Duemila bombardamenti aerei negli ultimi sei mesi, almeno quattro mila vittime civili nel solo 2006, la completa disorganizzazione dell’economia, un governo fantoccio di Washington corrotto fino alle midolla, la più alta mortalità infantile al mondo (165 bambini su 1.000 nati). Questo è il quadro dell’Afghanistan “democratico” dopo cinque anni di cosiddetta “guerra al terrore” condotta dall’imperialismo. Senza contare che aree crescenti del paese sono controllate dai talebani, spesso in alleanza con signori della guerra locali.
Un recente rapporto congiunto del Pentagono e del Dipartimento di Stato constatava che i soldi usati per addestrare la polizia afgana (1,1 miliardi di dollari) non hanno sortito alcun risultato significativo. Sotto accusa è finita anche la DynCorp International, multinazionale della sicurezza basata in Virginia che si è intascata un bel gruzzolo di soldi stanziati dal governo USA e non riesce a produrre un resoconto di ciò che ha fatto in Afghanistan. Il 2006 è stato l’anno più sanguinoso in Afghanistan sin dall’invasione del 2001, l’aumento degli attacchi alle truppe di occupazione ha finora lasciato sul campo anche 200 soldati Nato/Isaf.
Il “pantano afgano” non ha impedito a Blair, in visita a Kabul, di fingersi ottimista ed indicare ai soldati britannici che in quelle zone desertiche “è in gioco il futuro dell’umanità”. Coprire obiettivi imperialisti con fraseologia democratica non è una novità né un’esclusiva dei politici britannici. Tuttavia Blair, lasciando trasparire una parte del suo vero pensiero, ha aggiunto che per “ricostruire l’Afghanistan” potrebbero essere necessari alcuni decenni… Chissà, sarà di questo tipo l’exit strategy che proporrà il governo italiano al prossimo rifinanziamento della missione?
Gli USA in difficoltà
Le crescenti difficoltà in Iraq stanno avendo un impatto anche sulla situazione afgana. Il Pentagono aveva chiaramente sottovalutato l’ampiezza della resistenza afgana. Ora gli Usa, a corto di nuove reclute, hanno chiesto alla Nato un maggior impegno in Afghanistan, almeno 5-10.000 uomini in più. Il punto è stato al centro dell’ordine del giorno della riunione di fine novembre della Nato a Riga. Tuttavia, tranne un impegno della Polonia, gli altri Stati maggiormente impegnati in quella guerra (Gran Bretagna, Germania, Canada, Italia e Olanda) hanno nicchiato, temendo di infilarsi ancor più profondamente in una guerra persa e sempre meno popolare. In Canada, ad esempio, il segretario generale della Confederazione sindacale si è pronunciato pubblicamente per il ritiro delle truppe, chiedendo per che cosa stessero morendo tanti giovani soldati canadesi.
Il conflitto, inoltre, si sta allargando al Pakistan, destabilizzando ulteriormente la regione. Il controllo talebano sulle regioni meridionali del paese sta cementando un’alleanza coi signori tribali del nord del Pakistan, particolarmente nella vasta regione del Waziristan (con una superficie pari ad un decimo dell’Italia). Musharraf, presidente filo-Usa del Pakistan, aveva bombardato a tappeto il Waziristan nell’estate 2006. Al tempo stesso Musharraf, avendo sottovalutato la ribellione in quella regione, è stato costretto a firmare un accordo di pace favorevole ai capi tribali ed ai partiti fondamentalisti. In questo momento, quindi, il Waziristan pare essere sfruttato dai talebani come retrovia da cui organizzare attacchi alla Nato nel sud dell’Afghanistan. Questa situazione sta provocando scontri diplomatici tra il presidente afgano Karzai e Musharraf, accusato dal primo di voler “schiavizzare” l’Afghanistan. Ma le tensioni si potrebbero presto acutizzare anche tra il Pakistan e l’imperialismo Usa. Un diplomatico europeo, alla condizione di rimanere anonimo, ha infatti detto alla Cbs News che “molte persone si chiedono se Musharraf può effettivamente essere ciò che dichiara di essere, ovvero un bastione contro gli estremisti islamici”.
D’Alema contro il ritiro
Di ritorno dal vertice Nato di Riga, il ministro degli Esteri D’Alema, riferendo alle commissioni esteri e difesa di Camera e Senato, ha affondato qualsiasi idea di una graduale exit strategy. Secondo D’Alema l’occupazione dell’Afghanistan è una missione legittima dell’Onu che avrebbe affidato alla Nato la gestione della sicurezza. È una dichiarazione che prolunga indefinitamente la missione italiana in Afghanistan. Addirittura, è previsto che l’Italia assumerà il comando della missione Isaf a fine 2007. È il frutto del “multilateralismo” dell’Unione. Inoltre, lo spostamento di truppe italiane nel sud e nell’est del paese potrà essere effettuato se ci sarà pericolo per altri soldati Nato. Il comando sulle truppe sarà affidato alla Nato e non si prevede alcun coinvolgimento del parlamento. Elettra Deiana ha commentato: “mi aspettavo di più da D’Alema” (Il Manifesto, 13-12-2006). La diplomazia internazionale dei paesi capitalisti ha dimostrato ancora una volta di essere un parlatoio dove non sono gli interessi delle popolazioni a determinare le decisioni. Chi negli ultimi anni ha lottato contro la guerra non può aspettarsi nulla dalla diplomazia. L’unica strada è tornare alla mobilitazione.
18/12/2006