Una riflessione concreta sul nostro orientamento studentesco
Dal movimento che ha scosso l'intero sistema dell'istruzione pubblica
nell'autunno del 2008, questa conferenza è il primo momento di
confronto generale che abbiamo a disposizione come compagne e compagni
dei Giovani comunisti su quale debba essere il ruolo, quale il
programma, quale la tattica della nostra struttura nella lotta per il
diritto allo studio
E finalmente! Chi ha guidato l'organizzazione in questi anni, ancor prima di far passare le linee che ne hanno minato la crescita e il radicamento, si è assicurato di non incorrere mai nell'inconveniente di una discussione democratica che potesse dare voce e un orientamento organico ai compagni che militano ogni giorno nei luoghi di studio. Il primo auspicio che possiamo fare è quindi che questo non si ripeta mai più: un'organizzazione comunista per poter vivere e lottare ha bisogno del dibattito come dell'ossigeno; garantirlo, pretenderlo è diritto e compito di ogni compagno, oggi come in qualunque momento della vita dell'organizzazione.
La situazione che ci è consegnata non è certo delle migliori: i Giovani comunisti hanno perso molto del radicamento che avevano fino a qualche anno fa nel movimento studentesco, ci ritroviamo in molti casi a dover reimpostare il lavoro da zero, o da sotto zero laddove il nome dei Giovani comunisti e di Rifondazione è legato nella memoria degli studenti alla politica governista che ci fa accomunare né più né meno agli altri partiti, con in più l'idea non esattamente positiva che la maggioranza dei giovani ha sui “comunisti” , frutto di un arretramento ideologico che rincorre e a volte supera quello dei rapporti di forza reali nella società.
Ogni compagno che milita quotidianamente nelle scuole e nelle università sa bene quali sono le difficoltà a sviluppare un intervento, quanto sia forte la corrente contro cui dobbiamo nuotare. Eppure, nonostante la difficoltà della situazione in cui si trova la nostra organizzazione, la crisi del capitalismo rende più sottile il muro da rompere perché numerosi studenti possano prendere in mano la propria vita, decidendo di costruire al nostro fianco lo strumento della propria emancipazione. Il problema che ci tocca primariamente allora è proprio capire quale sia lo strumento, che allo stesso tempo ci serve per rompere questo muro e da offrire a chi ci rivolgiamo. Con questo, e non con altro, devono confrontarsi le posizioni espresse in conferenza.
La prima arma di ogni organizzazione è il suo programma. Per anni i Gc non si sono dotati di un chiaro programma di classe in difesa del diritto allo studio, perdendosi dietro frasi che, facendo del concetto di “autoriforma” il punto centrale, erano pronte a far passare tutto e il contrario di tutto, a patto che fosse sufficientemente “suggestivo”. In questo modo si facevano passare dietro alle espressioni più altisonanti le linee più moderate. In tutti questi anni abbiamo condotto una battaglia intransigente perché i Gc si dotassero di una piattaforma rivendicativa all'altezza della battaglia che devono combattere: l'abolizione di tutte le controriforme dell'istruzione dall'Autonomia Scolastica e universitaria in poi, l'accesso gratuito ad ogni livello di istruzione, l'abolizione dei numeri chiusi, l'immediato raddoppio dei finanziamenti all'istruzione pubblica, i libri in comodato d'uso, la democrazia nelle scuole e nelle università sono alcune delle parole d'ordine che abbiamo sempre spiegato che l'intero partito doveva adottare. Nel leggere queste rivendicazioni presenti nel documento 1 non possiamo quindi che essere felici, fuori da ogni ironia.
Ecco, ci auguriamo giusto che quando si parla di “protagonismo studentesco” che va oltre agli “spazi democratici di assemblea e rappresentanza” e che mira alla “programmazione collettiva di ciò che si studia e di ciò che viene insegnato, rompendo lo schema gerarchico che impedisce agli studenti di partecipare, come soggetto collettivo, alla determinazione degli indirizzi didattici” non si stia poi cercando di lasciare socchiusa una finestrella sul retro per l'autoriforma cacciata dalla porta.
Senza soffermarci ulteriormente su quanto possano essere nocivi spifferi del genere, passiamo al problema vero: come possiamo portare avanti questo programma nella pratica, tanto più in un contesto difficile come quello attuale?
Qui confessiamo di avere qualche problema a comprendere la proposta del primo documento: dovremmo “incentivare il percorso politico dell’Onda, indirizzandola verso una ricomposizione delle subalternità”. Se ricomposizione delle subalternità significa genericamente combattere le disuguaglianze è dura non essere d'accordo, ma ci pare un concetto un po' vago. Cosa significa invece incentivare il percorso politico dell'Onda? Vuol dire che l'Onda è stata in tutto e per tutto ciò di cui c'era bisogno e che i Gc devono dare gambe a quell'esperienza prendendola così com'è? Ma questo non spiega perché l'Onda non ha vinto (e che non abbia vinto è un dato incontrovertibile) e ci metterebbe al servizio di una causa persa. Ancora, cosa vuol dire incentivare il percorso politico dell'Onda più di un anno dopo che l'Onda si è arenata? Esiste ancora un percorso politico dell'Onda? Se sì, cos'è? Crediamo che l'Onda sia stata qualcosa di troppo importante per essere semplicemente evocata come spirito protettivo: se vogliamo essere davvero utili a chi fece vivere quella lotta e alle lotte future dobbiamo comprendere lucidamente i punti di forza ma anche i limiti di quell'esperienza. Il primo fu, guarda caso, la mancanza di una piattaforma di lotta.
Ecco come un problema teorico cade nella prassi politica: potevano i Giovani comunisti far sì che l'Onda facesse proprio un programma di classe, efficace, radicale, chiaro? Dovevano porsi concretamente il problema di fare in modo che ciò avvenisse? E se sì, come potevano farlo? In queste domande risiede tutta la differenza fra un programma usato come semplice dichiarazioni di intenti e uno che sia un obiettivo e strumento reale di una lotta quotidiana. Non vediamo nel primo documento la risposta a queste domande.
Ci si dice che i Gc devono sforzarsi “nella pratica dell'internità ai collettivi studenteschi e ai movimenti dei lavoratori della formazione”. Certo, ci mancherebbe solo che i Gc non stiano nei processi di lotta! Ma come ci stanno? Per fare cosa? Con quali proposte? La proposta finale, risolutiva del primo documento è questa: “Il nostro scopo non deve essere quello di replicare in ogni realtà la stessa struttura, bensì quello di mettere in relazione tra loro – attraverso la definizione di una rete dei soggetti in formazione – tutte le realtà di movimento (collettivi, strutture territoriali dei sindacati studenteschi, circoli di partito) nelle quali le nostre compagne e i nostri compagni operano.”
Senza soffermarci troppo sul fatto che, se non vogliamo teorizzare la completa identificazione tra movimento e partito, un nostro circolo è ancora cosa diversa da una struttura di movimento, ci pare che come proposta la “rete dei soggetti in formazione” non sia la soluzione ai problemi del movimento studentesco italiano, né a quelli del radicamento studentesco del nostro partito. Lo dimostrano, ancor prima dei nostri argomenti politici, anni e anni di lotte studentesche in cui abbiamo visto riproporsi, una dopo l'altra, reti su reti: ogni volta si propone una rete che crolla non appena le lotte si esauriscono.
I Giovani Comunisti non possono essere coordinatori dietro le quinte, e magari in splendido anonimato, delle reti di movimento. Fosse solo un problema di coordinamento, non era forse l'assemblea della Sapienza del 15-16 novembre 2008 uno splendido esempio di messa in rete delle lotte e della maggioranza dei collettivi studenteschi attivi in quell'autunno? Eppure non ha fatto fare neanche mezzo passo avanti al movimento, anzi, l'ha sepolto sotto la pietra dell'autoriforma, dell'irrappresentabilità, dell'antidemocraticità. Nell'Onda i Gc c'erano, si sono messi al servizio del movimento, sono stati interni ai collettivi, hanno fatto rete. Tutto questo da solo non è servito, né a noi né al movimento. Ripetere gli stessi errori porterà agli stessi risultati.
La contrapposizione allora sta tutta qui: vogliamo dei Gc che forniscono un appoggio esclusivamente organizzativo e politicamente si accodano alle strutture di movimento, facendo evaporare la propria piattaforma, o piuttosto dei Gc che stanno nei collettivi e nelle lotte per far sì che le proprie posizioni permettano un avanzamento delle lotte stesse? Noi siamo convinti che la linea da seguire sia quest'ultima. Spiegare pazientemente, come diceva Lenin, deve essere la nostra parola d'ordine, spiegare le nostre posizioni con chiarezza e senza remore, senza aver paura di affrontare qualsiasi discussione, anche la più difficile. In questo senso ogni discussione sarà al tempo stesso un avanzamento del dibattito e, non dimentichiamolo, un'occasione di formazione politica per noi stessi:
Qual'è lo strumento che manca al movimento studentesco italiano per superare i suoi limiti cronici e al tempo stesso lo strumento migliore attraverso il quale i Giovani comunisti possono intervenire nelle lotte? Noi crediamo che questo strumento sia una struttura studentesca nazionale che porti avanti i punti della nostra piattaforma studentesca, che sia antifascista e democratica al proprio interno. Una tale struttura potrebbe dare un contributo fondamentale per coordinare le mobilitazioni a livello nazionale e al tempo stesso per portare avanti, all'interno delle mobilitazioni, le proposte più avanzate. Chi ricorda il (basso) livello di democrazia dell'Onda capisce subito che anche le proposte migliori hanno bisogno di una forza strutturata alle spalle.
Ma per fare questo, ci si potrebbe chiedere, non bastano i Giovani comunisti? Il fatto è semplice ed evidente a chiunque cerchi di costruire un radicamento nella propria scuola o università: ci sono larghi strati di studenti che hanno a cuore la difesa dei propri diritti e che sono disposti ad attivarsi per la lotta in difesa della scuola pubblica ma che ancora non ritengono utile né corretto entrare nei Gc. Per questo è necessario creare una struttura nazionale di lotta studentesca che risponda a questa loro esigenza: un'organizzazione nazionale in difesa della scuola pubblica, per l'appunto.
Il compito dei Giovani comunisti in una struttura del genere sarebbe quella di fare le proposte corrette, spiegare pazientemente come la lotta per il diritto allo studio si debba legare a una lotta per l'abbattimento del capitalismo e per la costruzione di un'alternativa socialista. In questo modo potremo, oltre a concorrere nella costruzione di uno strumento fondamentale per le lotte studentesche, guadagnare alle nostre posizioni e avvicinare alla nostra organizzazione tutti quegli studenti di cui saremo in grado di guadagnare la fiducia nella lotta quotidiana fianco a fianco.
I compagni che avanzano questa proposta da anni portano avanti l'esperienza del Csp (Comitato in difesa della scuola pubblica) e del Csu (Coordinamento studentesco universitario). Il Csp-Csu è l'inizio di una struttura studentesca nazionale, che raccoglie collettivi studenteschi e universitari sull'intero territorio nazionale, promossa da Giovani comunisti ma che raccoglie militanti di altre strutture e, soprattutto, studenti che non hanno altre forme di militanza politica.
La portiamo ad esempio, e non certo per una questione di feticismo, ma semplicemente come inizio di un lavoro che crediamo i Gc dovrebbero fare congiuntamente nelle scuole.
Basti pensare che il Csp nasce nel 1998 da una proposta di Bertinotti, che lo propose per ricostruire un radicamento nelle scuole dopo l'infausta esperienza del primo governo Prodi. Abbiamo da sempre il vizio di credere che alle parole debbano seguire i fatti e quindi ci mettemmo a totale disposizione di quell'esperienza, accorgendoci purtroppo molto presto che per chi l'aveva proposta erano, appunto, solo parole, e quindi ritrovandoci da soli a portare avanti questo lavoro.
Oggi come allora mettiamo a disposizione dell'organizzazione le nostre forze e l'esperienza maturata in questi anni. Non siamo formalisti: non vogliamo certo proporre che i Giovani comunisti debbano in ogni scuola o università abbandonare qualsiasi intervento portato avanti sinora per costruire da zero un Csp o un Csu. Crediamo anzi che laddove siamo presenti nei collettivi, o anche in strutture come l'Uds, se valutiamo che il lavoro può dare i suoi frutti (ma solo se può farlo!) dobbiamo rimanervi; ma, come dicevamo prima, solo a condizione di aprire e portare avanti con tutta la tenacia che abbiamo una battaglia perché tali strutture assumano un programma e dei metodi corretti. Se ci riusciamo, porre il problema della necessità di coordinarsi in una struttura studentesca nazionale sarà un passaggio naturale.
Ogni proposta e ogni linea politica ha il proprio esame nella realtà della lotta di classe e nei risultati che porta, siano essi positivi o negativi. Quello che chiediamo ai compagni in questa conferenza è di guardare lucidamente a quali risultati ha portato la linea tenuta sin qui, e alla luce di questo di considerare, in primo luogo leggendo i documenti, con serietà quali proposte possono risollevare la nostra organizzazione, non su un pezzo di carta ma nel concreto del lavoro quotidiano. Una volta scelta la linea, sarà compito di ogni compagno giudicare nel tempo con attenzione e severità i suoi risultati, il suo successo o il suo fallimento. Ma, se è vero che a molti errori c'è rimedio, è certo che il problema di quale sarà la linea ufficiale dei Giovani comunisti dal 22 febbraio non è indifferente.
* Coordinatore nazionale Csp-Csu
Leggi il documento 2 "Lottare, occupare, resistere"