Centocinquantamila studenti e lavoratori hanno invaso le piazze di Santiago del Cile Giovedì scorso: un enorme corteo (fra i più grandi della storia del paese) contro le politiche liberiste del governo, contro la crescente privatizzazione del sistema scolastico e a favore dell’istruzione pubblica. La provenienza dei manifestanti e il nome della capitale possono cambiare, ma situazioni di lotta analoghe le troviamo, ormai con cadenza mensile, in gran parte dei paesi europei e negli Stati Uniti, in Canada o in Medio Oriente. Quasi in tutto il mondo, a dire il vero. Se ci soffermiamo, in particolare, sulla descrizione di questa ripresa in grande stile della lotta del movimento studentesco cileno, lo facciamo per la grande quantità di spunti che offre alla nostra analisi.
Innanzitutto, è stata una manifestazione di studenti e lavoratori uniti: l’ennesimo superamento dello “studentismo” è sotto gli occhi di tutti e conferma l’importanza capitale dell’unità di classe fra chi studia e chi lavora, chi cerca lavoro, chi lavora in casa senza stipendio e chi ha smesso di lavorare per riposarsi. L’unità di quella classe già chiamata, ormai più di due anni fa, “il 99%” dal movimento Occupy: il “proletariato”, diremmo noi, con maggiore precisione scientifica.
In secondo luogo, le proteste erano senza dubbio rivolte contro il ministro dell’istruzione Beyer – responsabile, con Piñera, dell’avanzata delle privatizzazioni, ma anche della scomparsa della parola “dittatura” dai testi scolastici cileni in riferimento agli anni di Pinochet –, ma il movimento non si è limitato a opporsi al governo: la volontà di non arrestare le lotte fino a un cambiamento radicale della condizione studentesca è emersa chiaramente dalla manifestazione, dagli slogan, dagli striscioni.
La promessa di Piñera, primo ministro cileno, di destinare 158 milioni all’istruzione pubblica fatta alla vigilia del corteo non ci pare casuale: in Italia, nella settimana del 14 Novembre, data dello sciopero generale europeo, venne ritirata la proposta di aumento dell’orario lavorativo per gli insegnanti. Misure di questo tipo non sono dettate da una conversione miracolosa, ma sono il chiaro sintomo della paura della classe dominante per gli effetti radicali che potrebbero avere proteste di studenti e lavoratori sul piede di guerra.
Queste “concessioni” non hanno mai l’esito sperato in tempo di crisi: come in tutta Europa continuano le proteste, così l’11 Aprile la classe lavoratrice e il movimento studentesco cileno non si sono fermati davanti a niente. Non sono capitolati nemmeno davanti alla candidata del centrosinistra Michelle Bachelet: molti cori e striscioni erano rivolti contro lei, colpevole di aver tentato di strumentalizzare il movimento per la campagna elettorale imminente. Un terzo fattore di grande importanza lo troviamo qui: il popolo cileno ha compreso che solo un rovesciamento radicale del governo Piñera può portare ad una scuola pubblica gratuita e di qualità.
Chi segue il nostro sito si ritroverà a pensare alle parole d’ordine usate da Sempre in Lotta ormai da molti anni. È bene specificare: dal movimento studentesco cileno, effettivamente, non emerge altro se non la volontà di avere un’istruzione realmente accessibile a tutti e di buona qualità. La manifestazione di Giovedì scorso getta delle basi per una lotta serrata fino al raggiungimento di questo obiettivo.
D’altronde, quello cileno è il sistema scolastico più classista del continente: per fare solo un esempio, il 75% (dati OCSE) della spesa grava sulle famiglie e i servizi offerti sono molto lontani dal giustificare un prelievo del genere. Questo – è chiaro a tutti i circa centocinquantamila manifestanti – è un mezzo che ha la classe dominante per impedire l’accesso all’istruzione: a nulla serve più la bella maschera della “meritocrazia”!
La portata di questi dati è disarmante: perfino il ceto medio ha difficoltà a far studiare i figli in Cile. Non ci stupisce affatto vedere proteste di questa dimensione, come non ci stupisce, in condizioni di crisi, trovare esplosioni di rabbia improvvise.
A conclusione della manifestazione, infatti, il corteo si è trovato davanti alla stazione Mapocho. Alcuni, degli “incappucciati” secondo i quotidiani borghesi, hanno tentato di scavalcare le transenne della polizia: la risposta è arrivata con lacrimogeni, cariche, proiettili di gomma per ferire gli studenti e proiettili di vernice per identificarli. Ci saranno 109 arresti alla fine della giornata.
I responsabili del movimento studentesco hanno condannato questi gesti: subito pronta è arrivata la stretta di mano dei media borghesi, ansiosi di ridimensionare la radicalità della lotta. È importante sottolineare una cosa: i gesti violenti e improvvisi di rabbia sono scorretti perché non portano alcun beneficio reale alla lotta e anzi mettono in pericolo se stessi e gli altri compagni. Chi, però, ha iniziato questa violenza? Non è stato forse il sistema, con l’aperto massacro sociale, le imposte altissime davanti a una totale mancanza di servizi, le ore di lavoro estenuanti a fronte di salari miseri e insufficienti? Lorsignori ritirino subito la mano: non c’è compromesso nel nostro scuotere la testa davanti agli episodi violenti, ma solo una comprensione più completa dello stato di cose presenti. Se vogliono crederci moderati, se si sentono più tranquilli sulle loro poltrone perché alla vernice spray e agli scontri preferiamo la costruzione solida di un’organizzazione rivoluzionaria di studenti e lavoratori, tanto peggio per loro!
Dal canto nostro ci troviamo a fare un bilancio positivo di questa ripresa delle lotte in Cile: contemporaneamente col corteo di Santiago, si è manifestato anche a Valparaiso, Concepción e Temuco y Valdivia, un ennesimo dato positivo da sommare agli altri riportati.ora sul nostro sito
Un altro fattore interessante in questa nuova manifestazione è la radicalità di queste proposte: contro la destra (memori degli attacchi più devastanti della dittatura di Pinochet), ma anche contro quel centrosinistra che, negli anni precedenti all’attuale governo, non ha certo dettato una svolta rivoluzionaria né un cambiamento radicale dello stato di cose in Cile.
Proprio quel cambiamento radicale, quel rovesciamento del sistema attuale è ciò per cui manifestano i giovani di tutto il mondo. Collettivi e assemblee con idee rivoluzionarie si formano ormai quotidianamente e, in questo momento, sono già tutti uniti da un’unica consapevolezza: solo la lotta coerente contro il sistema e l’austerità può farci uscire dalla crisi. Le altre strade sono vicoli ciechi.