La notte del 10 maggio otto raid notturni dell’aviazione Nato hanno tentato di risolvere il “problema” libico con un “colpo fortunato”, bombardando un bunker di Gheddafi a Tripoli. Dieci giorni prima in un analogo raid era rimasto ucciso uno dei figli del Colonnello.
Lasciamo agli appassionati di “diritto internazionale” la spiegazione di come da una risoluzione Onu 1973 che imponeva una “No Fly Zone” per la “protezione dei civili” si sia in poche settimane arrivate ad emettere una sentenza di morte non scritta, ma esecutiva per Gheddafi. Se il diritto è cosa spesso inafferrabile, è invece certo che l’avventura libica della Nato si sta chiaramente complicando.
Sul campo nessuno riesce a prevalere e il paese appare sempre più diviso in due. Gli Usa hanno ridotto sensibilmente il loro impegno, mentre i “volonterosi” bombardieri si sprecano in parole grosse che non nascondono l’incertezza. Rasmussen, segretario generale Nato, dichiara che per Gheddafi “la partita è finita, non c’è futuro per lui o per il suo regime”. Il ministro degli esteri francese Juppé prevede che il conflitto non durerà “oltre un paio di settimane, al massimo pochi mesi”, mentre Frattini addirittura parla di “settimane, forse giorni”…
Sul campo, prosegue l’assedio di Misurata che riesce a rifornirsi dal mare, ma non sembra plausibile una avanzata dei ribelli che possa rompere lo stallo. Periodicamente si susseguono notizie non confermate di ribellioni e scontri a Tripoli o nelle vicinanze, ma è assai difficile discernere la realtà dalla propaganda.
In assenza di sbocchi chiari la discussione si concentra sul “nerbo della guerra”, ossia sui flussi finanziari destinati ad alimentarla. Anche qui però le cose non sembrano andare per il meglio, la Bbc ci informa che Gheddafi ha ancora larghe disponibilità di fondi e le raffinerie che controlla dovrebbero essere sufficienti ad alimentare le operazioni militari. Dal canto suo il Consiglio provvisorio di Bengasi continua a tentare di aprirsi sbocchi sui mercati internazionali per vendere petrolio, incassando per ora 120 milioni di dollari dal Qatar. Il ministro dell’economia dei ribelli ha chiesto l’apertura di linee di credito per “due o tre miliardi di euro” dando in garanzia i beni libici congelati. Spiega rainews24 (5 maggio) che “formalmente i soldi serviranno ai ribelli per assistenza medica, cibo, funzioni minime come l’elettricità e gli ospedali, ma, è inutile dirlo, nella partita rientra anche il petrolio che i ribelli riescono a immettere sul mercato e i cui proventi potrebbero offrire, soprattutto tramite Qatar e – indirettamente – Francia, armi a Misurata e dintorni”.
Si starebbe quindi lavorando alla creazione di un fondo fiduciario internazionale “trasparente e garantito sotto la supervisione internazionale”, ossia “sotto vigilanza e controllo americani”.
Del resto ha spiegato bene Frattini come nella vicenda libica dovere e piacere si diano la mano, quando ha parlato di “scelta obbligata che corrisonde non solo a doveri storici e morali, ma anche a nostri specifici interessi… nella consolidazione (sic) della presenza delle imprese italiane che non possiamo far assorbire da altri Paesi”.
Appare assai poco credibile l’idea di un crollo del regime su se stesso, come effetto dei bombardamenti e del blocco economico. La Nato è divisa, l’Europa è divisa, la Russia e altri paesi sono sempre più ostili, gli Usa si sono alquanto raffreddati. Da qui l’idiozia della guerra “a termine”, che il governo italiano ha messo nero su bianco nella risoluzione proposta dalla Lega e votata dal parlamento, salvo poi ovviamente rimangiarsela il giorno successivo, quando Frattini ha ribadito come i tempi della guerra dipendano appunto dallo sviluppo del conflitto, anzi dal “naturale sviluppo”, per dirla con Napolitano, e non dagli equilibri parlamentari.
Peraltro, anche una esecuzione mirata che colpisse Gheddafi non sarebbe affatto la fine del conflitto: sicuramente sarebbe la fine del suo regime, ma nessuno, dopo dieci anni di conflitto in Afghanistan e venti in Iraq, può seriamente pensare che lo spettacolo di un paese decapitato, bombardato, smembrato e probabilmente occupato, passerebbe senza sollevare la furia e la resistenza di larghe masse di popolazione in tutto il mondo arabo, a prescindere dall’opinione che abbiano del regime del Colonnello.