“Tutto ciò non è più tollerabile, siamo un paese che tra il 2007 e il 2013 ha lasciato sul terreno della crisi numeri da guerra: prodotto interno lordo -9%, occupati -1,1 milioni, disoccupati raddoppiati. Basterebbero questi numeri a impedire a chiunque di ignorare il disagio sociale. Gli italiani a rischio povertà o esclusione sociale sono saliti dal 25,3% del 2008 al 30% del 2012. Quasi un terzo della popolazione.” Parole del Ministro dell’economia Padoan all’assemblea di Confindustria a Cernobbio sabato 22 marzo, che ha poi conseguentemente dato le proprie soluzioni insieme ai suoi degni compari di governo, il Ministro del lavoro Poletti (già presidente di Legacoop), il ministro Guidi (falco di Confindustria) e Giannini, Ministro dell’istruzione scelta, per occupare quella poltrona, dall’ex primo ministro Mario Monti.
Si parte subito con il decreto per la riforma dei contratti a termine, che peggiorano ulteriormente il precariato, poi via con 85mila licenziamenti nell’impiego pubblico, distruzione definitiva della scuola e dell’università pubblica e una nuova tornata di privatizzazioni (a partire da Poste, Fincantieri, Finmeccanica e Ferrovie dello Stato). Tagli alle pensioni solo rimandati per non compromettere la campagna per le elezioni europee. Il tutto mentre i contratti del pubblico impiego arrivano al sesto anno di blocco e quello del trasporto pubblico locale è scaduto da sette.
Offensiva frontale dal piglio berlusconiano, con in più il vantaggio per il governo di giovarsi delle controriforme già approvate dai governi precedenti. Renzi e soci vanno all’attacco e parte importante della “svolta buona” è la rottamazione della concertazione con tanti saluti alla richiesta dei sindacati di essere coinvolti.
Renzi non concerta niente
Alla vigilia del congresso nazionale, la maggioranza della Cgil si ritrova senza bussola né mappe per affrontare questo scontro.
L’offensiva di Renzi ha seminato il panico. Susanna Camusso ha cambiato quattro posizioni in tre giorni: dapprima ha minacciato mobilitazioni, poi ha applaudito la restituzione dell’Irpef, i famosi 80 euro, che verranno ampiamente recuperati con tagli ai servizi pubblici e allo stato sociale; infine nuova marcia indietro con critica allo sfondamento sui contratti a termine (8 rinnovi possibili fino a 36 mesi complessivi, senza più neppura foglia di fico delle “causali”).
Sempre indietro di due mosse, i dirigenti della Cgil propongono di sospendere il provvedimento sul tempo determinato (cosa per altro difficile visto che il 20 marzo è entrato in vigore il decreto legge) per attuare il Jobs act, magari sperando che la famosa “area riformista” del Pd possa apportare qualche cambiamento millimetrico. La proposta del Jobs act prevede le nuove assunzioni con un contratto a tempo indeterminato azzerando però per i primi tre anni tutti i diritti che questo tipo di contratto dovrebbe includere. Una proposta altrettanto irricevibile quanto il decreto sui contratti a tempo determinato.
Nei congressi la maggioranza ha anche parlato, non senza ambiguità, della necessità di rivedere la riforma Fornero. Sorvoliamo sulla parola “rivedere” quando la legge Fornero andrebbe semplicemente abolita, ma anche su questo davanti all’evidenza dell’indisponibilità del governo di metterci mano, a parte i proclami nei congressi non si muove nulla. Eppure anche su ciò la disponibilità dei lavoratori a mobilitarsi ci sarebbe!
Fallimento della strategia emendataria
Lo spiazzamento colpisce anche il principale avversario della Camusso in Cgil. Il segretario della Fiom Landini congela per qualche giorno la critica congressuale e all’assemblea nazionale dei metalmeccanici del 21 marzo fa sapere che se sui tempi determinati non ci siamo mentre sulla restituzione dell’Irpef ai lavoratori la direzione è quella giusta. Così, un’assemblea di rilancio della Fiom, molto partecipata, che doveva suonare la carica contro l’accordo del 10 gennaio diventa l’ennesima occasione persa per contrastare l’immobilismo della Cgil. Non solo perché c’è ambiguità verso il governo Renzi, ma anche perché sull’accordo del 10 gennaio il segretario pur chiedendo di bocciare l’accordo firmato dalla Camusso, insiste nel dire che quell’accordo è da riformulare in alcuni passaggi.
Quell’accordo è sbagliato dall’inizio alla fine! È fallita totalmente la strategia di Landini di condizionare la maggioranza attraverso gli emendamenti al documento Camusso. Poco votati, pochissimo discussi, strumento di “posizionamento” d’apparato, gli emendamenti escono pesantemente sconfitti dal congresso, con il conseguente drastico ridimensionamento dei loro sostenitori negli organismi confederali.
Il percorso congressuale ad oggi ha confermato clamorosamente le ragioni del documento alternativo. Siamo stati accusati all’infinito di essere astratti, ma ad essere irrealistiche sono in primo luogo le posizioni di maggioranza.
C’è una logica inesorabile, tanto più si arretra nei confronti di padroni e governo, tanto più cresce l’arroccamento burocratico. La Cgil è sempre più distante dai lavoratori? Semplice: stabiliamo il monopolio della rappresentanza, e il problema è risolto. Via libera a deroghe peggiorative ai contratti nazionali, sequestro di quel poco di democrazia sindacale sopravvissuta in questi anni, sanzioni per i sindacati e i delegati che non sono disposti a disciplinarsi a contratti capestro. Mentre scriviamo, la “consultazione” non si è ancora chiusa, ma sarebbe più corretto dire che non è mai realmente iniziata. E, poiché è evidente che in una vera discussione i lavoratori una cosa del genere non la sosterrebbero, si prepara un’altra messinscena e poi dagli uffici delle segreterie ci comunicheranno che centinaia di migliaia di lavoratori hanno approvato l’accordo.
È la fuga dalla realtà, ma la realtà prima o poi si imporrà. I congressi di base ci hanno detto molto chiaramente, a prescindere dalle mozioni che poi i lavoratori hanno votato, che la pazienza è finita. Il sentimento più diffuso è che troppe sono le responsabilità dei vertici sindacali davanti a questa impasse.
Questo congresso è iniziato con la famosa dichiarazione di Susanna Camusso sullo sciopero come strumento superato e inefficace.
Superati e inefficaci sono invece questi dirigenti che hanno ridotto gli scioperi generali a innocue passeggiate, la democrazia a una rappresentazione, che hanno condotto il più grande sindacato del nostro paese ad essere visto da milioni di lavoratori come qualcosa di estraneo se non spesso ostile.
La Cgil ha solo due strade: piegarsi a Renzi o prepararsi a uno scontro serio. Quale che sia l’esito del congresso nazionale, una cosa è certa: per i lavoratori la scelta di piegarsi non è praticabile. Al di là delle schermaglie congressuali, sta qui il vero senso della nostra battaglia di opposizione e di alternativa nella Cgil e nei luoghi di lavoro.