Parte seconda
Oggi sappiamo che i cambiamenti climatici non saranno distribuiti equamente. Un aumento medio di due gradi della temperatura globale comporterà aumenti di molto superiori ai poli. Il clima globale è il risultato della distribuzione su tutta la terra del calore irradiato dal sole. Il calore va dall’equatore ai poli e non si distribusce in modo uniforme. Se la temperatura media dell’equatore aumentasse di un grado ciò comporterebbe un aumento medio delle temperature ai poli di 6,5º! Ciò provoca che una parte sempre più grande dell’Oceano Artico durante l’estate si sciolga.
Poco male rispondono alcuni. Questo permetterà di ridurre in modo significativo i costi del trasporto marittimo, permettendo l’apertura di nuove rotte senza l’utilizzo dei rompighiacci… Si potrà andare per più mesi all’anno dall’Europa al Giappone e alla Cina con minori costi. Ma c’è un piccolo problema: la superficie ghiacciata riflette più del 90% della radiazione solare, mentre la superficie del mare assorbe più del 90% della stessa. Estati artiche con una superficie ghiacciata sempre minore comporteranno necessariamente un minore aumento della superficie ghiacciata nell’inverno. L’aumento delle temperature ai poli sarà sempre maggiore con conseguenze su tutto il clima terrestre e sicuramente sul livello dei mari... Già oggi nella zona artica le temperature alla superficie dello strato di permafrost sono generalmente aumentate a partire dagli anni ‘80 (fino a 3°C). Dal 1900, l’area massima coperta in inverno dal terreno ghiacciato, è diminuita di circa il 7% nell’emisfero Nord, con una diminuzione nel periodo primaverile pari al 15%. Lo spessore dello strato di ghiaccio sull’Oceano artico è calato in media del 40%. Questi processi, una volta rotto l’equilibrio, si sviluppano in modo caotico con conseguenze impossibili da prevedere sul medio e lungo termine. L’ultima volta che le regioni polari furono significativamente più calde rispetto ad oggi per un lungo periodo (circa 125.000 anni fa), la riduzione di volume di ghiaccio polare portò a un innalzamento del livello marino di 4-6 metri.
La circolazione generale delle correnti nell’Oceano Atlantico (che porta acque calde del tropico verso nord e acque fredde dell’artico verso sud, con influenze enormi sul clima in Europa e la costa est degli Usa) rallenterà sicuramente durante il XXI secolo. La media del rallentamento calcolata con diversi modelli è almeno del 25%. Ma tanti sono i fattori coinvolti che i possibili cambiamenti oltre 10-15 anni non possono essere quantificati con sicurezza.
Misure per contrastare il riscaldamento globale
Per stabilizzare e poi ridurre la concentrazione dei gas a effetto serra è necessario ridurre significativamente l’attuale livello delle emissioni, sapendo comunque che la tendenza della temperatura globale ad aumentare si manterrà per un secolo o più. Ormai è necessario sviluppare una doppia strategia: per ridurre drasticamente la produzione di gas a effetto serra e per adattarsi al riscaldamento già in atto e che continuerà per almeno tre o quattro generazioni.
Le forze inerziali del sistema climatico impongono lunghe transizioni prima che le minori emissioni di gas serra si trasformino in riduzioni effettive dell’innalzamento della temperatura terrestre. Pertanto i costi di mitigazione sostenuti oggi daranno i loro frutti tangibili solo dopo due o tre generazioni.
Al Gore, il vicepresidente degli Usa con Clinton, ha ricevuto da poco un premio Oscar per il suo film Una scomoda verità, dove dimostra in modo indiscutibile il rapporto tra gas serra e riscaldamento globale. Egli denuncia il problema con argomenti validi per più di un’ora, ma nei cinque minuti nei quali parla delle soluzioni presenta generiche misure di risparmio e di uso di nuove fonti energetiche, indicando che le tecnologie ci sarebbero, ma che manca la volontà politica...
Ma le dimensioni del problema vanno molto più in là della riduzione dell’inquinamento delle auto o della sostituzione delle lampadine convenzionali. Sempre Al Gore ci informa che quasi il 30% del CO2 che finisce ogni anno nell’atmosfera deriva dai roghi delle foreste. In una mappa notturna del globo spiccano zone incendiate più grandi di tutta l’Europa nell’Africa equatoriale. Ridurle sarebbe vitale, ma ciò implica un processo rivoluzionario, che travolga le classi dirigenti dei paesi ex-coloniali, legate oggi più di prima al capitalismo dei paesi industrializzati e che mantengono la maggior parte delle loro popolazioni nella miseria economica e culturale.
Gli Usa e l’Europa, la cui ricchezza poggia sullo sfruttamento di miliardi di persone nei paesi del terzo mondo, si stanno già accorgendo dell’esistenza del problema attraverso l’arrivo crescente di immigrati, malgrado gli enormi rischi dell’emigrazione clandestina. L’aumento delle persone disposte ad emigrare al nord nell’Africa subsahariana e nell’America latina ha diverse cause (economiche, sanitarie, culturali, conflitti armati), ma una tra le più importanti è l’aumento della siccità che colpisce ormai l’Africa da più di 15 anni. Ebbene, le soluzioni per questo problema, come per il riscaldamento globale sono le stesse: un cambiamento rivoluzionario del sistema di produzione e distribuzione dei beni a livello mondiale. Un cambiamento che non è compatibile con il sistema capitalista. Un cambiamento che per avere successo richiede la collaborazione fraterna di tutta l’umanità. Oggi, sulla base di una distribuzione della ricchezza che vede 50 miliardari disporre di più ricchezze della metà della popolazione mondiale, ciò è semplicemente impossibile.
Il socialismo, l’unica soluzione
Nella misura in cui il riscaldamento è globale occorre uno sforzo mondiale di tutti i paesi. Inoltre, l’enorme divario tra la ricchezza accumulata dai paesi più ricchi e il resto rende necessario un forte sviluppo economico in gran parte del mondo, ma per non portare alla catastrofe climatica ciò si dovrebbe realizzare usando le tecnologie più pulite e dunque più costose. Sulla base delle leggi del mercato capitalista ciò è semplicemente impossibile.
La conseguenza è che tra pochi anni gli Usa – che oggi inquinano per il 25% del totale mondiale con il 5% della popolazione del globo – saranno superati dall’inquinamento provocato dalla Cina, dove risiede il 20% della popolazione mondiale e che vede una crescita economica del 9% annuo da due decenni. Serve invece uno sforzo di cooperazione internazionale superiore a qualsiasi cosa vista finora. Occorre valutare e modificare le interazioni di un numero gigantesco di fattori: quanti bisogni sono vitali, quali beni occorrono per soddisfarli e con quali tecnologie produrli.
Qual è l’impatto ambientale delle tecnologie utilizzate e in che modo vengono poi distribuiti questi beni alla popolazione? L’esempio dell’uso dell’acqua minerale in Italia, dove migliaia di camion ogni giorno fanno decine di migliaia di chilometri per spostare da una parte all’altra del paese milioni di bottiglie, mentre gli acquedotti comunali marciscono per mancanza di investimenti è un buon esempio di come l’attività umana possa far crescere il Prodotto interno lordo, mentre porta alla catastrofe l’ambiente e la vita sulla Terra.
Proiettando le attuali cifre di crescita, almeno 500 milioni di cinesi e 300 milioni di indiani, potrebbero avere un livello di consumo simile a quello europeo entro 5-10 anni. Ma ciò comporta altre due Europa in un mondo i cui equilibri ecologici sono già ora compromessi. Non ci potremmo stupire se i gas a effetto serra raddoppiassero i livelli attuali in 20-30 anni! Il problema del riscaldamento globale esige la modifica profonda della consuetudine attuale nella produzione e uso dell’energia e nell’uso dei suoli.
La cultura di conoscenza e responsabilità ecologica necessaria per farlo è incompatibile con l’anima del sistema capitalista oggi dominante a livello mondiale. A breve vedremo la miscela esplosiva delle conseguenze del riscaldamento globale: intensificazione dei fenomeni meteorologici estremi, cambi estremi nei regimi delle precipitazioni e dei periodi di siccità, riduzione della disponibilità di acqua e suoli produttivi, incremento delle malattie contagiose, elevamento del livello del mare, aumento della vulnerabilità degli insediamenti umani e degli ecosistemi di fronte all’incremento del numero e dell’intensità delle catastrofi naturali. E come ha dimostrato l’uragano Katrina a New Orleans, ciò che aumenta esponenzialmente le conseguenze della catastrofe non è la fatalità, ma la divisione della società in ricchi (che possono fuggire pagarsi costosi alberghi finchè le loro case vengono sistemate) e poveri che vengono abbandonati alla loro sorte…
Il riscaldamento globale e le sue conseguenze sulla vita della popolazione mondiale hanno delle implicazioni economiche, sociali e politiche di prim’ordine. È necessario che tutti gli attivisti operai, gli elementi più coscienti dei partiti e sindacati dei lavoratori recuperino il ritardo di analisi su questi temi e diano una impronta di classe alle soluzioni per contrastare e/o adeguarsi ai cambiamenti climatici presenti e futuri.
(2 – fine. La prima parte, pubblicata sullo scorso umero, è reperibile su www.marxismo.net)
04/07/2007