Dopo il successo dello sciopero generale della scuola
Il 15 novembre il 70% dei lavoratori dell’istruzione, dagli asili nido fino alle scuole superiori, ha incrociato le braccia per scioperare contro i tagli all’istruzione pubblica e la riforma Moratti.
Si tratta di un successo senza ombra di dubbi. Un successo che sarà pieno, però, solo se non rimarrà un atto a sé stante. Se l’obiettivo fosse semplicemente chiarire l’opinione della maggioranza dei lavoratori della scuola riguardo alla riforma Moratti, potremmo ritenerci soddisfatti. Ma così non è: la riforma non va solo contestata, va cancellata. E per questo obiettivo uno sciopero generale non è ancora sufficiente. E in un certo senso non ne saranno sufficienti nemmeno due se convocati con le stesse modalità con cui è stato fatto l’ultimo. O sapremo costruire un clima di lotta crescente in scuole ed università, o la Moratti potrà rifiatare e concludere il proprio lavoro.
Cosa c’è in gioco?
La frase più ripetuta dai vertici sindacali durante lo sciopero del 15 è stata: “Il Governo è allo sbando”. E in effetti lo è. Spedita a Tokyo nel giorno dello sciopero, la Moratti si è fatta viva dalle pagine del Corriere della Sera dichiarando che: “quei tagli all’istruzione pubblica sono inaccettabili”. Forse non ci crederà, signora Moratti: ma il ministro all’istruzione è proprio lei.
Contemporaneamente la direttrice generale del ministero dell’istruzione, in vece della Moratti, si consolava tra le braccia del Congresso della Federazione delle scuole materne cattoliche: “Fatichiamo molto a realizzare le nostre aspirazioni (…) Piacerebbe anche a noi poter dire: ok è andata. (…) Mi tocca persino fare discussioni con gli studenti sulla questione della parità perché insistono con questo benedetto ‘senza oneri per loStato’ “
Allo stesso tempo questa questione non va nemmeno esagerata. Sbando o non sbando, rimane un fatto: la riforma Moratti continua a muovere lentamente i propri passi. Per la schiacciante maggioranza dei lavoratori della scuola e degli studenti non si tratta di compiacersi alla luce dello stato confusionale del Governo, si tratta di sconfiggerlo.
In gioco non c’è la faccia della Moratti, faccia da tempo persa e forse mai avuta, ma la stessa istruzione pubblica.
L’attuale Finanziaria taglia altri 14mila posti di lavoro nella scuola, tagli che si vanno a sommare ai 32mila docenti in meno previsti dalla Finanziaria del 2002. Il Governo smentisce sostenendo di aver assunto dal 2001 ad oggi 65mila precari. Ma si tratta di normali ed inevitabili sostituzioni di lavoratori andati in pensione, mentre rimane un dato di fatto che il numero complessivo di docenti è in diminuzione da quattro anni a questa parte. Nelle scuole elementari e medie continua a farsi strada il tutor. La resistenza accanita dei singoli istituti alla sua introduzione utilizzando ogni cavillo a propria disposizione serve a prendere tempo, ma non può avere gambe lunghe. Sempre alle elementari e medie è in discussione l’applicazione della “personalizzazione” dei percorsi di studio: un’aberrazione in cui quote di ore saranno stabilite dalle regioni e dai singoli istituti sancendo la distruzione di un unico sistema scolastico a livello nazionale. Lo studente riceverà poi un portfolio delle competenze che lo seguirà per tutto il resto della carriera scolastica, bollandolo e finendo per costituire un curriculum che ognuno potrà personalizzarsi a proprio piacimento. In un fiorire d’attività facoltative a pagamento all’interno delle stesse scuole e in un regime di costante aumento del divario tra istituti ricchi e poveri, ognuno potrà comprarsi “le competenze” che preferisce per arricchire il proprio curriculum. Esattamente come si fa con i bollini del supermercato, più spendi più ne accumuli.
Quale prospettiva di lotta?
Il continuo porre l’accento sullo “sbando del Governo” da parte dei vertici sindacali e da parte dei leader dell’opposizione non è casuale. Allude alla possibilità che la riforma Moratti possa crollare per le stesse contraddizioni interne al Governo. Si tratta di un invito implicito alla passività, all’attesa che il cambiamento possa arrivare dalle future elezioni. Come ha dichiarato Fassino allo sciopero del 15: “prima andiamo al Governo poi cambiamo quel che c’è da cambiare”. Appunto, cosa c’è da cambiare secondo i dirigenti del centro-sinistra? Temiamo che la risposta sia poco o nulla. La riforma Moratti è un’impalcatura costruita attorno alle precedenti riforme dell’Ulivo. Basta citare la parità scolatica tra scuole pubbliche o private o il sistema universitario del 3+2 con le inaccessibili lauree specialistiche, tutte misure difese dalla Moratti ma introdotte dall’Ulivo. Ammesso e non concesso che l’opera della Moratti venga fermata dalle elezioni, il problema quindi sarà tutt’altro che esaurito.
Finora la Cgil scuola ha fatto lo stretto necessario: costretta dalla rabbia accumulata nelle scuole in primavera ha convocato un corteo nazionale ed uno sciopero generale di quattro ore in coda allo sciopero generale d’aprile. Ora a distanza di mesi ecco altre 8 ore di sciopero. Non è con questo ritmo da lento valzer che butteremo fuori pista la Moratti.
Ma simile ritmo non è casuale. Non dipende dalla debolezza della lotta stessa, come dimostrano le adesioni allo sciopero, ma dalle contraddizioni i dei dirigenti di questa lotta. I vertici della Cgil scuola, pur contrari alla riforma Moratti, hanno in grossa parte sostenuto le passate riforme dell’Ulivo come ad esempio l’Autonomia Scolastica. Il pericolo, dal loro punto di vista, è che la radicalizzazione della lotta contro la Moratti metta in discussione tutti i precedenti progetti di privatizzazione dell’istruzione.
Ma ciò che per loro è un pericolo, per noi è un auspicio. Di più: è un obiettivo per cui lottare. Cosa c’è in gioco? Non la Moratti, una macchietta che presto sarà dimenticata da tutti, ma la lotta per ottenere un reale diritto allo studio: il diritto dei ceti meno abbienti ad accedere ad una scuola pubblica, gratuita, laica, democratica e di qualità.