L’aumento della repressione contro il movimento NoTav (denunce, perquisizioni, decreti legge) e l’incessante campagna di provocazione retta da giornalisti e politici di regime non cadono dal cielo. Il governo, per bocca del Ministro degli interni Alfano, vuole ristabilire “l’autorità dello Stato” in Valsusa e sconfiggere una lotta da tempo punto di riferimento nazionale per chi si batte contro le devastazioni ambientali ed anche per tanti giovani la cui rabbia e voglia di riscatto non è sempre riuscita a trovare un’espressione sui propri luoghi di studio o di lavoro.
Non mancano certo ragioni di carattere economico – la Cmc di Ravenna, legata al Pd, è la madre di tutti gli appaltatori in Valsusa – ma riteniamo che ora l’azione del governo Letta-Alfano e degli apparati repressivi dello Stato abbia essenzialmente obiettivi politici.
È tutta colpa dei No tav
La strategia statal-governativa è centrata sul ripristino della legalità e sull’agitare strumentalmente lo spauracchio della violenza e del terrorismo. Per farlo meglio, il governo ha addirittura inserito nel Decreto legge contro il femminicidio un articolo che contiene aggravanti di pena per i furti collegati ai cantieri per le infrastrutture energetiche, di trasporto e telecomunicazioni, insomma contro i No Tav. Dimostrano queste intenzioni della classe dominante la grancassa mediatica – e la denuncia penale – seguita alle dichiarazioni di Erri de Luca sulla sua partecipazione a piccole azioni di sabotaggio ma ancor di più lo spropositato spazio mediatico riservato alle farneticazioni sul movimento No Tav messe per iscritto da parte di due esponenti delle cosiddette “nuove Br”, ora in carcere, e la velenosa campagna contro il movimento seguita al pacco-bomba recapitato da qualche provocatore – di Stato oppure no – ad un giornalista de La Stampa di Torino. Si tratta di tre episodi diversi sui quali viene costruita, con classico stile inquisitorio, un amalgama finalizzata a criminalizzare il movimento. Fanno parte integrante di questa caccia alle streghe anche i dirigenti del Partito democratico a partire dai segretari regionale e provinciale Morgando e Altamura, impegnati in queste settimane a trovare la forza necessaria per espellere dal Pd il sindaco di Susa e capo della Comunità montana Sandro Plano, contrario al Tav. Plano si è inoltre permesso di criticare l’augusto presidente della Repubblica Napolitano per il monito, parola cara al presidente, che questi avrebbe confidenzialmente elargito ai sindaci della Valle per convincerli del loro dovere istituzionale di persuadere la popolazione sulla bontà del progetto dell’alta velocità.
A questo composito e compatto “fronte dell’ordine” (e degli affari) si è recentemente aggiunto anche l’ormai onnipresente Rodotà, punto di riferimento per chi a sinistra ritiene che dalla violenza multiforme di questo sistema economico ci si possa efficacemente difendere a colpi di carte bollate, ricorsi al Tar e appelli ai cosiddetti diritti umani. Di recente, interrogato sulla manifestazione romana del 19 ottobre promossa anche dal coordinamento No Tav, Rodotà ha amalgamato il movimento di massa con le azioni violente per piccole bande di chi ha bruciato i camion di alcune aziende edili appaltatrici della Tav e, nello stesso ragionamento, ha collegato queste azioni ai ricordi di “quando ero un deputato eletto in Calabria, dove era la mafia a fare certe cose”. Ecco così servita su un vassoio d’argento un’altra carta per criminalizzare il movimento No Tav. Per parte nostra, rigettiamo tutto questo diluvio ipocrita di legalitarismo che, oltre a coprire i più loschi affari, contiene un messaggio fondamentale martellato agli abitanti della Valsusa e non solo: arrendetevi alla classe dominante, con la lotta non otterrete niente.
Come marxisti, non abbiamo alcuna forma di reverenza feticistica verso le istituzioni della democrazia parlamentare borghese e dunque non pensiamo neppure che i valsusini debbano piegarsi e considerare come pronunciamenti divini i provvedimenti votati da parlamenti, consigli regionali, provinciali o altro. Per fortuna di tutti noi, tante volte la mobilitazione popolare ha fermato leggi ingiuste e disastrose. La solidarietà agli attivisti No Tav che non mollano e sono colpiti dalla repressione è dunque un compito necessario e parte integrante della mobilitazione popolare.
Azione eclatante o lotta di classe?
La forza del movimento No Tav si è finora espressa in una chiarezza politica e d’analisi che ha messo all’angolo i “tecnici del capitale”, ma anche in mobilitazioni di massa e assemblee popolari partecipate che, senza impacciarsi in sterili legalitarismi, hanno capito di volta in volta come lottare con efficacia coinvolgendo attivamente la “valle che resiste”.
Se però il dibattito dovesse ora incartarsi o trascinarsi tra una ristretta cerchia di attivisti sul grado di violenza da utilizzare per fermare l’opera, le ripercussioni sul movimento sarebbero pesanti. Innanzitutto perché, al netto delle differenze, tra chi sostiene una tattica basata su piccoli attentati e chi è favorevole ad azioni eclatanti esiste una profonda identità di vedute fatta di sfiducia nel movimento di massa e sopravvalutazione dell’elemento simbolico – che peraltro anche lo Stato sa come usare a suo vantaggio (quando non utilizza direttamente veri e propri provocatori).
La lotta No Tav ha bisogno certamente di grande coraggio, ma non di piccoli manipoli, o di avventurieri, che “diano l’esempio” con gesti eclatanti da applaudire o condannare che si trasformano puntualmente in boomerang e riducono drammaticamente la partecipazione attiva di massa. Precisamente per queste ragioni bruciare il camion di una ditta appaltante serve solo a chi il Tav vuole farlo. Porta inoltre alla passivizzazione e alla confusione politica: se basta bruciare un camion o un capannone per vincere, a cosa servono le manifestazioni di massa? Basta applaudire il gesto “eclatante” sui social network.
Il problema della “delega” nasce anche dalla brutale (e meritata) perdita di autorità della sinistra in Valsusa. Ma un movimento che ha addosso l’attacco concentrico di tutti i “poteri forti” del paese e non solo, non può vivere e vincere se a sua volta non ha una prospettiva complessiva, capace di legarsi alla lotta generale per la trasformazione della società.
In mancanza di questa, anche il voto massiccio della Valle per i 5 Stelle ha segnalato un elemento di protesta ma anche di delega a una forza che, come dimostrano le vicende successive, non è minimamente in condizioni di farsi carico di questo compito di direzione politica.
Uno dei mali più profondi che attraversa in questo periodo gli attivisti di sinistra, ed anche di estrema sinistra, è la sfiducia nella capacità degli oppressi di resistere, organizzarsi e mandare a gambe all’aria i piani dei padroni coi metodi della lotta di classe. Questa potenzialità la lotta No-Tav ha mostrato a più riprese di averla.
Quando nel 2005 a decine di migliaia abbiamo invaso e riconquistato il cantiere di Venaus, il Tav ha subito un colpo i cui effetti si sono visti per anni, con i lavori sostanzialmente bloccati. Quando il 12 agosto a Niscemi a migliaia abbiamo invaso la base militare del Muos, le forze dell’ordine si sono dovute ritirare e rinunciare a difendere ciò che (una base Nato!) era diventato, anche solo per un giorno, indifendibile.
Si tratta dunque di approfondire quel cammino: promuovere assemblee in tutti i luoghi di lavoro della Valle ma anche di Torino – dove tanti abitanti della bassa valle lavorano – approfondire la propaganda ed i comitati di sostegno tra gli universitari e gli studenti delle superiori, unire queste forze nella campagna per uno sciopero generale che paralizzi Torino e la Valsusa. I sindacati, a partire dalla Fiom nazionale e torinese, devono essere incalzati e richiamati alle proprie responsabilità. Più volte i lavoratori hanno risposto con scioperi spontanei alla provocazioni dell’apparato dello Stato, sia all’epoca di Venaus sia quando è stato sgomberato il presidio della Maddalena nel 2011. È però sempre mancata un’offensiva generale e di lungo respiro.
L’organizzazione della Fiom, i suoi delegati, le altre avanguardie della classe lavoratrice possono imprimere al movimento No-Tav quella forza sociale, di classe, di massa necessaria di fronte alla quale, storicamente, anche i più potenti apparati repressivi sono entrati in difficoltà.