Aumenta sempre più il divario delle ricchezze - Falcemartello

Breadcrumbs

Aumenta sempre più il divario delle ricchezze

 

Ogni due anni la Banca d’Italia pubblica uno studio che analizza la situazione economica delle famiglie italiane. Ne emergono aspetti interessanti, che confermano ciò che si vive quando si va a fare la spesa o si paga l’affitto: le condizioni di vita della classe lavoratrice stanno peggiorando.

Non intendiamo in questa circostanza esaminare tutte le informazioni contenute nella ricerca, ma fare un quadro della situazione evidenziando alcuni aspetti che riguardano il reddito e la ricchezza.

Il “reddito da lavoro dipendente”, grazie alle lotte degli anni ’70, raggiunse il massimo nel 1982 con il 58% del totale. Dopo, il crollo: 50% nell’84, 45% nell’87%, 40% nel ’95, dato che è rimasto stabile da allora. Il fatto però è che nel ’95 le famiglie a cui spettava questo reddito erano il 42% del totale, ora superano il 47%. Detto diversamente, ci sono sempre più lavoratori, che lavorano sempre di più (25 ore l’anno in più rispetto al 2002) a cui spetta una parte decrescente del reddito nazionale. Ma non basta, il “lavoro dipendente” comprende un universo molto vasto, tra cui quadri e dirigenti. Ora, le statistiche su salari e stipendi ci dicono che negli ultimi vent’anni il ventaglio salariale si è enormemente ampliato. Dunque se prendiamo operai e impiegati, la quota è ulteriormente scesa. Insomma, la distribuzione del reddito è tornata ai livelli degli anni ’50.

Per inciso, i dati ci dicono che dall’89 non c’erano così tanti operai nel nostro paese; tanto basti per la storiella sulla scomparsa della classe operaia. Un ultimo dato interessante sulla distribuzione del reddito riguarda il confronto tra la metà più povera del paese (il 54% della popolazione fa appena il 12% del reddito) e il 2% più ricco, che si prende il 26% del reddito complessivo.

E veniamo rapidamente alla ricchezza, che racconta una storia ancora più chiara su chi ha beneficiato dei doni di Babbo Natale in questi anni.

Se nel ‘95 la ricchezza netta media delle famiglie di imprenditori e liberi professionisti era 3 volte quella degli operai, nel 2004 era 6 volte. In dieci anni la differenza è raddoppiata. Attualmente, la quota di attività finanziarie nette (ovvero le attività meno i debiti) degli operai è l’1,5%, che è come dire che la metà dei lavoratori di questo paese possiede meno di un cinquantesimo della sua ricchezza. Questo spiega la crescita delle famiglie indebitate, ormai prossime al 25%. Il 38% degli operai ha meno di 10.000 euro di ricchezza netta; i lavoratori nel loro complesso non se la passano meglio, dato che hanno 6.500 euro di ricchezza finanziaria (cioè titoli) media. Un bel gruzzoletto non c’è che dire: il valore di un’utilitaria, altro che portare la Borsa nelle case di tutti gli italiani.

Giova un’ultima osservazione che si lega al programma per il prossimo governo. I marxisti appoggiano da sempre l’idea del ripudio del debito pubblico, per evitare un meccanismo che ha trasferito, solo negli ultimi dieci anni, l’equivalente del Pil italiano dalle tasche dei lavoratori a quelle dei padroni. La risposta classica che si da a questa proposta è che anche le famiglie proletarie hanno titoli di Stato. Questo era assai discutibile in passato, oggi è semplicemente falso.

Nel ’95 il 27% dei lavoratori dipendenti aveva titoli di Stato, oggi solo il 6,4% (che scende al 3,6% per gli operai). Stiamo dunque parlando di una minima parte dei lavoratori di questo paese, senza contare che, ovviamente, la proposta esclude i piccoli patrimoni.

Questa è la situazione reale con cui occorre fare i conti. Nei quartierini e quartieroni popolari non ci sono furbetti.