Da settembre, per effetto della conciliazione avvenuta tra Fiat e Fiom, i 19 attivisti delegati di Pomigliano sono rientrati in fabbrica. Si tratta dei lavoratori che avevano in prima persona impugnato contro la Fiat le sentenze di discriminazione, che ora riprenderanno a svolgere le loro precedenti mansioni, salvo i casi in cui queste siano state eliminate o automatizzate in seguito ai cambiamenti apportati in fabbrica.
Questo evento ha determinato che dieci iscritti Fiom siano finalmente potuti rientrare in quei reparti che lavorano a pieno regime (il settore A), dove fino ad ora non vi era impiegata nessuna delle tute blu iscritte al sindacato dei metalmeccanici Cgil.
Nel settore A i sindacati firmatari spadroneggiavano, oggi invece hanno addosso occhi scomodi che possono rompere l’equilibrio creato tra loro e l’azienda. Non è un caso che, prima in un’assemblea in fabbrica e poi attraverso dei comunicati, hanno provato a far passare il messaggio che i 19 si fossero semplicemente auto-tutelati, contrattando le proprie postazioni. Un messaggio favorito anche dall’incapacità del sindacato di Landini di saper argomentare al meglio quanto accaduto.
Chi scrive crede che le azioni legali, quella dei 145 lavoratori Fiom (cioè l’insieme degli iscritti Fiom che sarebbero dovuti rientrare), così come quella dei 19, potevano essere portate a termine con buone probabilità di vittoria. Nell’accordo di conciliazione ovviamente questa possibilità è resa nulla. Si prevede infatti l’eliminazione di queste azioni legali, mentre la Fiat nel verbale conclusivo ovviamente non riconosce di aver esercitato le già appurate discriminazioni. Va detto che già l’idea di affidare tutte le carte alla via legale, indebolendo la possibilità di mettere in campo una mobilitazione, era di per sé criticabile, ma nemmeno questa strada poi alla fine è stata portata avanti fino in fondo. Un accordo, dunque, che in parte ha anche svilito l’azione di principio messa in campo in questi anni.
Rientrare con un accordo non è lo stesso che ritornarci con una vittoria, anche se solo giudiziaria, che però non avrebbe precluso la possibilità di agire anche con azioni di lotta dura, difficili sì da mettere in campo nel contesto dato, ma che non sono state minimamente vagliate dal gruppo dirigente del sindacato a guida Landini. Per di più l’ambiente trovato in fabbrica è di quelli peggiori, con lavoratori che, anche se arrabbiati per le condizioni di lavoro, temono la vicinanza con i delegati Fiom, mentre sindacati firmatari ed azienda esercitano un controllo sistematico sugli spostamenti e sull’operato lavorativo-sindacale dei nuovi entrati.
Resta però il fatto, e va detto, che oggi ci sono i presupposti per riprendere un’attività sindacale adeguata all’interno dei reparti. Considerato che la conciliazione non è stato il miglior mezzo per rientrare – in linea, purtroppo, con le strategie di questi anni messe in campo dalla Fiom –, resta ora il problema di come affrontare questa nuova fase.
Come si contrasterà il Ccsl (contratto collettivo specifico di primo livello) in Fiat sarà la cartina di tornasole per capire se questa scelta sia stata utile o semplicemente l’ennesima mossa del cavallo. Insomma, riusciranno i delegati a riaprire la conflittualità? La Fiom investirà nel conflitto, senza lasciare soli i delegati rientrati? Domande a cui per ora non abbiamo risposte. Quello che è sicuro è che c’è bisogno di un’iniziativa di lotta estesa e generalizzata, ma soprattutto di una strategia per organizzarla e rilanciarla.
Elemento indispensabile, se si considera che a breve una procedura di Cig investirà il reparto che fino ad ora non ha mai smesso di lavorare dall’avvento della Panda, gettando ombre ancora più lunghe per chi è in solidarietà.
Senza una progettazione industriale, e con la sola Panda, il futuro rischia di assomigliare sempre più ad un pantano nel quale resterebbero imprigionati tutti i lavoratori di Pomigliano, nessuno escluso.