo un nuovo trattato di libero commercio a 12 paesi dell’area, il Tpp (Trans pacific partnership), che esclude Pechino. La Cina ha risposto proponendo un trattato simile (ma meno “invasivo” rispetto alle specificità dei paesi coinvolti) rivolto in buona parte agli stessi paesi, con l’aggiunta dell’India e naturalmente escludendo gli Usa. La trattativa del Tpp è al momento bloccata e l’ultima visita di Obama nella regione ha evidenziato lo stallo e il conflitto latente con la Cina.
Al conflitto economico sono legati anche i contenziosi diplomatici e militari: il controllo delle rotte commerciali; la costruzione da parte della Cina di una marina militare che possa svolgere un ruolo internazionale; le diatribe territoriali come quella sulle isole Senkaku/Diaoyu fra Cina e Giappone; gli investimenti esteri cinesi, ecc.
Alla lunga, tutti i paesi della regione dovranno scegliere da quale lato schierarsi, anche se questo non esclude fasi temporanee di accordo, che prepareranno ulteriori conflitti.
Analogamente, gli Usa stanno negoziando segretamente un trattato di libero commercio con l’Unione europea, il Transatlantic trade and investment partnership. Come tutti i trattati del genere il Ttip si basa sul completo predominio delle multinazionali che potrebbero scavalcare qualsiasi “elemento di attrito” al commercio, quali: diritti sindacali, legislazioni nazionali in materia ambientale, fiscale, sociale, ecc.
I due progetti di trattato (Tpp e Ttip) disegnano con chiarezza la strategia Usa: isolare l’avversario strategicamente più importante (la Cina), subordinare il concorrente politicamente più debole (l’Unione europea). Se, come è probabile, questo tentativo fallirà, il passo successivo saranno trattative bilaterali coi singoli paesi, ossia un nuovo passo verso la rottamazione del “libero commercio” così come si è sviluppato negli ultimi tre decenni.
Oggi la crescita del commercio mondiale è stagnante e il processo più importante non è la liberalizzazione degli scambi su scala mondiale, ma il definirsi di macro-blocchi economici, il maggiore ruolo degli Stati nell’economia, la tendenza crescente al protezionismo.
Si passa quindi:
- dai trattati commerciali globali (modello Wto) ai trattati bilaterali o multilaterali;
- dalla libera circolazione dei capitali a una balcanizzazione del sistema finanziario sotto l’ala degli Stati e delle Banche centrali.
4. Ruolo del capitale finanziario e degli Stati
Sempre più frantumato è anche il sistema finanziario globale. Le crisi bancarie e dei debiti sovrani costringono la borghesia a rifugiarsi sotto l’ala protettrice dello Stato e delle banche centrali.
Dal punto di vista dell’egemonia complessiva della borghesia, lo strapotere del capitale finanziario oggi è fonte di problemi molto più che di vantaggi. È quindi possibile che si sviluppi un conflitto contro questo settore specifico della classe dominante (di questo conflitto ci sono già le avvisaglie nella elaborazione teorica di molti economisti e politici borghesi). Il fine di questo scontro, che in ogni caso aumenterà l’instabilità globale, sarebbe quello di razionalizzare il controllo della moneta da parte degli Stati, ridurre la libertà di manovra del capitale finanziario in una fase nella quale questo non si regge senza il sostegno statale.
Dato l’enorme potere accumulato da questo settore della borghesia è anche possibile che questo scontro venga rimandato; questo renderà inevitabile, a medio termine, una nuova ondata di crisi e crolli simili a quelli del 2008.
Anche le politiche espansive di stampo semi-keynesiano, già in atto o che verranno in futuro, non costituiranno un terreno di ricomposizione degli interessi capitalistici su scala mondiale, ma al contrario verranno usate come strumento di lotta economica contro i blocchi concorrenti.
5. Usa e Russia
Da un punto di vista generale, gli Usa in Ucraina non hanno in gioco alcun interesse vitale, a differenza della Russia. Tuttavia lo scontro in atto va compreso sulla base della posizione mondiale dei contendenti, e non solo della posta in gioco sul terreno.
Per oltre vent’anni gli Usa hanno umiliato e provocato con l’espansione della Nato nell’Europa centro-orientale, fino a includere tutti i paesi che in precedenza erano stati parte del Patto di Varsavia. Un’espansione che minaccia direttamente la Russia, in particolare con il dispiegamento di armi anti-missile a ridosso dei confini della Russia, in un evidente tentativo di rompere ciò che resta dell’equilibrio nucleare rendendo possibile neutralizzare un eventuale attacco atomico da parte della Russia e restituendo quindi agli Usa il potere di iniziativa nell’uso dell’arma atomica.
Inevitabile quindi la reazione della Russia. Nel 2008, di fronte al tentativo della Nato di installarsi in Georgia, hanno invaso quel paese in 36 ore rendendo chiaro che non avrebbero tollerato altre penetrazioni degli Usa nel loro spazio più prossimo. Analogamente, dopo l’attacco alla Libia, Russia e Cina hanno impedito che gli Usa attaccassero la Siria.
La Russia vede in gioco la propria sicurezza, ma d’altro canto Obama ha già rimediato una colossale figuraccia sulla Siria, una seconda e più grave sconfitta diplomatica in Ucraina sarebbe un colpo durissimo al prestigio di Washington, e il prestigio è parte non secondaria di qualsiasi politica estera. Si aprono quindi scenari a prima vista imprevedibili.
Ne sono consapevoli i governi borghesi reazionari che dominano l’Europa orientale, che cercano di approfittare dello sbilanciamento degli Usa per coinvolgerli in modo inestricabile nel conflitto. La Polonia e i Paesi Baltici hanno chiesto alla Nato di rafforzare la sua presenza con basi permanenti nella zona, mentre la giunta fascistoide che si è insediata a Kiev fa di tutto per accelerare lo scontro nell’Ucraina orientale, provocando in ogni modo la Russia nella speranza che un allargamento del conflitto renda inevitabile il coinvolgimento diretto degli Usa.
Un fallimento di questa strategia avventurista (che trova più di una sponda nell’amministrazione Usa, a partire dal Segretario di Stato Kerry) significherebbe un’altra battuta d’arresto per la potenza a stelle e strisce, ma questo preparebbe nuove e più forti convulsioni.
6. Fine dell’unità ideologica della classe dominante
La nuova fase ha anche un riflesso ideologico. Il mondo capitalista non ha più un padrone indiscusso, non ha più una strada segnata sulla quale tutti debbono, volenti o nolenti, marciare, e di conseguenza non ha più una ideologia che ne sistematizzi gli assetti e ne sia strumento di dominio politico.
Finite le grandi favole delle meravigliose sorti e progressive della globalizzazione “che porta miliardi di essere umani fuori dalla fame e dalla miseria”, finiti i sogni di “nuovo ordine mondiale”, l’Impero, angelo o demone che lo si considerasse, è tornato nel mondo reale e mostra a tutti le crepe delle sue fondamenta.