Il 3-4 luglio scorsi, la riunione del Comitato politico nazionale (Cpn) del Prc ha aperto il percorso che condurrà al prossimo congresso nazionale del partito, previsto per la prossima primavera.
Il dibattito si è concluso con la presentazione al voto di ben sei documenti contrapposti, frutto, come vedremo, della scomposizione delle aggregazioni di maggioranza e minoranza che erano emerse allo scorso congresso (2002).
Al centro del dibattito c’è la questione del rapporto con il centrosinistra; Bertinotti ha impresso una forte accelerazione nella convinzione che la sconfitta elettorale di Berlusconi alle europee e la crisi interna al governo potrebbero portare ad elezioni anticipate la prossima primavera. La paura di “perdere il treno” emerge chiaramente nella successiva slavina di dichiarazioni d’amore e di buona volontà che Bertinotti ha rivolto nel mese di agosto ai vertici dell’Ulivo: prima con la proposta di “primarie sul programma”, ossia di una assemblea delle opposizioni che dovrebbe decidere il programma della coalizione, alla quale il Prc anticipatamente dichiara di sottomettersi, anche accettando l’idea della “guerra umanitaria” condotta dall’Onu; successivamente con la proposta di formare una “coalizione democratica” (o “riformatrice”) che comprenda l’Ulivo e le forze che ne sono al di fuori, a partire dal Prc stesso.
Il Prc è parte organica e integrante del centrosinistra: questa è la sostanza delle dichiarazioni estive di Bertinotti, e così sono state giustamente interpretate dai vertici dell’Ulivo, ai quali le divagazioni più o meno fantasiose del segretario non fanno particolare impressione: capiscono perfettamente che le dichiarazioni colorite di Bertinotti, del genere “il centrosinistra non esiste più”, sono necessarie per indorare una pillola che per molti militanti e simpatizzanti del partito rimane molto amara.
Bertinotti agita la prospettiva che la pressione dei movimenti possa costringere l’Ulivo ad aderire alle tesi del Prc su alcuni punti fondamentali come il rifiuto della guerra, grazie alle divisioni sempre più evidenti nel campo dell’Ulivo. Come spesso accade, l’argomentazione di Bertinotti ha un nucleo di fondamento, sul quale però viene costruito un castello di carte.
È vero che l’Ulivo è diviso, così come sono divisi i Ds al loro interno. Queste divisioni riflettono in modo parziale, distorto e sfumato la contraddizione che esiste fra le aspettative di milioni di lavoratori che hanno votato a sinistra, che non ne possono più di subire la politica di questo governo e che chiedono non solo un cambio di governo, ma un reale miglioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro, e la politica dei vertici dei Ds, che rimane sostanzialmente accodata ai dettami della borghesia, all’alleanza coi partiti del centro, alla subordinazione degli interessi dei lavoratori a quelli del capitale. Le divisioni interne ai Ds, l’agitarsi (per la verità molto timido) dei vari Mussi, Folena, Salvi e compagnia, riflettono appunto questa contraddizione. Le mobilitazioni di massa di questi anni hanno reso sempre più evidente come fra la linea dei vertici dei Ds e le aspettative delle masse si possa aprire un vero e proprio abisso.
Il problema è che la linea di Bertinotti anziché puntare ad approfondire queste divisioni, nei fatti contribuisce a ridurle, a tenerle entro limiti non pericolosi. Il Prc, innanzitutto, non mette in discussione la candidatura di Prodi a primo ministro. Dunque, è evidente che si ritiene che attraverso le famose “primarie”, il Prodi alfiere della flessibilità, delle privatizzazioni, il guardiano del patto di Maastricht, e via di seguito, possa essere convinto (o costretto) a convertirsi alla difesa dello stato sociale, della scuola pubblica, dei diritti dei lavoratori.
Ma il problema non è certo solo Prodi: tutto il settore centrista dell’Ulivo, la Margherita, la destra diessina, sono legati alla difesa degli interessi borghesi. Quando Bertinotti dice che non è un problema di nomi, non è il problema di Prodi, dice una falsità: i “nomi”, ossia i partiti e i loro dirigenti, rappresentano programmi e interessi sociali ben determinati. I “nomi” di Prodi, Rutelli, Amato e anche di un settore della destra Ds rappresentano interessi diametralmente opposti e inconciliabili con i nostri.
Tutta la sinistra, da D’Alema fino al Pdci di Cossutta, senza eccezione alcuna, crede fermamente nel seguente dogma: per vincere le elezioni bisogna allearsi con il “centro”. Anche se l’evidenza dimostra il contrario, ossia che grazie alle mobilitazioni di massa di questi anni la sinistra cresce e il centro cala, si aggrappano tenacemente a questa idea, che è l’argomento chiave per giustificare i loro programmi moderati: “Non possiamo spaventare o perdere i nostri alleati di centro!”. Bertinotti rinuncia a dare battaglia su questo punto cruciale, accetta in partenza un’alleanza con la borghesia “progressista”, contribuisce ad abbellirla (la “coalizione democratica”!) e a renderla accettabile a tante migliaia di attivisti che sono giustamente sospettosi e scettici, particolarmente dopo le esperienze disastrose con i governi dell’Ulivo negli anni ’90 e dopo aver visto in questi tre anni i vertici dell’Ulivo sempre lontani, timorosi e titubanti se non addirittura apertamente ostili verso le mobilitazioni di massa, dalle manifestazioni contro la guerra agli scioperi dei tranvieri o degli operai Fiat a Melfi, fino alle mobilitazioni per l’ambiente a Scanzano o ad Acerra.
Quando Bertinotti dice che il Prc può lottare per conquistare un sostegno maggioritario, ben oltre le percentuali elettorali ancora ridotte che raccogliamo, dice una sacrosanta verità. Questo dovrebbe essere il punto di partenza del dibattito congressuale: si stanno creando le condizioni perché l’egemonia delle idee riformiste nella sinistra venga scossa, per conquistare la maggioranza dei lavoratori organizzati, dei giovani, degli attivisti, all’idea della trasformazione socialista della società. Ma la politica che propone Bertinotti conduce al risultato opposto: a rafforzare e a puntellare la posizione dell’Ulivo, proprio quando questa mostra crepe sempre più vistose.
La divisione nella maggioranza
Il dibattito nel Cpn ha visto la frantumazione in tre tronconi della maggioranza che dopo il 2002 aveva retto il partito. Si staccano da Bertinotti l’area “emendataria” che si riconosce nella rivista L’Ernesto (Grassi, Sorini) e l’area “erre” (ex Bandiera Rossa): Maitan, Malabarba, D’Angeli, Cannavò. I compagni dell’Ernesto rivendicano di essere stati i primi a chiedere che il partito riaprisse il dialogo con l’Ulivo. Si riconoscerebbero pienamente nella attuale linea di Bertinotti, se non fosse per un dettaglio: il segretario intende gestire direttamente, senza alcun tipo di compromesso e contrappeso, la “nuova” fase; Bertinotti ha reso chiaro che la sua linea non è né emendabile, né condizionabile, e che intende vincere da solo il prossimo congresso. Non si tratta solo di parole, se si considera che pochi giorni dopo la riunione del Cpn, l’intera federazione regionale del Prc calabrese, che esprimeva un segretario dell’area “emendataria”, è stata commissariata da Bertinotti. I compagni dell’Ernesto, che allo scorso congresso avevano deciso di non produrre una propria piattaforma congressuale limitandosi ad emendare quella di Bertinotti, si trovano ora nel paradosso di dover condurre una aperta opposizione a una linea che nella sostanza condividono, spinti su questa strada dall’intransigenza di Bertinotti nei loro confronti.
Meno paradossale ma più patetica la situazione dei compagni di “erre”, i quali nel 2002 erano stati i più convinti assertori della “svolta a sinistra” del Prc, gli interpreti più entusiasti della linea movimentista di Bertinotti. I loro interventi, punteggiati di “…allo scorso congresso tutti insieme avevamo detto…”, sono spesso malinconici “come lettere di fidanzati lette durante una causa di divorzio”.
Crisi della “mozione due”
La sinistra del Prc, che negli ultimi congressi veniva indicata come la “seconda mozione”, esce con le ossa rotte da questa discussione. L’associazione di Ferrando, Progetto comunista, ormai da due anni vede una serie di divisioni, separazioni ed espulsioni che la hanno portata a rappresentare ormai una minoranza della sinistra nella Direzione nazionale del Prc (due componenti su 5) e una risicata maggioranza nel Cpn (9 su 17). La linea proposta da Ferrando negli scorsi anni era: aspettiamo che si avvicini il 2006, Bertinotti si getterà nuovamente nelle braccia dell’Ulivo, e allora il vento soffierà ancora dalla nostra parte. Avviene invece l’esatto contrario: la sinistra non solo non avanza (e le defezioni a livello nazionale non fanno che riflettere lo stato miserando in cui versa l’associazione di Ferrando, così come l’omonima “Progetto comunista - area programmatica” in numerose federazioni), ma perde pezzi a favore di altre aree e non convince più neppure la propria base, fino al punto che nelle uniche due federazioni che a livello nazionale esprimevano dei segretari provenienti dalla mozione due (Vibo Valentia e Parma), i gruppi dirigenti locali hanno rotto con le indicazioni dei loro dirigenti nazionali accettando gli accordi elettorali con l’Ulivo, il tutto condito da accuse e recriminazioni reciproche.
Al di là i questi episodi, emerge con grande chiarezza l’incapacità di Ferrando di indicare una alternativa convincente alla deriva bertinottiana. Ripetere come un disco rotto “no agli accordi col centrosinstra” non è sufficiente, non serve a formare quei quadri capaci di radicare nel partito e nelle lotte una sinistra in grado di crescere e di candidarsi seriamente ad essere un’alternativa alle posizioni di Bertinotti.
Da queste considerazioni sui limiti ormai invalicabili della attuale sinistra del partito nasce la nostra decisione di presentare a nostra volta un documento al voto del Cpn e all’attenzione di tutti i compagni. Riteniamo infatti che tutte le voci critiche nei confronti della posizione di Bertinotti (in sintesi: Ferrando, Grassi, area “erre”) non siano state in grado di esprimere una compiuta alternativa su tutti i terreni del dibattito. Certo, sarebbe auspicabile che nel congresso si potesse esprimere anche in forma unitaria questa articolata critica nei confronti della posizione di Bertinotti; questo auspicio vale in particolare per tutte quelle aree che prendono nettamente posizione contro l’abbraccio mortale al centrosinistra e contro la collaborazione di classe. Sarà il dibattito a dire se questa possibilità esiste effettivamente, e certo non ci sottrarremo da questo terreno. Ma ci pare nel frattempo necessario sottolineare alcuni dei punti qualificanti che, quali che siano i percorsi del congresso, ci adopereremo per portare nel dibattito.
1) La lotta perché il Prc sia un partito saldamente fondato sul marxismo nei suoi migliori sviluppi, sull’eredità della rivoluzione d’Ottobre, sulla tradizione dei primi anni dell’Internazionale comunista e della lotta contro lo stalinismo; contro tutte le revisioni ideologiche che in questi anni hanno letteralmente allagato il Prc di idee radicaleggianti e completamente estranee a qualsiasi concezione di classe, sia sul terreno teorico che su quello politico e organizzativo (si veda il dibattito sulla nonviolenza, sulla “disobbedienza”, sulla fine del partito d’avanguardia, sul rifiuto della presa del potere, e via elencando).
2) La lotta contro la collaborazione di classe, contro le concezioni riformiste di stampo neokeynesiano che sono alla base dell’attuale corsa all’abbraccio col centrosinistra (condivise anche dai compagni dell’Ernesto).
3) Un serio e sistematico lavoro di egemonia e radicamento nei movimenti di massa e nelle organizzazioni di massa della classe lavoratrice, contro il partito elettoralista e d’opinione che sempre più sta diventando il Prc, e abbandonando tutte le diplomazie equivoche nei confronti del gruppo dirigente della Cgil e del ceto politico che si autodefinisce “il movimento”.
4) Una corretta applicazione della tattica del fronte unico, che nelle condizioni attuali significa lavorare ad approfondire le divisioni già esistenti nel centrosinistra, puntando ad inserire un cuneo fra le forze di sinistra riformiste e il centro borghese; contro l’illusione settaria che basti proclamare il “polo autonomo di classe” (Ferrando) e invitare le masse a prendervi parte per conquistare una posizione egemone nel movimento operaio organizzato che, non dimentichiamolo, è tutt’ora in maggioranza organizzato sotto la direzione dei riformisti (Cgil, Ds).
Una prima valutazione su tutti questi punti è contenuta nel documento da noi presentato nel Cpn, che riportiamo integralmente in queste pagine.