Lo scorso 20 aprile, nel Golfo del Messico a 70 km dalle coste Usauna bolla di metano ha fatto esplodere la piattaforma Deepwater Horizon che lavorava per la British Petroleum (Bp). Undici lavoratori sono morti. I tubi si sono rotti in tre parti, la Bp ha chiuso una falla ma dalle altre due esce petrolio da più di un mese. Secondo la Bp non più di 5mila barili al giorno, secondo altre fonti da 10 a 20 volte questa quantità.
La Bp ha provato a calare più volte una grossa campana di cemento e acciaio per chiudere la falla, ma tutti i tentativi sono falliti. Da una settimana ha installato una sorte di “siringa” che recupera tra il 10 e il 15% della fuoriuscita, ma a oltre un mese dall’incidente riconosce di non poter prevedere quando riuscirà a bloccare la fuoriuscita di petrolio.
Solo in una piccola percentuale il crudo è arrivato alla costa. Essendo un crudo relativamente poco denso tende a mischiarsi con l’acqua. Inoltre la Bp ha usato 2,5 milioni di litri di un solvente, il Corexit, proprio per accelerare questo processo. In superficie le macchie di petrolio sono grandi due volte il Porto Rico, ma la maggior parte del crudo resta nei fondali. Il risultato è la riduzione dell’ossigeno in profondità e l’allargamento di zone morte, con una ridotta attività biologica. Risulta evidente che in queste condizioni le barriere galleggianti servono a poco.
Inoltre la perdita è accaduta non lontano dalla cosiddetta “Loop current”, una corrente oceanica che fa il percorso circolare – sempre in senso orario – tra la penisola dello Yucatan in Messico e le coste della Florida e di Cuba. Fa parte della cosiddetta Corrente del Golfo che, come noto, con uno dei suoi rami va a finire sulle coste della Gran Bretagna e della Norvegia contribuendo a mitigare notevolmente gli inverni europei. Nel Golfo l’insieme delle correnti hanno caratteristiche molto turbolente… l’ideale per mischiare il crudo e rendere più difficile quantificare i danni ambientali. Saranno le barriere coralline della Florida, le terze più importanti del mondo, a darci un’idea approssimativa tra qualche settimana di quanto petrolio è stato versato.
Dal 20 aprile si fanno dei paragoni tra questo incidente e il disastro provocato in Alaska dalla Exxon Valdez nel 1989, dove morirono 33mila uccelli. Ma per ora il crudo resta al largo e la Bp fa il possibile per farlo restare.
Di fronte a un incidente del genere colpisce il divario tra l’immensità dei danni possibili e la leggerezza con la quale si è operato. Ormai si sa che la Bp non ha rispettato neanche la già lassista legislazione esistente. Obama ora ha promesso di porre fine alle strette relazioni tra controllori e controllati, ma intanto si appura che (come a Wall Street) il passaggio tra incarichi governativi e industriali era normale. Un esempio? Sylvia Baca, vice-sottosegretario agli Interni che, tra le altre cose, regola le trivellazioni offshore, in passato per otto anni ha lavorato per la Bp.
Una volta che l’incidente c’è stato, e di fronte alle sicure cause per danni, si stanno conoscendo particolari scandalosi sull’operato.
“Più cose apprendiamo di questo incidente e più sono preoccupato”, ha riassunto Henry Waxman, il presidente della commissione Energia del Congresso. Come non dargli ragione quando riconosce che la mattina del 20 aprile, due ore prima che l’impianto crollasse in mare, anche se la valvola di sicurezza non aveva passato il test di controllo le tre compagnie coinvolte decisero di andare avanti, lo stesso con le trivellazioni? Pare che il cemento usato dalla società costruttrice Halliburton sarebbe stato di scarsa qualità. Almeno questo dichiara il numero uno della Transocean Steven Newman, la società proprietaria della piattaforma e responsabile della valvola di sicurezza (Bop) non entrata in funzione. A questo punto l’amministratore delegato della Bp, Tony Hayward, ha dovuto ammettere che ci sono stati errori!
Forse la fuoriuscita di crudo sarà bloccata tra un mese o due, forse il petrolio sciolto nell’oceano sarà poco visibile, ma quello che possiamo e dobbiamo imparare da questa vicenda è molto chiaro. Mai come oggi l’umanità ha avuto a disposizione le risorse e le tecnologie per trasformare il mondo in meglio. Ma le stesse tecnologie lo possono far diventare un inferno. Finché a decidere come e dove usarle è solo l’interesse del massimo guadagno del capitale, vicende come queste saranno all’ordine del giorno. La maggioranza della popolazione che subisce tutto ciò, chi vive del proprio lavoro deve contrapporre un’altro modo di produrre e di consumare. Non è possibile un capitalismo “sostenibile” per l’ambiente e per l’umanità.