Per capire sotto quale segno è nata l’indipendenza della regione a maggioranza albanese, bastava dare un’occhiata alle bandiere esposte a Pristina o a Pec il giorno della secessione dalla Serbia: albanesi e degli Stati uniti. È stata l’Onu a scegliere la nuova bandiera kosovara, attraverso un bando internazionale. Il governo di Pristina non batte moneta: la divisa ufficiale è l’Euro.
Il governo di Hashim Thaci e degli altri ex comandanti dell’Uck (Esercito di liberazione del Kosovo, la guerriglia finanziata dalla Cia che poi si è trasformata nella polizia dell’enclave balcanica) hanno sfruttato il desiderio di libertà degli albanesi del Kosovo, ma la realtà davanti alla popolazione non è per nulla quella di una vera indipendenza nazionale.
Il nuovo stato non è per nulla sovrano, fino a ieri sotto amministrazione Onu seguirà una sorta di protettorato da parte dell'Unione Europea a cui spetterà normare le questioni istituzionali, economiche e riguardanti la sicurezza. Il territorio rimane fortemente controllato dalle forze della Nato, 16mila uomini della forza internazionale Kfor controllano il paese. Camp Bondsteel, inoltre, è la più grande base militare Usa nei Balcani ed una delle più importanti d’Europa. Per Washington la presenza in Kosovo è strategica ed è certo che se gli Stati uniti non avessero acconsentito alla secessione, i leader kosovari non avrebbero agito con tale risolutezza.
Una colonia dell’imperialismo
Dal punto di vista economico, il Kosovo dimostra una totale dipendenza dal capitalismo internazionale e dalle sue istituzioni. Da alcuni anni l’Unmik è il principale datore di lavoro, mentre i disoccupati sono circa la metà della popolazione attiva. Sono state privatizzate tutte le aziende statali, a parte le Telecomunicazioni e l’Energia elettrica. Il Kosovo inoltre non potrà recidere i suoi legami con la Serbia così facilmente, visto che il settanta per cento delle sue importazioni proviene dalla Serbia.
Allo stesso tempo il nuovo stato è nato sulla base della pulizia etnica nei confronti delle minoranze serbe e rom, costrette a decine di migliaia a fuggire dalle proprie case come conseguenza dell’attacco della Nato nel 1999 o a vivere in veri e propri ghetti come l’enclave di Kosovska Mitrovica.
L’intera vicenda dimostra come il diritto internazionale è carta straccia, quando la più grande potenza economica e militare del mondo, gli Stati uniti, vuole imporre la propria volontà. L’Onu non ha riconosciuto la secessione, come non ha fatto l’Ue (che ha dato libertà di scelta ai singoli paesi, dimostrando che l’unificazione politica dell’Europa è una chimera) e nemmeno la maggior parte dei paesi balcanici. L’unica ragione per cui una parte dei paesi europei, come l’Italia, ha accettato l’indipendenza del Kosovo è per non scontentare l’amico americano.
Altri popoli, come i curdi, dovranno aspettare, d’altra parte mentre per il Kosovo si scontenta la Serbia, un Kurdistan indipendente scontenterebbe la Turchia, alleato troppo prezioso per Bush. Per l’imperialismo ci sono sempre nazionalità oppresse di serie A ed altre di serie B da sfruttare, quando sia necessario, per i propri fini.
La destra avanza in Serbia
Questa clamorosa discriminazione è stata utilizzata dai politici borghesi di Belgrado per scatenare una campagna nazionalista dai toni furiosi. Da giorni Belgrado e le altre città della Serbia sono percorse da cortei imponenti, dove la destra e i nazionalisti la fanno da padrone. Molti slogan incitano alla pulizia etnica come “ammazza, massacra, finchè non rimarrà più nemmeno un albanese”, si assaltano ambasciate, negozi albanesi e banche occidentali, e così via.
La sinistra e il movimento operaio, già debolissimi, sono oggi annichiliti.
Tutta questa campagna di odio nazionalista è stata orchestrata dalla borghesia serba, dai grandi mass media e dalla stragrande maggioranza dei leader dei partiti di maggioranza ed opposizione.
La grande manifestazione di giovedì 21 febbraio, che ha portato più di mezzo milione di persone a Belgrado, era stata organizzata dal governo, con treni e pullman gratis e scuole chiuse per l’occasione. Come successo molte altre volte nella storia, la classe dominante serba usa la questione del Kosovo come valvola di sfogo per le masse, cercando di deviare l’attenzione di milioni di serbi da problemi molto più seri, come la povertà e la disoccupazione che attanagliano il paese.
Oggi i giornali additano Kostunica come un nuovo Milosevic, quando in realtà lo stesso Kostunica e i partiti del suo governo sono tutti liberali o conservatori: hanno svenduto il proprio paese privatizzando industrie, trasporti e sistema bancario. Erano i principali oppositori di Milosevic, coccolati dall’occidente, durante gli anni novanta: oggi sono arrabbiati e stupiti, perché l’occidente non li considera più.
Dall’inizio degli anni novanta, la politica dell’imperialismo, sia americano che dei principali paesi europei, non ha fatto che disastri.
Il riconoscimento dell’indipendenza di Slovenia e Croazia come stati indipendenti da parte di Germania e Vaticano nel 1991 ha avuto un ruolo non secondario nell’accelerazione del conflitto tra le repubbliche jugoslave. Oggi il riconoscimento del Kosovo può aprire un vaso di Pandora nei Balcani.
D’Alema, giustificando la necessità del riconoscimento del Kosovo da parte dell’Italia, ha parlato di un “caso speciale che non fa precedente”, ma nella polveriera dei Balcani, per non parlare delle questioni nazionali irrisolte nel resto dell’Europa, imitare il Kosovo sarà una tentazione difficile da evitare.
La repubblica serbia di Bosnia è pronta a chiedere la secessione da Sarajevo, come ha ripetutamente dichiarato il suo presidente, Milorad Dodik. In Macedonia gli albanesi costituiscono quasi il 30% della popolazione e la voglia di Grande Albania è molto forte, nonostante le decise smentite del governo di Tirana.
Oggi, rispetto agli anni novanta, c’è un attore in questo dramma che vuole e può giocare un ruolo molto più da protagonista: la Russia. I diplomatici russi hanno rilasciato dichiarazioni bellicose: "se l'Europa lavora al di fuori di una posizione comune, o la Nato infrange il proprio mandato nel Kosovo, si troveranno in conflitto con le Nazioni Unite. A quel punto dovremo procedere con la forza bruta, in altre parole: la forza armata", ha affermato l’ambasciatore russo presso la Nato. La Russia di Putin non è quella di Eltsin, che era stata indebolita dal crollo e dallo smembramento dell’Urss, e vuole tornare ad avere un ruolo importante nello scenario mondiale. In questa prospettiva, anche se un intervento militare diretto da parte dell’esercito di Mosca è da scartare, la partita del Kosovo rappresenta un altro tassello dello scontro crescente tra Russia e Stati uniti, che non si attenuerà nel futuro.
Il dibattito in Italia
Nella crisi kosovara possiamo notare il comportamento del neonato Partito Democratico in Italia. Liberatosi della “zavorra” della sinistra, può rappresentare in maniera molto più sicura gli interessi della classe dominante per quanto riguarda la politica estera. Nel caso della necessità di un coinvolgimento maggiore dell’Italia dal punto di vista militare, il nostro ministro degli Esteri ha affermato senza esitazioni che “siamo pronti” e infatti si è prontamente provveduto a stanziare da parte del parlamento i fondi per le missioni militari all’estero. Ricordiamo che l’Italia, con 2600 militari impiegati è oggi il paese che contribuisce maggiormente alla forza multinazionale Nato in Kosovo (Kfor).
Bene ha fatto Rifondazione Comunista a votare contro questo provvedimento del governo in Parlamento, e il ministro Ferrero a fare altrettanto nel consiglio dei ministri quando si è trattato di riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Ciò non è successo per il resto della sinistra, infatti se il Pdci ha votato come il Prc, Sinistra democratica e Verdi non hanno perso occasione di differenziarsi uscendo dall’aula.
Anche sulle questioni di politica estera l’unico modo per ricostruire una forza alternativa di massa a sinistra è essere chiaramente alternativi alle scelte del Pd e della borghesia. Con la subalternità a Veltroni non si fanno certo gli interessi dei lavoratori italiani né si aiuta la classe lavoratrice in Serbia, Albania o Kosovo a liberarsi dell’influenza nefasta del nazionalismo ed a ritrovare una prospettiva di unità di classe nella lotta sia contro l’odio etnico sia contro l’imperialismo.
Leggi anche: