Fermiamola!
Il Consiglio dei Ministri dello scorso 28 ottobre ha approvato il ddl Gelmini di riforma dell’università, che ora comincerà l’iter parlamentare.
Come per tutte le controriforme che i governi di centrodestra e centrosinistra hanno portato avanti in questi 15 anni e più, anche stavolta non è mancata la retorica: un pò di lotta agli sprechi, tanta meritocrazia, una sana dose di paternalismo e il gioco è fatto.
La verità, come sempre, è ben altra: questa proposta di riforma, se diverrà legge, porterà a una gestione molto più autoritaria e aziendalistica degli atenei, attaccherà ancora una volta il diritto allo studio, penalizzerà ulteriormente la ricerca e concretizzerà gli attacchi ai lavoratori dell’università resi ineludibili dai tagli della legge 133/08.
Se andiamo a vedere la parte sul regime interno alle università, spicca come il Rettore sia sempre più il manager dell’università: egli ha “funzioni d’indirizzo, di iniziativa e di coordinamento”, propone il documento di programmazione strategica triennale d’ateneo ed il bilancio di previsione annuale e triennale. Il Senato Accademico, eleggibile, diventa un organo puramente consultivo e di coordinamento e non avrà più alcun potere decisionale. Il vero organo di governo diventa il Consiglio d’Amministrazione, che approva la programmazione finanziaria (proposta dal Rettore), gestisce il personale, attiva e sopprime corsi e/o sedi ed approva il documento di programmazione strategica. Il CdA non è più eleggibile ed i suoi membri saranno “designati tra personalità in possesso di comprovata competenza in campo gestionale” (tradotto: manager!) ed almeno il 40% di questi dovrà essere esterno all’università. Il Consiglio di Facoltà scompare e viene sostituito da organi più ristretti. La rappresentanza studentesca si attesterà intorno al 15% dei membri, mentre il personale tecnico-amministrativo è di fatto espulso da tutti gli organi accademici: si spalancano le porte ai privati esterni ma si negano i più basilari diritti democratici a chi nelle università studia e lavora. Oltre ad essere autoritaria, dunque, la riforma non scalfisce, ma anzi rafforza, il controllo baronale sull’università.
Saranno organi dirigenti con un così basso livello di democrazia e con una tale penetrazione di interessi privati ed esterni a decidere su eventuali fusioni con altri atenei, possibilità prevista dalla riforma con conseguente riduzione degli organici, o sulla trasformazione in fondazioni di diritto privato, come previsto dalla 133/08. Qualora anche questi organi si rivelassero non sufficientemente “efficaci” è previsto il commissariamento delle università.
I ricercatori sono anch’essi colpiti: tolta la terza fascia, potranno essere assunti solo a tempo determinato per un periodo di 6 anni (se saranno fortunati). Si mantiene il precariato, dunque, permettendo una rotazione fra contratti differenti ma sempre precari e negando di fatto l’assunzione finale a tempo indeterminato, che diventa un miraggio. Proprio in questi giorni ci dicono che la Finanziaria taglierà altri 80 milioni di euro alla ricerca. Nei fatti il disegno ministeriale vede gli atenei solo come centri didattici, privati dei compiti di ricerca.
Il disegno di legge parla anche esplicitamente di diritto allo studio, prevedendo la costituzione del “fondo per il merito”. Peccato che, lungi dal garantire davvero il diritto allo studio, questo fondo non darà agli studenti borse di studio, ma, cosa scandalosa, dei buoni studio con una quota da restituire in base ai risultati o dei veri e propri prestiti d’onore: invece di permettere a tutti di studiare, si taglia fuori la maggioranza e ai pochi fortunati si permette di indebitarsi per anni e anni. Oltretutto, se non si rispettano i requisiti di merito i buoni si perdono immediatamente! Quali sono questi requisiti? Lo deciderà di volta in volta chi gestisce il fondo, in ogni caso non è previsto che abbiano importanza le condizioni economiche dei candidati, alla faccia di qualsiasi discorso sul permettere di accedere agli studi a chi non se lo può permettere. Si può pensare: “pazienza, non sarà un granché, ma almeno non fa danni”. Anche questa illusione cade se andiamo a vedere come sarà finanziato il fondo: essendo, come tutta la riforma, a costo zero, non riceverà finanziamenti appositi e dovrà trovare altrove i soldi.
Il canale principale di finanziamenti sarà rappresentato da “versamenti effettuati a titolo spontaneo e solidale da privati, società, enti e fondazioni, anche vincolati (...) a specifici usi”. Ancora una volta sono i privati a fare la parte del leone, potendo gestire da una parte le università e dall’altra potendo scegliere gli studenti in base ai propri criteri (chi paga decide chi merita). Si vuole in pratica mettere in moto un vero mercato dello studente, dove l’ente privato decide che prodotto vuole e l’università impiega i soldi donategli per crearglielo, controllata sempre dai privati che siedono negli organi superiori. Ciliegina sulla torta, qual’è l’altro canale di finanziamento del fondo per il merito? I soldi pagati dagli studenti e dalle loro famiglie per sostenere l’esame. Già, perché per provare ad avere accesso ad un finanziamento per gli studi, bisognerà superare una prova a pagamento!
Davanti a un tale attacco è necessario organizzare una risposta che possa respingerlo e porre davvero in discussione quale università vogliamo. Noi una riforma la vogliamo davvero, ma deve essere una riforma che garantisca il diritto allo studio per tutti indipendentemente dalla propria condizione economica, grazie alla gratuità dell’iscrizione, e alla fornitura gratuita di tutti i servizi necessari; deve essere una riforma che metta l’università nelle mani di chi la porta avanti ogni giorno, garantendo l’eleggibilità, la pariteticità e la revocabilità in qualsiasi momento di tutti gli organi accademici, oltre alla possibilità di convocare almeno mensilmente assemblee di facoltà e/o di ateneo col blocco delle lezioni. Solo partendo da queste garanzie possiamo sviluppare davvero una discussione democratica su come si può riformare l’università.
Sappiamo bene che nessun ministro ci concederà questa possibilità se non perché costretto dalla mobilitazione degli studenti e dei lavoratori. È necessario quindi aprire al più presto un confronto fra chi, studenti, ricercatori, docenti precari, personale tecnico-amministrativo, subisce le peggiori conseguenze di questa riforma e delle precedenti, per decidere quale strategia di lotta mettere in campo per opporsi alla volontà del governo. Ci auguriamo che l’assemblea convocata per il 20 novembre dall’Flc-Cgil alla Sapienza possa essere un primo passo in questa direzione.
* Coordinatore nazionale Csp