Il successo della manifestazione del 25 ottobre è sotto gli occhi di tutti.
Centinaia di migliaia, forse un milione di lavoratori e giovani hanno invaso le strade di Roma con due cortei partiti da Piazza della Repubblica e Piazzale dei Partigiani, confluiti poi in Piazza San Giovanni.
C'era veramente di tutto, gli operai dell'Ast di Terni, in lotta contro i licenziamenti, quelli della Titan di Bologna, in lotta contro la chiusura, i lavoratori di Meridiana e Alitalia, i precari, i lavoratori del commercio senza contratto, come quelli del pubblico impiego che il contratto non lo vedono da anni.
Due interminabili serpentoni partiti alla mattina presto hanno sfilato per ore per le vie di Roma. Molti in piazza non ci sono neanche arrivati, hanno dovuto lasciare la manifestazione prima per tornare ai propri pullman.
Per molti è stata la prima manifestazione di massa, per tutti la prima manifestazione oceanica da quella della Fiom del 16 ottobre del 2010, se non addirittura dall'adunata di Cofferati al circo Massimo del 2002.
Che lo si voglia o no la Cgil rimane l'unica organizzazione sindacale in grado di convocare manifestazioni di massa.
Certo, i vertici Cgil la manifestazione l'hanno dovuta convocare obtorto collo perché costretti dall'indisponibilità assoluta di Renzi a mediare, indipendentemente dal fatto che la piattaforma su cui è stata convocata è in diversi punti ambigua se non contraddittoria, e per il fatto che i dirigenti sindacali hanno dovuto fare in tre settimane quanto non hanno fatto negli ultimi tre anni per convincere i lavoratori ad andare a Roma. Assemblee, presidi, manifestazioni e in alcuni casi anche degli scioperi generali locali o regionali.
Renzi mette all'angolo la Cgil
L'esperienza recente dei lavoratori era stata quella di una Cgil che davanti alle peggiori riforme era stata a guardare se non addirittura collaborare, oggi no. Il motivo per cui oggi la Cgil non può permettersi l'immobilismo è perché in gioco c'è la propria sopravvivenza, da qui la necessità di mobilitare la macchina organizzativa. Un gran utilizzo di risorse e energie per recuperare una credibilità ridotta al lumicino in questi anni. Ma facendo ciò la Cgil ha dovuto motivare i lavoratori a partecipare e questo è il vero dato che a noi deve interessare.
I lavoratori questa differenza con il passato l'hanno percepita, a loro interessa respingere gli attacchi alle proprie condizioni di vita e quelle dei propri figli.
Spiace che questa questione sia un libro chiuso per tanti compagni dei sindacati di base che si autoconsolano sui vari social network del magro risultato dello sciopero dell'Usb del 24 ottobre, spiegando che i dati della Cgil sono gonfiati e che comunque la Cgil la piazza l'ha riempita grazie ai pullman e treni gratis (un argomento caro peraltro anche ai dirigenti del Pd).
Si sorvola sul fatto che da parte della stessa Usb la partecipazione è stata parecchio gonfiata, a Roma al massimo c'erano duemila lavoratori, la questione non è questa. Ancora una volta si è separato un settore combattivo del movimento operaio dalla massa dei lavoratori, visto che la massa stava in Piazza San Giovanni il 25 ottobre. In questi frangenti si può decidere di fare solo due cose, stare alla finestra a commentare l'inevitabile tradimento dei vertici della Cgil, oppure approfittare delle aperture che l'apparato della Cgil è costretto a fare per discutere coi lavoratori come mettere in campo una reale lotta efficace. Noi scegliamo la seconda opzione.
Anche il discorso della segretaria generale della Cgil a Piazza San Giovanni è stato decisamente più combattivo di quanto siamo stati abituati a sentire in questi mesi e anni. Un attacco a Renzi e al suo governo, agli imprenditori che lo sostengono, come Serra che il giorno stesso alla kermesse della Leopolda aveva rivendicato la necessità di abolire il diritto di sciopero nel pubblico impiego. Ha dovuto inviare un messaggio chiaro a Renzi, che non se la caverà mettendo la fiducia al suo governo quando il Jobs act sarà votato in parlamento. Ha dovuto annunciare che la mobilitazione proseguirà con assemblee, scioperi articolati e lo sciopero generale.
Tutto ciò non è cosa da poco se si pensa che solo lo scorso maggio la Camusso aprendo il congresso nazionale della Cgil esordì dicendo che lo sciopero generale non aveva più il ruolo del passato e che era uno strumento come altri. Solo cinque mesi dopo deve tornare a convocarlo per farsi sentire dai padroni.
Come siamo arrivato a questa manifestazione lo sappiamo. Il gruppo dirigente della Cgil ha tentato in ogni modo di evitare lo scontro, ha sperato fino all'ultimo di poter aprire una trattativa che inevitabilmente, come la storia ci insegna, sarebbe stata al ribasso. In non pochi momenti ha esitato e desiderato di poter risvegliarsi dall'incubo di dover combattere contro il governo.
Renzi ha chiuso tutto le porte del dialogo. Emblematiche sono le dichiarazioni del premier successive all'incontro tra governo e sindacati sul patto di Stabilità. “Il governo non tratta con i sindacati, sulle leggi non deve chiedere loro il permesso”. Renzi non lascia spazi, Renzi non fa concessioni. “Quel tempo è finito.” afferma con orgoglio.
Renzi vuole distruggere la forza organizzata dei lavoratori.
Susanna Camusso ha dovuto prendere la strada del conflitto. Nostro compito ora è dare gambe a tutto ciò che favorisce il proseguimento e la radicalizzazione dello stesso.
Uno sciopero generale vero
La manifestazione del 25 ottobre rappresenta una prima tappa di questo scontro.
La Camusso a San Giovanni ha detto che sarà una mobilitazione lunga e complicata. Questo è assolutamente vero. In gioco non ci sono solo l'articolo 18, il demansionamento e i controlli sui lavoratori. In gioco ci sono le migliaia di posti di lavoro che si perdono quotidianamente, la disoccupazione alle stelle, salari da fame, scuole fatiscenti, servizi e stato sociale allo stremo.
Si pone quindi il problema di come trasformare in atti concreti questa affermazione. In primo luogo lo sciopero generale si deve organizzare al più presto, non lo si può convocare a dicembre, come paventato dalla segretaria, quando il decreto del governo sul jobs act sarà già approvato dal parlamento.
E non può essere uno sciopero generale di due o quattro ore, rispettoso delle leggi antisciopero che costringono milioni di lavoratori a restare in servizio, soprattutto nel settore pubblico e nei trasporti.
Deve bloccare tutto, dimostrando l'enorme forza della classe lavoratrice, mettendo in campo una vera mobilitazione che faccia male a padroni e governo costringendoli alla ritirata.
Partendo dallo sciopero generale bisogna creare un vero e proprio stato di mobilitazione permanente, dando spazio alla creatività dei lavoratori, che può emergere solo in un ambito di vera democrazia sindacale.
Le vertenze locali dovrebbero essere gestite attraverso la formazione di comitati nei luoghi di lavoro che sappiano relazionarsi con gli studenti, i disoccupati e i lavoratori delle piccole aziende.
Decisivo infatti deve essere quanto si riesce a mettere in campo in ogni singola azienda o comprensorio sindacale, tutte azioni decisive per allargare il fronte della mobilitazione e rendere più efficaci le forme di lotta adeguandole ai contesti concreti.
Un’articolazione mirata degli scioperi colpendo particolarmente le aziende che attraversano picchi produttivi visto che scioperare nelle aziende in crisi non ha nessun effetto. A questo scopo sarebbe utile una cassa di resistenza per distribuire le perdite di salario tra tutti i lavoratori rendendo così il costo degli scioperi maggiormente sostenibile.
Come vincere questa battaglia
Promuovere il non rispetto delle leggi antisciopero (come la 146/90) e dei "servizi minimi" che prevedono la precettazione di quote significative di lavoratori rendendo "non generali" gli scioperi e vanificando la mobilitazione messa in campo. Sostenere campagne di autoriduzione generalizzata dei ritmi, il rifiuto della flessibilità e degli straordinari.
Indire scioperi parziali senza preavviso, con presidi informativi nelle città, nelle principali vie di comunicazione, davanti alle stazioni e alle scuole, ai grandi centri commerciali e ai luoghi di lavoro dove ci sono particolari concentrazioni di precari.
Creare un vero e proprio clima di insubordinazione, con assemblee informative e discussioni che rendano lo sciopero generale un momento in cui si paralizza realmente il paese in grado di mostrare la reale forza dei lavoratori conquistando ulteriori simpatie e sostegno.
A questo occorre legare una campagna a tutto campo per la sindacalizzazione dei precari; per il loro diritto ad eleggere i propri rappresentanti e per la trasformazione dei contratti precari in contratti a tempo indeterminato.
A tutto ciò è legata la questione di un programma di rivendicazioni adeguato all'altezza dello scontro. Non basta chiedere lo stralcio dell’articolo 18 e non si deve rivendicare la riapertura di un tavolo di confronto sul Jobs act, magari proponendo come punto di mediazione il contratto a tutele crescenti.
È necessario rivendicare il ritiro del disegno di legge e anche di tutte le forme di precarietà esistenti, solo così la parola d'ordine che si è data la Cgil “estensione a tutti dello Statuto dei lavoratori” è credibile.
Il nmovimento operaio deve dimostrare di fare sul serio, di avere le idee e la strategia corrette per andare fino in fondo e vincere lo scontro. Solo in questo modo si potranno convincere gli indecisi, che stanno alla finestra e che credono che “sono tutti uguali”.
È caduto quest'anno il decimo anniversario della lotta dei lavoratori della Fiat Sata di Melfi. Nell'aprile del 2004 gli operai del più recente stabilimento del gruppo Fiat, con l'età media più bassa, esasperati dallo sfruttamento, dalla repressione aziendale, da salari e diritti inferiori degli altri stabilimenti, presero il coraggio a due mani e bloccarono per ventuno giorni la produzione presidiando lo stabilimento ininterrottamente. In quei ventuno giorni costrinsero i dirigenti sindacali, anche della Fiom, a sottomettersi alla loro volontà. Respinsero le cariche della polizia, raccolsero sostegno e solidarietà da tutto il paese. Alla fine la Fiat dovette cedere, non su tutto, ma il messaggio che passò fu che i lavoratori di Melfi con le proprie forze e la determinazione vinsero. Fu una delle ultime battaglie di grande risonanza che mise la classe operaia al centro dell'attenzione e mobilitò i lavoratori in tutto il paese.
Quella è la determinazione necessaria per vincere questo è quello che noi porteremo avanti nelle prossime settimane, solo così la vittoria è possibile.