Il seminario deve essere il momento in cui non ci limitiamo a criticare le scelte erronee della Camusso, di Landini e della maggioranza Cgil, cosa che sappiamo fare fin troppo bene ma, se non vogliamo cadere nel velleitarismo, si deve discutere dei nostri compiti futuri e degli obiettivi strategici. Sperando di fare cosa utile inviamo alcune note sintetiche al riguardo.
Premessa
Con il varo definitivo dei primi due decreti attuativi sul Jobs act è sancita l’abolizione dello Statuto dei lavoratori così come l’avevamo conosciuto negli ultimi 40 anni.
Questa misura, insieme alle pesanti controriforme del governo Monti/Fornero, e sommata a quelle che ha in cantiere il governo Renzi, due fra tutte la riforma della scuola e dell’impiego pubblico, ci consegnano un quadro decisamente nuovo in cui agire.
Non esistono più “normali relazioni sindacali”, lo Statuto e i contratti diventano carta straccia così come le tutele del passato. Questo vale per i lavoratori ma anche per le organizzazioni sindacali.
Non è un caso che stanno riaffiorando modalità di lotta sindacale simili a quelle di inizio secolo scorso (si pensi al Sicobas che ricorda molto i Wobblies americani).
Tuttavia le azioni “anarcosindacaliste” anche quando ottengono risultati positivi sul piano vertenziale (si pensi al recente accordo per i facchini con Bartolini, Gls, Tnt), sono molto dispendiose, e finiscono alla lunga col riguardare solo alcune avanguardie, che ne escono logorate.
Per quanto interessanti non rappresentano una risposta sul terreno di massa, terreno a cui dovrebbe aspirare una opposizione classista in Cgil (del resto è questa la ragione di fondo per la quale continuiamo a stare in Cgil).
E’ il terreno della vertenzialità quello nel quale dobbiamo rivolgere il nostro fronte unico ai sindacati che lottano, non altri. In ogni caso, nel rivolgerci ai sindacati di base, preferiamo mille volte rivolgerci a queste realtà genuine del proletariato supersfruttato, come il SiCobas, piuttosto che a pezzi di burocrazia (o di micro-burocrazia) sindacale rappresentati dall’apparato Usb, in cui recentemente si sono fatti strada anche riciclati dal vecchio apparato della Cgil, che dopo aver fatto i peggiori accordi in Cgil oggi si rivolgono a noi con critiche da super-rivoluzionari.
Il crumiraggio attivo dell’Usb del 12 dicembre ha dimostrato per l’ennesima volta quanto il loro settarismo li tiene lontani dalla coscienza della classe.
Pensiamo che uno dei limiti fondamentali della nostra azione sia stato quello di non essere stati in grado (a parte lodevoli eccezioni) di sviluppare un intervento rivolto alla massa dei lavoratori, né sul piano vertenziale, e persino sul piano della propaganda.
Negli ultimi anni l’Area ha avuto una torsione “politica” sbagliata essendo stata orientata al microcosmo di un’ultrasinistra (politica e sindacale) sempre più frammentata e litigiosa. Peraltro in una logica da intergruppo.
Il gruppo dirigente attuale pur frenando l’orientamento verso l’Usb non è stato in grado di imprimere una svolta.
Se dovessimo fare un bilancio della fase trascorsa diremmo che la nostra Area assomiglia più a un gruppo politico piuttosto che un’opposizione sindacale che sviluppa vertenze, interviene su di esse e sviluppa le necessarie generalizzazioni sul piano politico e sindacale per orientare il movimento di massa, avanzare proposte, ecc. Il taglio che ha il nostro sito è un riflesso di questo limite.
Non ce la possiamo cavare con le accuse di tradimento a Camusso e Landini, con le quali parliamo solo al nostro microcosmo dei già convinti.
La questione di rivolgerci ai dirigenti riformisti incalzandoli per sottrarre loro l’influenza che esercitano sulle masse non può essere un libro chiuso per l’Area. Per fare questo è necessario avere un atteggiamento meno liquidatorio e più dialogante con tutti quei lavoratori che oggi guardano alla “coalizione sociale”, evidenziandone i limiti e le contraddizioni ma senza banalizzare il giusto bisogno di riferimento politico che larghi strati della nostra classe avvertono.
Nel suo articolo Cremaschi, pur lamentandosene, riconosce l’enorme crescita di popolarità di cui gode Landini. Se pensiamo di affrontare questo problema con le bolle papali e le scomuniche dei nostri comunicati sbagliamo di grosso.
Noi dobbiamo incalzare Landini sul suo terreno, accompagnando i lavoratori nel percorso di mobilitazione, facendoci vedere al loro fianco ma allo stesso tempo criticando i dirigenti quando con le loro posizioni moderate limitano la crescita del movimento di massa.
Invece quello che è successo in autunno è che, diciamolo pure, in alcuni settori della nostra Area vi è stato un disorientamento per il semplice fatto che la Camusso e Landini convocavano gli scioperi. Così facendo ci condanniamo al minoritarismo e alimentiamo una povertà politica che ci impedisce di crescere.
Agire nella crisi
Questi limiti sono acutizzati ancor più dal contesto della crisi economia.
I padroni parlano di ripresa ma al massimo possiamo parlare di un piccolo rimbalzino in alcuni settori. In verità la crisi prosegue ed è destinata ad approfondirsi, come dimostra il calo degli investimenti e della capacità produttiva.
Tuttavia è anche vero che si sta affermando una tendenza a livello mondiale di ritorno delle produzioni nei paesi capitalisti avanzati (reshoring) che allenta in parte l’enorme pressione che in questi anni c’è stata sui lavoratori. Ma solo in parte perché i padroni sfrutteranno al massimo questa breve congiuntura per spremere ulteriormente i lavoratori, come si vede alla Sata di Melfi con i 20 turni, mentre nella maggioranza dei settori industriali e del terziario continuerà la mannaia delle ristrutturazioni.
Se vogliamo intervenire sindacalmente in un contesto come questo di forte ricattabilità operaia dobbiamo mettere da parte azioni avventuriste, che possono solo isolarci agli occhi dei lavoratori.
Un’Area sindacale come la nostra deve capire la differenza che c’è tra stabilimenti come Pomigliano e Melfi. Da una parte un ampio sottoutilizzo degli impianti che vede ancora fuori dalla fabbrica metà dei lavoratori, dall’altra un utilizzo degli impianti ben al di là della sopportazione umana. Da questa contraddizione si può uscire solo sviluppando una serie di rivendicazioni che, tenendo conto delle differenti situazioni, miri a unire in un unica piattaforma le necessità di tutti i lavoratori.
Anche a Melfi i compagni dovranno muoversi nell’ottica di conquistare la maggioranza degli operai senza esporre oltre misura i compagni.
Il metodo Wobblies che oggi viene praticato dal SI Cobas difficilmente può avere successo alla Fiat. La strategia di lotta deve affinarsi parafrasando Sun Tzu dall’arte della guerra (in fondo la lotta di classe è un tipo di guerra) potremmo dire che: “quando vedi il nemico pronto, preparati contro di lui; ma evitalo, dove è forte”.
La sconfitta sul Jobs act e il conflitto in Fiat
Le responsabilità del vertice della Cgil nella sconfitta sul Jobs act nell’autunno sono note. Scaricare sulla contrattazione eventuali contrasti al Jobs act è, oltre che inefficace, irresponsabile. Significa far prevalere la logica del “si salvi chi può” favorendo la balcanizzazione contrattuale che ha aperto la strada allo smantellamento dei contratti nazionali.
L’altro grande mutamento dell’autunno è stata la rottura definitiva tra il Partito democratico e la Cgil. Per la prima volta la Cgil è senza un partito di riferimento. Questo significa che Renzi preparerà nuovi e più profondi attacchi puntando a mettere nuovamente alle corde la Cgil senza concedere un vero terreno di mediazione.
A questo va aggiunto il lancio, o meglio il rilancio, della coalizione sociale di Landini, volta ufficialmente a rilanciare un’opposizione al Jobs act e alle misure contro i lavoratori del governo Renzi.
Un’adeguata strategia della nostra Area su tutti questi temi può essere l’occasione per rilanciare la costruzione di una sinistra sindacale in Cgil con l’obbiettivo di riconquistare la Cgil a un ruolo di sindacato combattivo che faccia gli interessi dei lavoratori.
Dopo anni di crisi la vendita di auto Fiat è moderatamente ripresa. Gli effetti di questo si sono potuti vedere immediatamente alla Sata di Melfi dove azienda e sindacati collaborativi hanno imposto l’aumento a 20 turni la produzione. Questa parziale e temporanea ripresa della produzione ha tra le altre cose coinciso con le elezioni Rsa degli stabilimenti.
Elezioni che nonostante abbiano visto l’esclusione della Fiom dalle votazioni insieme agli altri sindacati mostrano come i metalmeccanici Cgil siano nei fatti ancora presenti. A quattro anni dalla cacciata della Fiom dagli stabilimenti Fiat possiamo dire che il tentativo di Marchionne sia fallito.
L’appuntamento comunque più importante per quanto riguarda le rappresentanze sindacali sarà tra maggio e giugno, quando si svolgeranno le elezioni Rls, elezioni a cui la Fiom parteciperà insieme agli altri sindacati dentro gli stabilimenti.
La ripresa della produzione, la limitata ma comunque effettiva nomina degli Rsa Fiom in Fiat, ci indicano che nel prossimo periodo discutere dell’azione sindacale in questo gruppo sarà centrale, ma bisognerà farlo con intelligenza e con metodo.
Gli avvenimenti di queste settimane in Fiat, in particolare a Melfi ci dicono che il clima sta cambiando e che la Fiom nonostante il ritorno in fabbrica, pur con molte limitazioni, non sta affrontando questo ritorno nel modo adeguato. L’azione dei nostri compagni a Melfi è stata sicuramente coraggiosa e ne va riconosciuto l’impegno, che fondamentalmente ha permesso che l’indecente peggioramento dei turni non sia caduto nel silenzio più assoluto. Ci dice però allo stesso tempo che il settore di lavoratori disposto a proseguire la mobilitazione è ancora troppo piccolo e che la nostra strategia nel prossimo periodo deve essere finalizzata alla crescita della nostra influenza a partire dal convincere la maggioranza dei compagni Fiom che compongono la Rsa, che si sono schierati con la posizione di Landini, per passare al resto dei lavoratori.
L’approccio verso la Fiom
Per fare questo dobbiamo far leva sulle contraddizioni del vertice della Fiom che da un lato critica i nuovi turni ma dall’altro non promuove la mobilitazione per respingerli, anche se a livello nazionale lancia la coalizione sociale che a parole dovrebbe fornire nuovi strumenti per contrastare le offensive padronali. Dobbiamo sempre partire dall’interesse diretto dei lavoratori e formulare parole d’ordine che incalzino la Fiom e che non siano solo di sterile denuncia.
Il nostro obiettivo principale è fare una campagna perché la Fiom discuta una piattaforma generale in Fiat, una piattaforma che per quanto ci riguarda deve vedere al centro la redistribuzione del lavoro, la lotta contro l’estensione dell’orario ordinario al sabato e alla domenica, i livelli salariali, le differenze tra stabilimenti, la riduzione d’orario, la difesa dei lavoratori Rcl e il rispetto delle nuove assunzioni promesse da Marchionne. Landini vuole chiudere un accordo al ribasso con Fim e Uilm. Bene noi gli chiediamo di basarsi sulla forza dei lavoratori per definire una piattaforma generale e facciamo campagna attorno a questo.
Più in generale deve cambiare il nostro approccio verso la Fiom e alle relazioni che quest’Area ha cercato di sviluppare nell’ultimo periodo. Fiat, Fincantieri, Finmeccanica, il settore meccanico in generale porrà nel prossimo periodo nuovi e più duri scontri tra padroni e lavoratori. L’impasse della Fiom non può essere affrontato con il metodo della polemica fine a se stessa. Su ogni questione va sviluppata una posizione precisa, presentata una strategia efficace, una piattaforma adeguata, da promuovere nel corpo militante della Fiom proponendo che siano i dirigenti di questa organizzazione a farsene carico.
Troppo spesso la nostra Area invece che affrontare le vertenze che si aprono per provare a intervenirci si limita a denunciare il tradimento del vertice sindacale. L’effetto di questo è solo quello di demoralizzare i delegati e i lavoratori a noi vicini.
Autoreferenzialità
Rinunciare al livello vertenziale ci spinge inevitabilmente a ricercare dei surrogati sul terreno delle “coalizioni rossissime”. Come in autunno con lo Strike meeting, che non solo non ha portato a nulla ma ha spostato la nostra attenzione dal punto principale e cioè che c’era in campo un movimento di massa che doveva essere al centro delle nostre preoccupazioni.
Intervento che non si risolve certo solo con l’organizzazione di spezzoni in queste manifestazioni o la distribuzione di volantini.
La nostra alleanza coi sindacati di base deve essere rimessa in discussione in particolare per quanto riguarda l’Usb che sta assumendo posizioni sempre più settarie e puramente speculative, tese esclusivamente a fare nuove reclute tra le nostre fila.
Per lunghi periodi in passato siamo stati prigionieri di infinite ed inutili discussioni con soggetti che si muovevano secondo una logica autoreferenziale e non a caso ci trovavamo spesso a fare i mediatori tra soggetti assolutamente ostili al nostro progetto generale.
Questa rissosità caratterizza anche molti dei nostri dibattiti in cui si aprono discussioni infinite, secondo il peggior metodo assembleare discutendo di tutto e di più come se l’Area fosse un soggetto partitico. Ma non dobbiamo dimenticare che la maggior parte di noi non ha abbandonato la storica posizione che prevede una doppia militanza del movimento operaio, quella politica e quella sindacale.
Il tempo che hanno a disposizione i compagni che lavorano è limitato e se non lavoriamo ad usare bene questo tempo la nostra Area nei prossimi anni non potrà che trasformarsi in una riserva indiana che vedrà passargli il movimento di massa a lato guidato dai riformisti come Landini.
È tempo di cambiare corso!
Bellaria 26-27 marzo 2015