“Non molleremo mai”, lo slogan scandito in questi giorni dai lavoratori Alcoa in tutte le occasioni, bisogna tenerlo bene a mente. Soprattutto in queste ore in cui il ministro Passera cerca di diffondere, con un cinismo insultante, pessimismo e rassegnazione dichiarando che mantenere aperta Alcoa è quasi impossibile, perché sarebbe un investimento non appetibile per le imprese. Nel frattempo due operai si sono arrampicati su un silos a 70 metri d’altezza, annunciando l’intenzione di restarvi fino al 10 settembre (giorno dell’incontro tra governo, sindacati e Alcoa, inizialmente previsto per il 5).
La nostra solidarietà agli operai Alcoa è totale, in un momento dove stanno dimostrando una grandissima combattività. Questo gesto ulteriore mostra come l’assenza di una strategia di lotta da parte dei sindacati e dei partiti di sinistra, abituati a decenni di concertazione e mediazione al ribasso, costringa i singoli lavoratori ad azioni basate sulla spettacolarità ed il richiamo mediatica. Cosa aspettano i vertici sindacali a lanciare l’occupazione dello stabilimento di Portovesme, unica garanzia contro il pericolo dello spegnimento delle celle elettrolitiche necessarie per la produzione di alluminio?
Alcoa: il cinismo di governo e padroni
Ma andiamo con ordine. Dall’incontro di venerdì 31 agosto, in cui il governo incontrava le varie parti delle vicende Alcoa e Carbosulcis, sono emerse diverse cose. In primis l’impegno del governo, comunque vada, di garantire la Cig per gli operai Alcoa e una generica “tutela” per tutti quelli dell’indotto; in secondo luogo l’impegno di Alcoa a rallentare temporaneamente le procedure di fermata dell’impianto, in attesa della riunione del 10 settembre (inizialmente prevista per il 5, con annessa manifestazione operaia); in terzo luogo le condizioni poste per ora dalla Glencore difficilmente possono essere viste come una soluzione accettabile dai lavoratori (prevedendo la diminuzione del personale e la riduzione della produzione da 150 mila tonnellate annuali a 100 mila, bonifiche e ristrutturazioni non a carico suo, tariffe energetiche bloccate per 15 anni). Il governo sostiene che a parte l’eccessiva durata delle garanzie richieste, le tariffe energetiche non costituiscono un problema.
Il limite di questa vertenza è che non si esce dalla proposta di vendita ai privati, una nuova specie di parassiti. Per cui bisogna ancora una volta garantire sconti, tariffe privilegiate, aiuti dello Stato. L’Alcoa ha goduto di 3 miliardi di contributi statali in 15 anni, ed ecco come ringrazia la collettività! A sinistra si deve alzare forte una voce che oggi è scandalosamente silenziosa: quella dell’esproprio senza indennizzo dell’Alcoa. Questo paese ha bisogno dell’alluminio e se i privati non vogliono più produrlo, è necessario che lo faccia lo Stato, sotto il controllo e la gestione dei lavoratori dell’azienda stessa!
Per quanto riguarda la Carbosulcis lo scenario è differente. I minatori dopo l’impegno del ministero di garantire l’apertura fino a fine anno e di prorogare la data del bando per un ulteriore anno, hanno deciso di terminare temporaneamente l’occupazione della miniera (ma non del blocco alla discarica dei residui della combustione della centrale Enel) e nel far questo hanno ricordato la solidarietà di cui sono stati oggetto: “Vogliamo risposte chiare e rapide. Dobbiamo darle anche a Matteo, della provincia di Brescia che ha raccolto 3.600 euro con una colletta tra amici e voleva darceli e al grossista di carni dell’Emilia che voleva mandare qui un camion di alimenti”.
Carbosulcis: solo una tregua
La solidarietà suscitata è stata enorme, se si pensa che si tratta di un settore considerato obsoleto come quello del carbone, ma che evidentemente mostra come si faccia strada in ampi settori la concezione della classe lavoratrice come una cosa sola, con interessi convergenti, ma sopratutto l’idea che una lotta può rafforzare l’altra e che ogni posto di lavoro perso è una sconfitta che indebolisce l’intera classe.
Queste due vicende dimostrano che con la mobilitazione intensa in pochi giorni si è potuta evitare una chiusura, almeno nel caso della Carbosulcis, che pareva imminente. La lotta tuttavia non può che continuare; sebbene i vertici sindacali cerchino sempre di deviare verso una soluzione (al ribasso) di tipo istituzionale, gli operai sono abituati alle promesse, alle “realistiche” soluzioni proposte (che puntualmente vengono bocciate dalla istituzioni europee) e all’ingannevole ottimismo dei politici che parlano di “occasione per ripartire”.
Perciò ancora più riprovevoli sono i discorsi di vuota solidarietà del Pd e degli altri partiti che sostengono il governo, così come quelli di Napolitano, che esprime solidarietà ma aggiunge che i posti di lavoro vanno tutelati “tenendo conto della competitività internazionale”. Il che significa spingere ad accettare situazioni che avvicinino i minatori sardi a quelle dei minatori cinesi che muoiono come mosche, legittimando così gli attacchi ai diritti, alle condizioni di lavoro e la chiusura degli stabilimenti. Questo rende l’idea dell’effettivo valore della Costituzione della Repubblica fondata sul lavoro!
La privatizzazione per la miniera di Nuraxi Figus non può essere una soluzione, dati i costi che richiedono i processi per la pulizia del carbone sardo e la lavorazione per ricavarne altre materie prime utili. Solo un polo pubblico può mettere in opera le bonifiche e le ristrutturazioni necessarie, senza essere legato al tasso di profitto, ma legato semplicemente alle esigenze della comunità e producendo nel rispetto della salute e dell’ambiente. Da dove arriverebbero i finanziamenti? Ma dai capitali espropriati ai capitalisti, che negli anni hanno accumulato fortune mentre diminuivano contestualmente gli investimenti produttivi, e che hanno saputo solo sfruttare la precarizzazione del lavoro per mantenere la loro “competitività”.
Per arrivare a questo obiettivo, che rappresenta l’unica vera soluzione, la strada non sarà semplice ma la combattività operaia fa ben sperare che il moderatismo dei dirigenti sindacali verrà superato e che potrà emergere una direzione dal basso, con delegati eletti delle varie realtà in lotta in grado di costruire le strutture solidali di resistenza. Ciò permetterà ai lavoratori di reggere la lotta per tutto il tempo necessario, senza cadere nello sconforto o nella disperazione per arrivare a un movimento unificante prima a livello regionale e poi nazionale delle lotte.
La parola d’ordine della nazionalizzazione senza indennizzo, sotto il controllo e la gestione delle fabbriche e della miniera da parte degli operai e della popolazione (gli unici che hanno un reale e diretto interesse a gestire quelle risorse e quel territorio nel migliore dei modi) può permettere quel ciclo integrato della produzione, che viene abbozzato nei progetti attuali dei lavoratori.
La forza della classe lavoratrice è enorme e gli eventi sembrano mostrare che chi fino a ieri si fidava delle promesse di questo o quel politico maneggione, ora capisce sempre di più che l’unica soluzione è basarsi sulla forza della classe lavoratrice, senza delegare a burocrati sindacali, politici corrotti e a istituzioni sempre più in crisi ed incapaci di risolvere i problemi. La lotta dell’Alcoa, della Carbosulcis è la stessa lotta dell’Ilva, dell’Eurallumina e delle centinaia di fabbriche e piccole imprese sarde e italiane che vengono chiuse, come il polo industriale di Ottana nel centro Sardegna, che in questi giorni sta vivendo una crisi anch’essa legata alla questione dei costi dell’approvvigionamento energetico.