Come lottare contro la precarietà - Falcemartello

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Tribuna congressuale - Rompere con Prodi

Come lottare contro la precarietà

La questione della frammentazione della classe lavoratrice entra spesso nel dibattito del partito. Questo congresso non fa eccezione.

Ci sono oltre 6 milioni di lavoratori precari in Italia, questo secondo molti compagni riduce la conflittualità e rende impossibile organizzare quelle lotte che in passato hanno permesso di fare grandi conquiste. Ho visto utilizzare questi argomenti sia da chi propone una linea governista, che da chi vi si oppone.

Oggi quando hai la fortuna di trovare un’occupazione ti offrono lavoro interinale, Co.Co.Co., lavoro a progetto e contratti a termine. Questo non riguarda solo i giovani, ma anche tanti lavoratori che a 40-50 anni perdono il posto di lavoro e soprattutto le donne che se hanno la “disgrazia” di avere un figlio sono escluse da ogni possibilità di trovare un’occupazione dignitosa.

Non c’è spazio per ricordare come si sia arrivato a tanto, e soprattutto le responsabilità del nostro partito, non solo per il sostegno al pacchetto Treu (che ha spianato la strada alla legge 30), ma anche per l’inerzia dei nostri dirigenti nel sindacato.

Non basta qualche roboante dichiarazione sull’importanza della lotta al precariato nei nostri convegni, se poi non si è conseguenti nelle scelte che in ogni ambito il partito si trova a fare.

La precarizzazione che si spalma sull’intera società dimostra fino a che punto il capitalismo è incapace di offrire un futuro dignitoso a milioni di lavoratori.

Questo terreno è decisivo nella lotta dei comunisti per l’egemonia.

I lavoratori precari e ipersfruttati che si rivolgono al sindacato fanno un primo passo importante, ma nella misura in cui i vertici sindacali non sono disposti a rompere le logiche concertative, tanto più in un periodo di crisi come quello attuale, non viene offerta alcuna prospettiva di lotta, al contrario il sindacato frena e contiene le mobilitazioni. Dalla mia esperienza di militanza nel Nidil-Cgil, è evidente come la categoria che dovrebbe organizzare i lavoratori precari, si adopera sistematicamente per contrattare soluzioni compatibili con le esigenze padronali anziché offrire strumenti adeguati per conquistare i diritti con la lotta.

Aldilà dell’impegno generoso profuso da singoli militanti è completamente assente un intervento continuo e coordinato del partito in questa e in altre categorie. I nostri dirigenti nel sindacato sono sempre troppo impegnati nella battaglia per conquistare posti nelle segreterie e finiscono con l’adeguarsi accettando e gestendo le politiche concertative.

Alla Conferenza nazionale di organizzazione del Nidil-Cgil dello scorso autunno i compagni della sinistra sindacale hanno sostenuto il documento conclusivo della maggioranza, un vero e proprio elogio alla concertazione e alla moderazione. Ancora una volta (come all’assemblea nazionale della Fiom) sono stati i compagni del 5° documento gli unici che si sono opposti, a tale deriva.

Mentre nel partito si avvia l’ennesima raccolta di firme, ad esempio in Lombardia sul reddito sociale e si investono le migliori energie dei compagni nell’organizzare la parata alternativa del primo maggio, la burocrazia sindacale (anche quella con tessera comunista) si preoccupa di mantenere un ferreo controllo su questi lavoratori.

Tutto questo quando c’è una grande disponibilità a lottare tra i lavoratori precari, che meriterebbe di essere organizzata. Il nostro compito di comunisti dovrebbe essere quello di partecipare in prima fila sostenendo ogni vertenza, ogni rivendicazione, anche parziale, che sorga nei luoghi di lavoro e che possa determinare un miglioramento delle condizioni di lavoro e un avanzamento della coscienza collettiva.

Dobbiamo legare la lotta per migliorare le condizioni di vita materiali, alla necessità di una radicale trasformazione del sistema economico rompendo le compatibilità capitalistiche.

Solo mostrandoci come i più determinati nella difesa dei lavoratori precari potremo aspirare in futuro a quel ricompattamento della classe di cui tanto parliamo.

Liberazione, 18 febbraio 2005