Invece il popolo boliviano muore di fame ogni giorno. La Bolivia è uno dei paesi più poveri al mondo (il 60% della popolazione è povera, e nell’ambito rurale arriva fino all’80%), ed è un esempio chiaro di come l’imperialismo vorace succhia fino al massimo le risorse di un paese, come si può succhiare il sangue a una persona fino quasi ad ucciderla. Le grandi potenze capitaliste cercano di fare questo in tutti i paesi dove il loro imperialismo mette piede per arricchirsi ogni volta di più, ma troppo spesso dimenticano che le loro azioni hanno un limite, quello che le masse impongono con la loro lotta.
Questo è quanto ha dimostrato la popolazione boliviana nel febbraio scorso, portando avanti una lotta esemplare contro il debole governo di Gonzalo Sanchez de Lozada detto “Goni”, premier del partito Movimiento Nacionalista Revolucionario (Mnr), arrivato al potere grazie all’alleanza con altri quattro partiti borghesi. Ma le ultime elezioni hanno mostrato anche la forza dell’opposizione, con l’ottimo risultato del Movimiento al Socialismo (Mas) guidato da Evo Morales. Il fatto che ha scatenato le proteste è stato il cosiddetto “Impuestazo”, cioè, un provvedimento governativo che taglia del 12,5% i salari al di sopra di 800 bolivianos, un po’ più di un salario minimo. Nello stesso momento il governo proponeva sgravi fiscali alle imprese pari al 13% e la riduzione del 3% delle tasse sulle transazioni di capitali.
Questi attacchi al tenore di vita delle masse (già martoriate) arrivano in un momento di crisi economica (il 65,8% dell’economia è in recessione e la disoccupazione è raddoppiata). Due giorni dopo (mercoledì 12 febbraio) che Goni annunciò questa legge, le masse sono scese in piazza insieme all’opposizione per esigerne l’abrogazione. La Paz, Cochabamba, Santa Cruz (le tre città più grandi) e altre città, nel giro di poche ore sono state invase dalle proteste della gente. Le principali autostrade che collegano il paese sono state bloccate da contadini e minatori. A La Paz la gente ha incendiato il Ministero del Lavoro e della Vicepresidenza, alcune sedi dei partiti di governo, alcune banche e anche succursali d’imprese straniere, come la Coca Cola. Alle manifestazioni si univa anche la maggioranza della polizia che era in sciopero. In questo contesto Goni ha utilizzato le Forze Armate per reprimere la rivolta.
L’epicentro della rivolta si è concentrato davanti al palazzo del Governo, difeso dai carri armati e, come se non bastasse, Goni ha fatto mettere dei cecchini sui tetti dei palazzi circostanti con l’unico scopo di uccidere la gente. Così è morta un’infermiera che stava curando un manifestante ferito. In quelle condizioni il sindacato maggioritario, Cob (Comisiones Obreras Bolivianas), si è visto costretto a convocare uno sciopero generale per il giorno seguente. La rivolta è continuata non solo giovedì ma anche venerdì e sempre più combattiva, chiedendo le dimissioni di Goni e del suo governo.
Così la Cob ha convocato nuovamente uno sciopero generale per lunedì e martedì. La risposta di Goni è stata la minaccia al Mas e alla popolazione di aumentare la repressione, proclamando lo stato d’assedio, ma la forza delle masse lo ha costretto a fare un passo indietro: tutti i suoi ministri sono stati costretti a dimettersi e Goni ha formato un nuovo gabinetto di ministri sostituendo quelli più odiati dal popolo.
Ma Goni sarà disposto a distribuire le terre che oggi appartengono ad una cricca di latifondisti e a non portare più avanti lo smantellamento delle piantagioni di foglia di coca (così come chiedono gli Usa), grazie alle quali vivono la maggioranza dei contadini boliviani? Sarà disposto a nazionalizzare alcune delle compagnie più importanti della Bolivia? Le lotte si sono calmate, ma Goni è stato ad un passo dall’essere cacciato dal governo, ha lasciato sulla strada 33 morti e poco meno di 200 feriti. Le masse hanno fatto vedere la loro forza e, quindi, dovrà misurare molto bene i suoi gesti. Febbraio ha rappresentato l’apice di una serie di precedenti proteste e lotte contro una politica che i diversi governi hanno portato avanti sotto i dettami del Fmi. Dal 1996 con il primo governo di Goni e poi con quello di Banzer (1998-2002) la borghesia boliviana ha portato avanti una politica di privatizzazioni e tagli sociali aumentando povertà e sfruttamento.
Le ultime elezioni, nel giugno 2002, ci hanno fatto capire che le masse vogliono un cambiamento radicale, e per la prima volta il Mas è stato il secondo partito. Il Mas raggruppa il settore contadino (molto povero e uno dei più combattivi insieme a quello dei minatori) che è molto ampio in Bolivia e dal quale proviene lo stesso Evo. Il voto per Morales dimostra che non solo lo hanno votato i contadini, ma una parte molto ampia della classe operaia delle città. Evo sembra davvero un uomo onesto, preoccupato per i problemi dei boliviani e con il desiderio di far uscire la Bolivia dalla situazione di povertà estrema in cui si trova. Nelle sue parole Evo vuole rifondare il paese su basi nuove. Si dichiara anticapitalista e antineoliberista, per lui il capitalismo in Bolivia ha fallito. Dice che “gli indigeni pretendono, dal Parlamento, di portare avanti cambiamenti radicali”, “i movimenti antineoliberisti devono essere rappresentati con una forza considerevole dentro il Parlamento”. Evo vuole basarsi sulle proposte del popolo, dare nuove opportunità a tutti quei piccoli imprenditori rovinati dalle grandi multinazionali, creare piccole imprese gestite dalla gente, lottare per il diritto all’autodeterminazione delle diverse etnie indigene boliviane, mettere lo Stato al servizio della popolazione e portare il paese ad una politica socialista e di uguaglianza.
Ma di che socialismo sta parlando Evo? Di uno fatto dal Parlamento, attraverso riforme e leggi? Quella di Evo è un’utopia e se un giorno arriverà al governo (cosa molto probabile), anche se ha tutta l’onestà del mondo, si scontrerà con la realtà e vedrà che non esistono vie di mezzo sotto il capitalismo, che non si può “rifondare” la Bolivia attraverso le riforme. Soltanto le masse, organizzate in comitati, con la lotta di classe potranno cambiare la situazione boliviana. L’unica possibilità per la popolazione di uscire dalla povertà e dallo sfruttamento è quella di lottare per il socialismo, unendo il proletariato e i contadini attorno ad un programma che rompa con il capitalismo, nazionalizzando le industrie e le banche sotto il controllo operaio ed espropriando i latifondisti per dare la terra ai contadini. Solamente così ci sarà un futuro per la classe operaia e contadina boliviana e di tutta l’America Latina.