Ad ogni decennale la musica è la stessa. Rivoluzionari pentiti, politici custodi dell’ordine stabilito, conservatori o ex stalinisti, e intellettuali progressisti ma non troppo, ci raccontano che le lotte del Maggio francese furono una pericolosa illusione e sono all’origine di qualche male dell’oggi.
Nel quarantennale Sarkozy sopravvanza tutti nel suo furore contro il ’68, considerato causa di degrado morale, egualitarismo e assenza di rispetto delle gerarchie sociali. Dietro la propaganda borghese si agita uno spettro: la paura del ’68 come esempio di lotta rivoluzionaria in un paese capitalista avanzato.
Gli attacchi dei conservatori sono trasparenti. A sinistra, invece, tonnellate di inchiostro sono state versate dai riformisti, meglio ancora se ex sessantottini come Capanna, per oscurare la carica anticapitalista espressa durante il Maggio francese. Silenzio sul fatto che per la prima volta in Europa gli studenti lottavano a fianco degli operai, silenzio sul più grande sciopero generale con occupazione delle fabbriche nel dopoguerra europeo. Un Maggio francese derubricato a movimento interclassista per il cambiamento dei costumi. Per rimettere i fatti sui loro piedi e delinearne la natura è necessario liberarsi di questa paccottiglia ideologica.
“La Francia s’annoia”?
In un articolo di Le Monde del 15 marzo ‘68, Pierre Viansson-Ponté descrive una Francia sul punto di morire “per noia”; in presenza di un corpo sociale giudicato fiacco, il giornalista fa appello alla classe dirigente perché infonda nuova vita. Pochi sentono la tempesta sociale in arrivo. Il partito comunista francese (Pcf) e la Confederazione Generale del Lavoro (Cgt) furono sorprese e scavalcate dall’asprezza dell’esplosione sociale, giunta inattesa anche nell’estrema sinistra. Un sondaggio dell’autunno ’67 sulle tendenze giovanili assicurava la solidità della pace sociale: gli obiettivi dei giovani erano la famiglia ed una carriera di successo, l’attenzione alla politica attiva era minima.
Sotto la superficie tranquilla lavoravano però forti correnti perturbatrici. Dal 1945 la Francia aveva avuto una crescita industriale del 6% medio annuo: i grandi gruppi capitalisti andavano a reclutare manodopera persino nelle ex colonie francesi. La disoccupazione oscillava attorno al 2% ma il reddito dei lavoratori, soprattutto dal 1962-63, era cresciuto molto più lentamente del Pil. I lavoratori vedevano che la società si arricchiva ma a loro arrivavano le briciole. Lo sviluppo economico, peraltro, aveva notevolmente proletarizzato la popolazione francese, riducendo le classi medie (artigiani, commercianti, piccoli coltivatori), dal 1848 a più riprese base sociale di massa per la grande borghesia. L’80% della popolazione era salariata, il 39% lavorava nell’industria.
Una scintilla alla Sorbona
Nessun politico si preoccupò, quindi, di fronte alle proteste studentesche di Nanterre contro la separazione tra maschi e femmine nelle residenze universitarie. Mobilitazioni di questo tipo erano scoppiate sin dal 1965. Nessun politico si preoccupò nemmeno quando il rettore della facoltà di Nanterre, Grappin, decise di sospendere le lezioni di fronte alle azioni audaci del gruppo di studenti guidati da Daniel Cohn-Bendit, poi diventati quelli del “22 marzo”, pieni di sarcasmo verso le istituzioni ed i docenti di sinistra ad esse adeguati (Morin, Touraine). Il sindacalismo studentesco, peraltro, era ai minimi dopo l’apice toccato nelle manifestazioni per l’Algeria. L’Unione Nazionale degli Studenti di Francia (Unef) era crollata a 5-6mila aderenti. L’Unione degli Studenti Comunisti (Uec) era anch’essa in crisi, mutilata da espulsioni burocratiche che nel 1965-66 avevano troncato sul nascere il libero dibattito iniziato dagli studenti del Pcf, soffocati dal conformismo stalinista. Nell’aprile ‘68 l’attenzione è su una riforma dell’università che aumenterebbe la selezione.
Il 3 maggio all’università della Sorbona c’è una giornata di solidarietà internazionalista col Vietnam. Il rettore Roche chiede l’intervento della polizia. Gli studenti escono senza opporre resistenza ma a centinaia sono imbarcati sulle camionette di polizia per essere identificati in commissariato. Tutto scoppia: una folla crescente accerchia le camionette gridando “liberate i nostri compagni!” In poche ore il Quartiere Latino è un campo di battaglia: la polizia spara lacrimogeni fin dentro i cinema ed i bar, ma gli studenti, coi loro dirigenti arrestati, rispondono alle cariche. Alcuni commissari di polizia rimangono scioccati da tanto coraggio.
Per riportare la calma, il Questore di Parigi, Maurice Grimaud, consiglia moderazione al Procuratore della Repubblica. La Sorbona è occupata dalla polizia. Quando domenica 5 maggio piombano quattro condanne senza condizionale, gli studenti s’infiammano. L’indomani si svolge una manifestazione, a cui aderisce anche il sindacato dei professori universitari, lo Snes-Sup, con 10mila partecipanti. Le richieste del movimento sono: liberazione degli arrestati, riapertura della Sorbona, polizia fuori dal Quartiere Latino. Anche i medi entrano in lotta. La direzione delle mobilitazioni, ormai quotidiane, è condivisa da Unef, Snes-Sup e gruppo “22 marzo”. Il Pcf bolla il movimento come estremista e “obiettivamente al servizio della reazione”. Il movimento studentesco porta in piazza 30mila persone venerdì 10 maggio. Quella sera nessun servizio d’ordine studentesco riesce a far rispettare l’ordine di disperdere la massa a fine corteo: tutti vogliono rompere il cordone poliziesco che occupa la Sorbona. È la notte delle barricate nel Quartiere Latino. I giovani tengono in scacco i reparti mobili della polizia fino alle 5 di mattina, ritirandosi in buon ordine. I feriti “ufficiali” sono 481, di cui 279 poliziotti. La gente del Quartiere Latino ha nascosto nelle proprie case i manifestanti rincorsi dalla polizia e gettato di tutto sui reparti di Gendarmeria mobile. Ogni sondaggio rivela una maggioranza dei francesi a favore degli studenti. La battaglia è politica, nessuno ricorda la riforma dell’università.
De Gaulle in crisi
Il generale de Gaulle, al potere dal 1958, non ha più l’aureola da salvatore della patria. Il governo si è costantemente diviso sulla tattica da seguire. Il Generale ritiene che l’autorità dello Stato non possa essere sfidata e che un uso deciso della forza spegnerebbe tutto. Gli si oppongono diversi ministri ed il capo della polizia di Parigi, attenti nel valutare l’umore popolare. La paralisi continua fino al ritorno dall’Afghanistan di Pompidou, primo ministro gollista, all’indomani dei durissimi scontri nel Quartiere Latino. In risposta all’indignazione dilagante nel Paese, la Cgt e la Cfdt (Confederazione federale del Lavoro, socialista) aderiscono al corteo di protesta del 13 maggio convocando una giornata di sciopero. La classe operaia entra in scena unita agli studenti.
La sera dell’11 Pompidou accetta i tre punti del movimento studentesco senza alcuna contropartita. La vittoria entusiasma la piazza. La Sorbona ed il teatro dell’Odéon sono occupati, all’ingresso sventolano bandiere rosse. Il potere ha ceduto, si apre una breccia. Il 13 apre il corteo uno striscione con la scritta “studenti, operai, impiegati solidali”. A Parigi sfilano in 7-800mila, altre centinaia di migliaia nel resto della Francia, persino nelle zone conservatrici e rurali. La burocrazia sindacale è a disagio: gli operai saranno attratti dalle idee rivoluzionarie?
Dallo sciopero al dualismo di potere
Dopo il 13 maggio la Cgt è silenziosa. Il gruppo dirigente spera che la prova di forza in piazza induca il governo ad intavolare negoziati. L’Ufficio Politico del Pcf, che controlla in modo ferreo la Cgt, sostiene infatti che si tratta di un movimento rivendicativo e la lotta non si deve politicizzare. In realtà, gli studenti hanno agito da detonatore per la rabbia dei lavoratori. Tutta la società entra in lotta. I tecnici di radio e televisione occupano le loro sedi, si rifiutano di fare le veline del governo ed impongono l’invito in Tv di Cohn-Bendit. I giovani architetti e medici occupano le sedi dei loro ordini protestando contro le rispettive caste. Godard, Truffaut e Malle, in una riunione concitata del sindacato cineasti, impongono la cessazione del Festival di Cannes.
La classe operaia è un fiume in piena. I primi a proclamare uno sciopero illimitato sono i lavoratori di Sud-Aviation, i quali inoltre sequestrano il loro padrone. Il 15 entra in sciopero lo stabilimento Renault di Billancourt, feudo della Cgt. La sera del 16 ci sono 600mila operai in sciopero illimitato con occupazione di fabbrica. Séguy, segretario della Cgt, capisce che per poter controllare l’esplosione operaia bisogna mettersi nel turbine: la Cgt fa sua la parola d’ordine dello sciopero generale. Le rivendicazioni sono per la riduzione dell’orario di lavoro da 48 ore a 40 a parità di salario, l’aumento del salario minimo, la piena libertà sindacale in fabbrica. Il 20 gli scioperanti sono 5 milioni, entro il 24 sfiorano i 10.
Ai ministri saltano i nervi. Le organizzazioni golliste non osano mettere il naso in piazza. La borghesia non vuole combattere. La Cgt, e dunque il Pcf, ha il potere in mano. L’apparato statale è sospeso in aria. I trasporti sono paralizzati, la Cgt gestisce i rifornimenti alimentari a Parigi. Diversi ministeri sono occupati dai funzionari: i ministri non reagiscono, nonostante le sfuriate di de Gaulle. Soltanto l’intervento di Séguy impedisce che i lavoratori taglino e mettano sotto controllo le comunicazioni del governo, il ministro delle Poste afferma che ciò vorrebbe dire passare allo sciopero insurrezionale.
Il primo ministro Pompidou, borghese lucido e disincantato, gioca la carta del dialogo con la Cgt ed il Pcf. Sa che i dirigenti stalinisti del Pcf sono impegnati nell’evitare uno sbocco rivoluzionario, pensa che la classe dominante debba concedere molto sul terreno economico per non perdere tutto. I colloqui di Grenelle del 25-27 maggio tra governo, padroni e sindacati mostrano la debolezza della borghesia. Governo e padronato concedono l’unificazione del salario minimo agricolo ed industriale con aumento del 30%, aumenti salariali del 10%, miglioramenti pensionistici ed una leggera riduzione della settimana lavorativa. Si potrebbe sfondare anche sulla scala mobile, ma la direzione della Cgt ha fretta di chiudere la partita e riportare la calma nei luoghi di lavoro. La mattina del 27, però, il segretario generale Séguy, nell’assemblea di Billancourt, cambia in corsa il suo intervento a causa della freddezza dei lavoratori. L’accordo è bocciato ovunque, non solo perché si pensa di poter ottenere di più sindacalmente. Quando Séguy rilancia lo sciopero generale illimitato, già in marcia, l’assemblea di Billancourt scandisce lo slogan “governo popolare!”
Rivoluzione e reazione
Il potere è nelle piazze. Il Parlamento è ai margini. Gli si apre uno spazio dopo che i dirigenti della Cgt non riescono a far digerire gli accordi di Grenelle: hanno una precipitazione i tentativi di trovare una via d’uscita parlamentare con la nomina a primo ministro di Mendès-France, socialista riformista e atlantista vicino al partito socialista unitario (Psu). Le formazioni socialdemocratiche e del centro liberale si aggrappano a Mendès-France, ci sono aperture anche da parte del Pcf, fino allora contrario a rovesciare de Gaulle. Mendès-France ha l’appoggio del segretario dell’Unef, Sauvageot, anch’egli Psu, e del segretario della Cfdt Descamps. La mediazione parlamentare cade in 24 ore. De Gaulle rimprovera Pompidou per il fallimento dei “suoi” negoziati con la Cgt, propone un referendum sulla sua persona e il 29 maggio, giorno della manifestazione Cgt-Pcf per un “governo popolare”, va segretamente a Baden-Baden dal generale Massu per saggiare lo stato maggiore dell’esercito. Il 30 i gollisti, con l’aiuto dell’estrema destra, organizzano la prima contro-manifestazione di massa a Parigi con 4-500mila persone, dai parà torturatori d’Algeria alla gioventù dorata fino ai commercianti impauriti dai “rossi”. Rivoluzione e contro-rivoluzione si alimentano. La politica rinunciataria del Pcf è l’elemento decisivo: nessuna risposta ai gollisti. Dove la presa del Pcf è minore, come a Grenoble, si organizzano contromanifestazioni di sinistra oceaniche.
Durante lo sciopero non nasce un organismo centralizzato che faccia da leva per la presa del potere da parte della classe lavoratrice, a causa dell’opposizione delle direzioni del Pcf e della Cgt, impegnate a tenere divisi tra loro gli studenti e i comitati di sciopero. L’assenza di una direzione conseguente logora gli scioperanti. Entro la prima decade di giugno il più grande sciopero generale del dopoguerra in Europa è finito, gli studenti si incartano in azioni di guerriglia urbana sempre più impopolari.
De Gaulle indice elezioni legislative per il 23 giugno. La reazione mette velocemente radici. L’11 giugno il governo ha la forza per mettere al bando le organizzazioni a sinistra del Pcf. Il 16 la polizia riconquista la Sorbona e l’Odéon. Paralizzati dai dirigenti stalinisti del Pcf e della Cgt, i lavoratori si demoralizzano. Séguy e Waldeck-Rochet, segretario del Pcf, riconsegnano il potere alla borghesia. Conducendo una campagna elettorale in nome della lotta “contro l’anarchia”, il Pcf passa dal 22,5% al 20: chi vuole l’ordine vota de Gaulle. La destra conquista 394 deputati su 485. È un sintomo, e non la causa, della sconfitta, dovuta all’assenza di un partito autenticamente comunista. In una situazione chiaramente rivoluzionaria al Partito comunista non si chiedeva di gestire il capitalismo ma di guidare la trasformazione sociale. Le classi medie in questi momenti sono disposte a seguire chi propone una guida sicura, anche molto radicale. Nella mancanza di una guida per l’insurrezione, l’ambiente in una situazione di scontro così acuta cambia in maniera molto rapida, e la piccola borghesia decide in quest’occasione di mantenere lo status quo.
Stato e repressione
Un’insurrezione sarebbe stata schiacciata dall’esercito? Molti fatti mettono in dubbio questa tesi. Grimaud lamenta sin dall’8 maggio il logoramento dei corpi scelti, mentre la polizia municipale è ritenuta incapace di affrontare la piazza. La rivolta contadina nell’ovest sguarnisce Parigi di migliaia di Crs, le unità di polizia sono esaurite a Grenoble e Nantes, a Rouen e Tours i manifestanti non vedono più la polizia. In alcuni ministeri si trasferiscono o si bruciano dei dossier. È un ambiente da fine regime.
I sindacati di polizia si scontrano col governo dopo le concessioni di Pompidou agli studenti. Molti poliziotti comprendono di essere stati usati per le necessità dei politici che poi li scaricano. La situazione sociale, inoltre, si scarica anche sulle famiglie: mogli e figli di poliziotti che vivono in quartieri popolari sono emarginati ed insultati per strada. Per calmare le acque, il governo decreta aumenti salariali per i poliziotti, gradualmente penetrati dall’idea di non dover reprimere gli operai.
La leva obbligatoria rende l’esercito ancor più instabile. La paura del contagio delle idee rivoluzionarie spinge gli ufficiali a tenere i soldati sigillati dentro le caserme. A Baden-Baden de Gaulle si assicura l’appoggio delle unità professionali dell’esercito. La base dell’esercito e della polizia traballa, soltanto i corpi privilegiati si mostrano obbedienti. L’impalcatura dello Stato borghese, come scriveva Engels, rivela la sua natura: corpi di uomini armati in difesa della proprietà privata. Ma durante lo sciopero generale questo apparato poteva poco.
18 aprile 2008