Nella settimana tra l’11 e il 15 novembre si sono svolti in tutta Italia gli scioperi convocati da Cgil-Cisl-Uil per chiedere la modifica della legge di stabilità.
Peccato che ben pochi se ne siano accorti. In diverse città non c’è stato nemmeno un corteo. A Torino lo sciopero non ha coinvolto il trasporto locale, mentre a Milano tram e metro hanno funzionato regolarmente per permettere… di raggiungere lo stadio per l’amichevole della nazionale! A Reggio Emilia, da dove scriviamo, lo sciopero c’è stato il 14. Il relativo corteo è stata una delle manifestazioni meno partecipate e dal clima più rassegnato che si sono viste nella storia recente di questa città. In piazza Prampolini, luogo del comizio finale non c’erano più di 1.500 persone. Addirittura nel comparto scuola l’astensione dal lavoro è stata di un’ora soltanto, mentre il trasporto aereo è stato esentato dallo sciopero. Si sa, Alitalia scoppia di salute… E potremo fare tanti altri esempi…
Questo clima di rassegnazione e questa scarsa partecipazione erano facilmente prevedibili e per una semplice ragione. Sono sempre meno i lavoratori disponibili a perdere ore di lavoro e salario per fare scioperi che non incidono minimamente sulla realtà, di testimonianza e relative passeggiate per il centro delle città. Finché la Camusso e il gruppo dirigente della Cgil continueranno su questa strada, convocando scioperi di alcune ore a fronte di situazioni gravissime, come lo sciopero farsa contro la riforma delle pensioni, è facile prevedere che l’esito sarà fallimentare. A nessun lavoratore interessa davvero aiutare la Camusso (o Bonanni!) ad accreditarsi come affidabile agli occhi dei padroni e del governo, che finora sembra essere stata la sua principale preoccupazione.
Tanto più che questa volta l’obiettivo dello sciopero era palesemente poco credibile. Chiedere la modifica di qualche virgola della legge di stabilità a questo governo è chiaramente impossibile. Non solo perché questo governo non vuole fare riforme più progressiste ma anche perché non può farlo. E la dimostrazione di questo è il richiamo formale che la Commissione europea ha fatto al governo proprio nel giorno in cui si chiudeva la settimana di scioperi, dicendo che la legge di stabilità è troppo moderata, che non spinge abbastanza sull’acceleratore per quanto riguarda le privatizzazioni e i tagli alla spesa sociale. Quindi, anche volendo, il governo avrebbe comunque le mani legate perché dall’Europa arrivano tutt’altri “consigli”. Le politiche di austerity per il capitalismo europeo non sono una scelta ma una strada obbligata. Stride quindi in maniera fragorosa la contraddizione che esiste tra la realtà politica e gli obiettivi e i metodi scelti dal gruppo dirigente della Cgil. E stride ancora di più la contraddizione tra questi e la realtà sociale. In una situazione in cui chiudono le fabbriche a centinaia, in cui ai lavoratori più “fortunati” è riservata la cassa-integrazione e la mobilità, mentre chi resta in fabbrica è sottoposto a ritmi di lavoro mostruosi, in cui i tagli allo stato sociale, pensioni, scuola e sanità erodono sempre di più il tenore di vita dei lavoratori, fare quattro ore di sciopero per far cambiare idea al governo delle larghe intese (padronali) suona quasi come un affronto.
Questa situazione richiede obiettivi e metodi decisamente più radicali, se si vuole effettivamente cambiare le cose a favore dei lavoratori. Oggi bisogna porsi l’obiettivo di far cadere il governo: è il primo passo necessario per poter invertire la rotta, per costruire l’alternativa di classe e dei lavoratori nel nostro paese e in Europa. Se il sindacato si dimostrasse determinato a perseguire questa strada i lavoratori non farebbero di certo mancare la propria presenza e la propria forza.