L'assemblea nazionale dei delegati de LA CGIL CHE VOGLIAMO in Filcams, più volte rinviata dal momento che la prima convocazione era stata prevista per metà dicembre, si è finalmente tenuta martedì 31 gennaio a Bologna.
L'assemblea ha visto la partecipazione di un centinaio di delegati, cosa non scontata viste le avverse condizioni del tempo e, soprattutto, il fatto che, pochi giorni prima, il segretario generale della categoria, su richiesta di una parte dell'area che ha non ha riconosciuto valida l'iniziativa, avesse inviato una comunicazione ai territori disconoscendo permessi e rimborsi ai delegati.
Il dibattito è stato estremamente partecipato, con circa 20 interventi, e ha visto alla fine l'approvazione all’unanimità (con 8 astensioni) di un documento finale e l'elezione (con 7 voti contrari e 4 astensioni) di una nuova coordinatrice che sostituisce il coordinatore uscente Maurizio Scarpa con un esecutivo composto da una compagna di Firenze e uno di Brescia.
L’andamento dell’assemblea
L'assemblea però, a dispetto delle sue deliberazioni, più che in un’occasione di rilancio dell'area, si è trasformata nell’ennesima occasione persa.
E pensare che il percorso scelto per dare slancio alla sinistra sindacale era di buon auspicio: le assemblee territoriali e i criteri scelti per definire i delegati con diritto di voto erano elementi di novità nel contesto sindacale generale e quanto di più avanzato finora si potesse registrare persino all'interno dell'area confederale.
A dispetto di questi segnali, l’assemblea ha mancato il suo obiettivo più importante: fornire ai lavoratori gli strumenti per reagire all’offensiva padronale in atto nel commercio e nella grande distribuzione.
Nella nostra categoria abbiamo potuto in questi anni assaggiare la frusta della reazione padronale su tutti i fronti: contratto separato della grande distribuzione, contratti scaduti da anni come quello della vigilanza oppure contratti unitari vergognosi come quello della Coop.
Se a tutto questo aggiungiamo le quotidiane storie di soprusi, vessazioni, disdette unilaterali dei contratti integrativi e l’utilizzo delle forme precarie più odiose, come la pratica del ricatto verso i lavoratori e in particolare verso le lavoratrici, di contenuti per un’assemblea ricca di conclusioni politiche su come reagire a questa offensiva su tutti i terreni, pari a quella che stanno subendo i metalmeccanici e tutti gli altri lavoratori, ce n'erano a non finire. Eppure di questi contenuti non c’è traccia nel documento finale dell’assemblea.
Da qui parte il nostro giudizio negativo sul 31 gennaio.
La neo-coordinatrice, nella sua relazione, si è limitata a spiegarci quanto è difficile stare a questo mondo, quanto sono cattivi i padroni e che il governo se la prende coi poveracci. C'è stato spiegato che la Cgil, invece di contrastare il governo, reprime il dissenso in casa propria e che la Filcams, con il sostegno all’accordo del 28 giugno e la firma sul contratto delle Coop, rinuncia nei fatti a mettere in campo una vera strategia di rilancio della categoria.
Verità sacrosante, con l’unico difetto di essere una realtà già acquisita da parecchio tempo dalla platea dei delegati presenti Bologna.
Gli interventi dei delegati
A dispetto di una introduzione così inconsistente, l’assemblea ha offerto degli spunti interessanti grazie all’intervento di alcuni delegati.
In particolare, un compagno di Roma (della Coop), oltre a contestare al gruppo dirigente della maggioranza di nascondersi dietro una ventilata indisponibilità dei lavoratori a scioperare, ha raccontato come, nel suo negozio, lo sciopero del 28 gennaio sia stato totale e come ci sia da parte sua pieno appoggio alla battaglia contro l'accordo Coop, promuovendo il comitato per il NO.
Un delegato di Milano ha raccontato di come, dopo anni di onorato servizio alla causa Cgil nel suo supermercato, sia stato licenziato con un provvedimento antisindacale e l'apparato della categoria l'abbia emarginato perché al congresso si era schierato con l'opposizione.
Diverse delegate hanno poi raccontato delle vessazioni, dell'utilizzo ricattatorio che i capi fanno del part time verso le lavoratrici con figli e dei continui cambi d'appalto che vedono, soprattutto nel settore delle pulizie e della ristorazione, lavoratrici con anni di lavoro sulle spalle subire un continuo peggioramento delle condizioni di lavoro e salariali.
Della ricchezza di questi interventi non c’è nessuna traccia nel documento conclusivo, a testimonianza del fatto che a Bologna abbiamo assistito alla riproposizione di una sinistra sindacale parolaia, inconcludente e comiziante con dei dirigenti che puntano solo ad occupare poltrone.
Breve storia della CGIL CHE VOGLIAMO IN FILCAMS
Per capire meglio il perché il fallimento dell’assemblea di Bologna è utile ripercorrere la storia recente dell'area in Filcams.
Nel congresso del 2010 si era registrata una divisione ne LA CGIL CHE VOGLIAMO della Filcams tra chi aveva deciso di puntare sulla gestione unitaria con la maggioranza e chi invece voleva costruire l'area come opposizione, non registrando i presupposti per cancellare le differenze che si erano manifestate al congresso della CGIL.
Chi allora scelse la gestione unitaria, tra cui il coordinatore dell'area in Filcams uscente, non aveva avuto scrupoli o ripensamenti a rompere con parte dei compagni che con lui avevano sostenuto il documento di minoranza congressuale.
Per un lungo periodo, dopo questa divisione, i compagni che si erano opposti alla gestione unitaria vennero sistematicamente emarginati e attaccati dal coordinatore nazionale, che vedeva in questi compagni un pericolo concreto ai metodi autoritari da lui usati per gestire l'area.
Nel giugno dello scorso anno il segretario generale della Filcams ha deciso di rompere con il coordinatore dell'area di minoranza, togliendogli il distacco sindacale e aprendo la segreteria a un'altra rappresentante dell'area, che però ormai è in rotta con LA CGIL CHE VOGLIAMO.
Come per magia, a questo punto l’ex coordinatore diventa ipercritico rispetto alla gestione della FILCAMS, una cosa in se positiva, purtroppo però indicativa di un'opposizione virtuale, fatta solo di dichiarazioni, in una logica di posizionamento che non entra mai nel merito di cosa fare concretamente e che soprattutto non spiega perché quello che prima andava bene (ovvero la convivenza nella stessa segreteria per anni) all'improvviso diventa indigeribile: dal contratto della distribuzione (che la Filcams non ha firmato nel 2008 per poi sottoscriverlo pari pari nel 2009) fino ad arrivare al contratto del turismo.
Se oggi i lavoratori che la nostra categoria dovrebbe difendere sono più in difficoltà è anche per via di quegli accordi che l’ex coordinatore ha sostenuto.
Non è che la questione centrale consiste nel fatto che non è l'ex coordinatore che ha deciso di rompere col segretario nazionale ma viceversa? E, soprattutto, in base a quali proposte pratiche oggi possiamo dire che i metodi burocratici e autoritari attuati in passato oggi siano definitivamente superati?
Anche il metodo utilizzato per far approvare il documento finale e la proposta di esecutivo ci offrono degli indizi allarmanti.
Nel dibattito alcuni compagni hanno proposto di costituire un comitato per il No al contratto della Coop, una proposta di cui nel documento finale non c'è nessuna traccia.
Eppure, questa sarà la campagna prioritaria della CGIL CHE VOGLIAMO in Filcams.
Sul contratto separato della distribuzione, se esiste il pericolo concreto che la Filcams rientri in quel contratto attraverso altre strade, qual’è la strategia della nostra area? Ci limitiamo alla solita battaglia di posizionamento fatta di documenti negli organismi oppure c'è una proposta di cosa fare nei propri luoghi di lavoro?
Se si parla di un nuovo inizio vuol dire che fino ad ora il bilancio era negativo, vogliamo chiederci perché?
Le conclusioni dell’assemblea
Per questi motivi ci siamo astenuti sul documento finale e abbiamo votato contro l’elezione della coordinatrice e dell’esecutivo (pur non essendoci un giudizio negativo sugli altri componenti, in particolare il compagno di Brescia che in questi anni ha subito l'ostracismo dell'ex coordinatore).
Il compagno Rinaldini, nelle conclusioni, ha criticato il metodo con cui sono stati sollevati gli argomenti posti.
In particolare ha stigmatizzato l’intervento di un compagno che, per spiegare l’inadeguatezza della neo-coordinatrice dell’area, ha sollevato il fatto che tre anni fa, durante un picchetto davanti ad un supermercato (per il quale l'azienda portò in tribunale alcune lavoratrici e il loro funzionario sindacale), si era dissociata da questo metodo di lotta.
Ovviamente ogni posizione è legittima, ma qui non c'è in discussione qualche conflitto tra dirigenti bensì il fatto che un lavoratore, quando decide di lottare, implicitamente si mette anche nelle mani della propria organizzazione: ma se l'organizzazione nel momento del bisogno lo sconfessa che conclusione deve trarre?
Proprio perché la strada che ci aspetta è piena di asperità, i delegati che si gettano nella lotta devono avere la garanzia che i propri generali li difenderanno ad ogni costo. Non è forse anche questo uno dei principali problemi dell'area a livello confederale, ovvero quella di mancanza di chiarezza sul perché nell'area ognuno fa quel che vuole e i delegati nei territori sono lasciati a se stessi?
Colpisce che molti dei compagni che si erano opposti al congresso alla gestione unitaria oggi, pur di trovare il minimo comune denominatore con la nuova coordinatrice, sulle questioni che solleviamo non abbiano detto nulla. Questo non fa bene alla nostra area ma soprattutto da poca credibilità alla serietà di chi si considera il settore più determinato a cambiare lo stato di cose attuali.
Sicuramente, aver diffuso preventivamente una bozza di un documento dall'ambizioso titolo “contributo all'assemblea Filcams di Bologna”, che ai presenti non è neanche stato distribuito, non ha aiutato a far chiarezza.
A questo documento, durante l’assemblea dei delegati Filcams del Trentino, avevamo fatto degli emendamenti che non sono stati neanche presi in considerazione.
Di cosa abbiamo bisogno ora
Con questo articolo abbiamo cercato di offrire degli spunti di riflessione su cui confrontarsi perché l'iniziativa di Bologna non si riduca a una semplice parata di dirigenti ma sia veramente una prima tappa del lungo lavoro che abbiamo davanti. Altre considerazioni ci lasciano indifferenti.
La priorità assoluta a livello nazionale ora è sostenere il comitato per il NO al contratto Coop. La consultazione offrirà parecchie opportunità per discutere con tanti lavoratori e soprattutto delegati che, probabilmente, la nostra area non l'hanno mai presa in considerazione.
Serve una proposta di lavoro adeguata su come convogliare tutto questo capitale di mobilitazione dopo la consultazione.
Sul contratto separato della distribuzione, esistono oggi le condizioni per articolare una discussione nei luoghi di lavoro su come offrire una piattaforma alternativa nei rinnovi integrativi a quelli portati avanti da Cgil, Cisl e Uil (visto che, come è stato detto nell'assemblea, nella contrattazione di secondo livello si sta firmando quanto non firmato a livello nazionale), occorre capire quali sono e dove si trovano le aziende in cui, grazie alla presenza dell'area, si puo' portare avanti questa sperimentazione.
Sono solo due esempi che meriterebbero una discussione più ampia che, purtroppo, a Bologna non si è potuta fare. Sono in grado i compagni dell'area di presentare queste questioni entrando nei dettagli al prossimo direttivo nazionale?
Ma, soprattutto, è possibile incominciare a monitorare seriamente la presenza dell'area nei luoghi di lavoro potendo così capire anche quali sono i punti di forza, nella misura in cui un giorno l'area decida di mettere in pratica quello che scrive sui documenti?
Queste sono, a nostro avviso, le basi per poter ritornare a parlare di rilancio del conflitto non solo per ridare dignità alla nostra battaglia della CGIL CHE VOGLIAMO in Filcams ma, soprattutto, per riprendere la strada della difesa degli interessi dei lavoratori.