È passato oltre un anno dal giorno in cui Lula vinceva le elezioni presidenziali e veniva presentato come la nuova speranza della sinistra mondiale.
Le considerazioni avanzate dal gruppo dirigente di Rifondazione Comunista che parlava della necessità di “un Lula mondiale” erano condivise da molti a sinistra e certamente dalle masse brasiliane che aspettavano da oltre 20 anni un tale momento.
È arrivato però il momento dei bilanci.
Il presidente proveniente dalle fabbriche di San Paolo, che aveva dato vita alla fine degli anni ‘70 al Partito dei Lavoratori (Pt) veniva finalmente eletto. Era logico che si generasse qualche aspettativa. I primissimi passi di Lula dopo la vittoria contribuivano a rafforzare queste illusioni.
Lula si faceva vedere in un incontro pubblico con Castro e Chavez e annunciava il piano “Hambre cero” (Fame zero) che avrebbe dovuto sollevare dall’indigenza 50 milioni di brasiliani. Una delle prime decisioni del nuovo governo è stata quella di aumentare il salario minimo da 200 a 240 real, una misura del tutto insufficiente se si considera che nel 2002 l’inflazione era stata del 17%, ma che comunque veniva vista come un ulteriore passo verso una politica di progresso.
Il giorno dell’insediamento erano presenti davanti al Palazzo presidenziale 300mila persone che hanno festeggiato per ore la vittoria del “presidente operaio”. Una cifra impressionante se si considera che Brasilia è una capitale artificiale situata nel centro del paese, distante migliaia di chilometri dalle grandi concentrazioni industriali, dove è più radicata la sinistra brasiliana.
Lula, però, invece di usare l’enorme consenso di cui godeva per avanzare un programma anticapitalista e di classe, ha dato vita a un esecutivo che definire di sinistra o persino di centrosinistra è fargli un complimento. Al tempo delle elezioni, la borghesia brasiliana si era resa conto che sarebbe stato impossibile sconfiggere Lula ancora una volta e così decise che piuttosto che combatterlo era più opportuno allearsi con lui. Hanno messo l’esca e Lula ha abboccato, come, del resto, era prevedibile considerando la deriva moderata intrapresa dal Pt negli ultimi anni.
Ed è così che fin dal primo turno il Pt si è accordato con il Partito Liberale (Pl), la cui natura di classe è ben rappresentata dall’esponente più in vista, José Alencar, vicepresidente di Lula, uno degli imprenditori tessili più importanti del paese con oltre 18mila operai alle proprie dipendenze. Successivamente, a partire dal secondo turno si sono aggregate altre forze borghesi.
Il nuovo governo è quanto di più incredibile si sia mai visto nella storia, composto com’è da un arco di forze che dalla destra militare del Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb) arriva alle sedicenti correnti trotskiste del Pt, passando per i principali esponenti della classe dominante.
Tutti i ministeri decisivi (in particolare quelli economici) sono stati affidati a rappresentanti del grande capitale. Al ministero dell’industria è andato L.F. Furlan, che era stato eletto deputato nelle liste del Partito socialdemocratico brasiliano-Psdb (il partito di Cardoso, che al ballottaggio sosteneva Serra, l’antagonista di Lula).
All’economia c’è l’ultraliberista Palocci, all’agricoltura il latifondista Roberto Rodrigues. Alla presidenza della Banca Centrale, Lula ha messo niente meno che Henrique Meirelles (già presidente della BankBoston, una delle principali banche che in questi anni si è arricchita sul debito dello Stato brasiliano) anch’esso eletto deputato nelle liste del Psdb.
Per garantire “l’equilibrio”, sono stati affiancati ai rappresentanti diretti del grande capitale personaggi più presentabili, ad esempio come contraltare al reazionario ministro dell’agricoltura Rodrigues, è stato messo al ministero dello “sviluppo agricolo”, il compagno M.S. Rossetto (della corrente Democracia Socialista del Pt legata alla Quarta Internazionale di Livio Maitan).
La questione agraria
Come al gioco del poliziotto buono e di quello cattivo, il ruolo di ministri come Rossetto è stato obiettivamente quello di addolcire la pillola da far ingoiare ai contadini brasiliani, ai quali non verrà data né la riforma agraria, né alcun tipo di aiuto.
Delle 500mila famiglie che dal ’95 al 2002 hanno ricevuto la terra in Brasile, il 90% non ha accesso all’acqua, l’80% non ha elettricità e strade asfaltate, il 57% non ha accesso ad alcun credito per costruire la casa e più della metà non dispone di alcun aiuto tecnico.
Secondo le promesse del governo nel 2003, doveva essere data la terra a 60mila famiglie (la richiesta dei Sem Terra era di 180mila) ma alla fine dell’anno meno di 15mila famiglie l’avevano effettivamente ricevuta.
Dei soldi che erano stati stanziati in bilancio per l’agricoltura ne sono stati spesi meno del 25%. Lula ha continuato a fare tagli nel corso del 2003 per rispettare gli accordi con il Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Oltre alla politica rurale si è colpita la sanità, l’istruzione e il programma Hambre Cero che aveva ricevuto un taglio di 10 milioni di dollari dopo solo un mese dall’insediamento del governo.
Rossetto può continuare a parole a battere cassa per portare a termine il suo programma ma il governo prepara ulteriori tagli di bilancio nel 2004 e così la politica di crediti ai contadini e di distribuzione della terra si traduce in un nulla di fatto. O meglio, si traduce nelle chiacchiere di Rossetto che “stabilisce relazioni costruttive con i movimenti contadini e cerca un ampio dialogo con la società” (secondo le parole di Machado, uno dei massimi dirigenti di Democracia Socialista) quando nel frattempo il signor Rodrigues, fa sbattere in carcere centinaia di contadini che occupano le terre e copre le scorribande delle squadracce paramilitari al soldo dei latifondisti che assassinano gli occupanti (oltre 50 omicidi nel corso del 2003).
Le occupazioni nell’ultimo anno si sono triplicate rispetto al 2002 in quanto i contadini pensavano che con il nuovo governo esistessero condizioni migliori per non subire rappresaglie. Ma le cose non sono andate così.
Non solo sono stati criticati da Rossetto, ma il capo-gabinetto di Lula, Jose Dirceu, ha minacciato l’applicazione di una legge (approvata sotto la presidenza Cardoso) che prevede la non assegnazione delle terre a tutti coloro che si rendano colpevoli di occupazioni.
Lo stesso Dirceu, nella scorsa legislatura aveva presentato un ricorso di incostituzionalità contro questa legge che oggi pretende di applicare contro il Movimento dei Sem Terra.
E tutto questo in un paese dove il 10% dei proprietari possiede l’80% delle terre (spesso lasciate incolte) con 4 milioni di contadini che ne sono assolutamente privi.
Ma dobbiamo segnalare con tutta la solennità di questo mondo che il compagno Rossetto, per dimostrarci il carattere di vero progressista quale è, si è opposto duramente alla proposta di Rodrigues di liberalizzare il transgenico, senza che questo ovviamente impedisse al governo di liberalizzare, anche se temporaneamente, la coltivazione dei semi di soia geneticamente modificati. Non si è mai vista una divisione del lavoro così efficace come quella che esiste tra Rossetto e Rodrigues. I contadini brasiliani ringraziano commossi.
Un attacco dopo l’altro
Gli attacchi di Lula non si sono rivolti esclusivamente contro le popolazioni rurali.
Infatti, se Cardoso aveva condotto il paese sull’orlo della crisi finanziaria, Lula ha preso il coraggio a due mani e ha deciso niente meno che di “risanarlo”.
Immaginate quale entusiasmo è stato profuso dalla borghesia quando è stata resa nota la notizia.
Secondo il capo dell’associazione degli industriali di San Paolo: “Lula non è un pericolo ma una soluzione”. Come dargli torto. Maggiore entusiasmo ancora è stato mostrato dal direttore del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Host Kohler “per i passi avanti compiuti finora dal presidente Lula”.
L’unico obiettivo di Lula è stato quello di tranquillizzare i mercati. Su pressione del Fmi si è dato l’obiettivo di un attivo di bilancio del 4,25% per pagare gli interessi sul debito estero (Cardoso non si era mai spinto oltre il 3,9%).
Questi soldi che finiranno direttamente nelle tasche dei banchieri (a cui il debito è stato pagato più volte nel corso degli anni per effetto degli elevatissimi tassi d’interesse), sono stati rastrellati tagliando brutalmente la spesa sociale. Gli investimenti pubblici che nel 2003 sono precipitati al minimo storico dello 0,27% (durante i governi di Cardoso la media era dello 0,72%!) mentre i tassi d’interesse sono arrivati ad un astronomico 26,5%.
Non solo Lula non rifiuta di pagare il debito estero (che era quanto rivendicava il suo partito negli anni ’80) ma non ha neanche provato a rinegoziarlo come ha proposto il presidente argentino Kirchner, che infatti si è lamentato perchè su questa questione ha ottenuto il sostegno di tutti i governi del Sudamerica tranne che quello di Lula. Un peronista che critica da sinistra un dirigente del Pt!
Sta di fatto che le misure di austerità applicate dal governo hanno spinto l’economia in una recessione che si approfondisce ogni giorno di più. Centinaia di migliaia di posti di lavoro sono andati persi, l’occupazione è calata del 10% in un anno. Il potere d’acquisto dei salari è precipitato del 15% e i consumi sono calati del 7,1% nel terzo trimestre del 2003.
La “riforma” delle pensioni e la lotta dei dipendenti pubblici
Non soddisfatto dei tagli alla spesa pubblica il governo ha deciso di attaccare anche le pensioni dei dipendenti pubblici. La reazione dei lavoratori non si è fatta attendere. Subito dopo l’annuncio della riforma, l’8 aprile, 100mila lavoratori dell’impiego pubblico hanno manifestato nelle piazze.
Il piano del governo aumenta l’età minima per andare in pensione, impone una tassa aggiuntiva dell’11%, abroga l’indicizzazione delle pensioni ai salari e taglia del 30% le pensioni delle vedove e gli assegni per i figli minori. Tutto questo mentre ai padroni si fa un bel regalo: 150 miliardi di real (circa 40 miliardi di euro) di evasione contributiva verranno amnistiati.
Le mobilitazioni contro la riforma delle pensioni sono continuate per tutta l’estate del 2003: l’11 giugno 40 mila lavoratori in piazza, l’8 luglio la Cnesf (Coordinamento nazionale degli impiegati statali) ha dichiarato lo sciopero generale indefinito fino al ritiro del progetto governativo. Il 6 agosto sono scesi in piazza 60mila lavoratori, 15mila il 19 agosto, canto del cigno della mobilitazione, una volta che la controriforma viene approvata in Parlamento.
La direzione della Cut (la Confederazione dei sindacati brasiliani) inizialmente non ha sostenuto la lotta, limitandosi a fare delle proposte emendative nel Congresso nazionale e alla fine ha dato un sostegno formale, giusto per chiudere la mobilitazione, che è rimasta isolata ed è rifluita per assenza di prospettive e per l’illusione diffusa che sarebbe bastata un pò di pressione per spingere Lula a rivedere i propri piani. In fondo, pensavano molti lavoratori, si tratta del “nostro governo”.
Invece, non una, nè più manifestazioni e scioperi sono stati sufficienti. La maggioranza dei lavoratori oggi non condivide la politica di Lula (secondo un sondaggio almeno 7 milioni di elettori del Pt hanno perso fiducia in lui), ma l’orientamento che prevale ancora è quello di condizionarlo.
La linea di mobilitarsi per contrastare le pressioni dei ministri borghesi più reazionari continua ad essere prevalente anche per il ruolo nefasto che viene giocato dalla sinistra del Pt che sparge illusioni in questo senso. Gli echi di questa linea si sono sentiti anche nel dibattito di Rifondazione Comunista dove diversi esponenti della maggioranza bertinottiana, per giustificare l’accordo con l’Ulivo alle prossime politiche, hanno adottato la parola d’ordine della sinistra del Pt di “un governo debole con un movimento forte”. L’assoluta stoltezza di questa concezione è stata dimostrata una volta di più dagli esiti della lotta degli impiegati pubblici in Brasile.
Il problema che viene eluso è che una svolta può essere avviata solo con una rottura completa con le forze della borghesia e con una lotta radicale che ripulisca il Pt da tutti i burocrati legati a doppio filo con la classe dominante riportando il partito sotto il controllo dei lavoratori.
Le espulsioni dal Pt
Nel mese di maggio 35 deputati, sui 93 che compongono il gruppo parlamentare del Pt, avevano sottoscritto una dichiarazione contro la riforma previdenziale di Lula, dichiarando che si sarebbero opposti strenuamente ad essa. Nella maggioranza dei casi si trattava di esponenti della sinistra del Pt, una buona parte di essi eletti con il sostegno decisivo dei sindacati dei dipendenti pubblici.
Di fronte alle minacce di Lula e Dirceu di prendere misure disciplinari contro coloro che avessero votato contro la riforma, solo una piccola parte si è mostrata intransigente.
Infatti, al momento delle votazioni, 24 dei 35 hanno votato a favore della riforma seppur criticandola, 8 si sono astenuti dichiarando che: “non volevano votare nè contro il proprio partito, nè contro la propria coscienza” e 3 (Babà, Genro e Fontes a cui si è aggiunta la senatrice Heloisa Helena) hanno votato contro. Due deputati del Partito comunista (Pcdob) hanno anch’essi votato contro, e nonostante le pressioni di Dirceu che chiedeva a tutti i partiti che sostenevano il governo di espellere i militanti che non si disciplinavano, sono stati per ora perdonati dal loro partito e non verranno sanzionati.
Nonostante le decantate tradizioni democratiche del Pt, un partito dove è sempre esistito il diritto di frazione (all’ultimo congresso c’erano otto piattaforme diverse che partecipavano al dibattito), la pressione della classe dominante e dell’apparato dello Stato si è fatta sentire violentemente su Lula e sull’apparato del Pt, che non hanno fatto nulla per resistervi.
Perciò, dalle parole si è passati ai fatti e contro i tre deputati e la senatrice dissidente si è avviata una procedura di espulsione che è stata sancita dal direttivo nazionale del Pt, il 14 dicembre 2003.
La vicenda delle espulsioni ha suscitato grande clamore e ha occupato per un periodo le pagine di tutti i giornali. Gli espulsi hanno organizzato un’assemblea alla quale hanno partecipato 4-5mila militanti, mostrando le enormi opportunità che si aprivano per avviare una battaglia all’interno del Pt. Purtroppo, però, questo potenziale è andato disperso almeno per ora, perché invece di organizzare una campagna contro le espulsioni che raccogliesse il dissenso accumulato nella base del Pt e della Cut, i tre deputati hanno prima mantenuto una linea tentennante di difesa esclusivamente giuridica, poi hanno precipitosamente fatto appello a una scissione prematura avviando un processo che potrebbe dar vita a un nuovo partito della sinistra brasiliana.
Alla prima riunione che doveva dar vita al nuovo soggetto politico, attraverso un processo di unificazione con il Pstu (una scissione di sinistra del Pt che ha raccolto lo 0,42% dei consensi alle ultime presidenziali) c’erano solo 200 persone e con posizioni molto distanti tra loro, per cui, come era ipotizzabile le prospettive per il nuovo partito non sono affatto buone.
Le misure che si preparano e l’alternativa
Per il 2004 non ci si può aspettare miglioramenti e riforme, dato che la situazione di bilancio non lascia margini per investire nella spesa sociale, nell’occupazione e per combattere la fame e la miseria se non rompendo apertamente con la borghesia.
Se si manterrà sulla linea attuale di concordare la propria politica con l’imperialismo e il Fmi, Lula dovrà inevitabilmente continuare gli attacchi al movimento operaio partendo dalla già annunciata riforma del mercato del lavoro che prevede: l’abrogazione della tredicesima mensilità nelle piccole e medie aziende, la revisione o persino l’abrogazione del sussidio di disoccupazione, l’introduzione di contratti precari. Un’altra “riforma” è in preparazione per limitare i diritti sindacali.
Lula appare incurante di tutto e sembra orientato ad andare avanti come un treno. Questo inevitabilmente aprirà una forte crisi nel Pt che investirà in pieno anche la sua attuale direzione.
In tutta chiarezza bisogna dire che anche se decidesse, di fronte alle pressioni della propria base sociale e all’inevitabile fallimento della sua politica fiscale, di introdurre alcune timide “correzioni”, queste non avranno alcun effetto sociale significativo, nella misura in cui non verrà messo in discussione il quadro delle compatibilità capitalistiche.
Tuttavia, queste misure potrebbero avere un effetto politico, nel generare la sensazione che si avvia finalmente quel cambiamento tanto atteso dai lavoratori e dai contadini brasiliani.
Questo spingerebbe alla partecipazione milioni di persone e la polarizzazione sociale e politica si esprimerebbe non più solo sul terreno elettorale ma anche sul terreno della lotta di classe (che per ora ha visto protagonisti solo gli impiegati statali ma non la classe operaia industriale).
In un contesto del genere una genuina tendenza marxista potrebbe ottenere un grande seguito nel Pt e nella Cut se si battesse per un programma che metta al centro delle proprie richieste:
- La rottura di Lula e del Pt con la borghesia e l’imperialismo, con la conseguente espulsione dal governo di tutti i ministri borghesi.
- L’annullamento del debito estero.
- L’espropriazione del latifondo e la distribuzione delle terre ai contadini.
- La nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori delle principali leve dell’economia.
- La formazione di un esecutivo basato sulle assemblee operaie e contadine da convocarsi in tutto il paese perchè discutano democraticamente il programma e la politica del governo.
Questa è la sola via ed è la via che conduce al socialismo. Diversamente Lula condurrà il partito e il proletariato alla disfatta trascinando con sè l’intero popolo brasiliano e preparando la strada a un ritorno dei militari.
L’intervento del deputato Babà contro le espulsioni, tenuto al direttivo nazionale del Pt del 14 dicembre, è rintracciabile sul nostro sito www.marxismo.net