Evo Morales eletto Presidente - Falcemartello

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La nuova Bolivia necessaria

Con una suggestiva cerimonia nelle rovine di Tiwanaku Evo Morales è stato “incoronato” capo degli indios di Bolivia, prima ancora di giurare da Presidente della Repubblica davanti al Parlamento e decine di capi di stato da tutto il mondo.

La sensazione che la Bolivia stia voltando pagina per aprirsi ad una nuova epoca è tanto generalizzata quanto le attese e le speranze suscitate dal nuovo governo. E certo vedere il Presidente insieme ad alcuni dei suoi ministri giurare con il pugno sinistro chiuso e alzato, sentirlo promettere il socialismo, non può che alimentare le aspettative.

Sei anni di insurrezioni popolari ogni volta più estese e radicali, che in un crescendo inarrestabile partendo dalla proprietà delle risorse naturali, sono arrivate a mettere in discussione lo stesso potere politico nella società. Il governo di Evo Morales per i milioni di boliviani che ne hanno permesso la eccezionale vittoria rappresenta il “governo operaio e contadino” per il quale si erano spinti a lottare nell’insurrezione del giugno scorso. Le nomine di Morales in parte danno ragione a questa speranza. Tra i ministri troviamo: alla Giustizia Casimira Rodriguez, una chola fondatrice del sindacato delle lavoratrici domestiche, e essa stessa lavoratrice domestica dall’età di 8 anni; al Lavoro Santiago Alvez, operaio di fabbrica; Ministro delle miniere Walter Villaroel, minatore cooperativista, proprio per questo però, e per il suo passato nella Ucs (partito della borghesia boliviana, ndt), osteggiato dal sindacato dei minatori delle imprese statali; e in un inedito Ministero dell’Acqua, Abel Mamani, dirigente della Fejuve di El Alto. Sono tutti indios, e stupirebbe il contrario, ma più che etnie rappresentano il tributo riconosciuto da Morales alle organizzazioni sociali e sindacali che hanno mantenuto il paese nella mobilitazione perenne di questi anni.

Socialismo o “capitalismo andino”?

Per capire ora come il governo intenda rispondere alle attese bisogna rivolgersi non tanto al Presidente ma al suo vice, quell’Alvaro Garcia Linera non a caso da noi, ed in tempi non sospetti, indicato come il referente naturale della Sinistra Europea in Bolivia. In una intervista rilasciata il 7 ottobre scorso all’agenzia Bolpress, Garcia Linera, che si rivendica marxista puro, interrogato sul programma del Mas dichiarava “…la Bolivia, per le sue proprie caratteristiche come società, non può passare al socialismo senza passare prima per una tappa capitalista. Il socialismo è la maturazione estrema del capitalismo e nel nostro paese non c’è capitalismo. In Bolivia il 70% dei lavoratori della città sono di economia familiare. Non si costruisce il socialismo su questa base, ma solo sulla base di una grande industria, che è quello che non abbiamo”.

La realtà è che non esiste un capitalismo in grado di sviluppare la Bolivia. Non lo è il capitale straniero, come si è ampiamente dimostrato in questi decenni; non lo è la borghesia nazionale, la quale non a caso ha dimostrato coi fatti di preferire la distruzione del paese (sostenendo il movimento separatista della provincia di Santa Cruz) a qualsiasi convivenza con le masse in rivolta. Lo sviluppo economico può venire solo come conseguenza della presa del potere da parte dei lavoratori e dei contadini, all’interno del processo rivoluzionario continentale latinoamericano.

La situazione del paese…

Secondo le stime ufficiali della sua banca centrale, la Bolivia ha chiuso il 2004 (ultimo rilevamento completo) con un debito di poco più, si fa per dire, di 4.900 milioni di dollari, e interessi che si aggirano al 10%, cioè, complessivamente, oltre il 60% dell’intero prodotto interno lordo. Come testimoniato dall’ente finanziario nazionale questo è il peggior risultato degli ultimi 15 anni, nonostante giunga proprio dopo la cancellazione totale dei debiti contratti bilateralmente prima del 2001.

L’apparente paradosso si spiega perché ogni agevolazione sul debito è storicamente contrattata con ulteriori aperture di mercato e concessioni agli investimenti esteri: un disastro nella bilancia commerciale che mette il paese indebitato in condizione di dover ricorrere ad altri debiti per far fronte alla propria spesa corrente. Ad ogni giro poi la situazione peggiora ulteriormente, visto che per finanziare il suo deficit la Bolivia è costantemente obbligata a ricorrere alle sue riserve di valuta forte, dollari, indebolendo le proprie difese finanziarie. In questo modo l’imperialismo - con l’appoggio della borghesia locale - è arrivato a controllare non solo i proventi del gas, che rappresentano un quarto dell’intera ricchezza prodotta, e dei quali finora la Bolivia ha visto solo le briciole, ma praticamente ogni singolo aspetto della vita economica del paese, dalle banche ai servizi essenziali, perfino la gestione delle pensioni, ed è riuscito in agricoltura a introdurre la coltivazione di soia transgenica, seconda voce delle esportazioni nazionali, e a egemonizzare con brevetti biotech il mercato delle sementi dei prodotti essenziali, come il riso.

Questa è la situazione descritta ad un programma radiofonico dallo storico esponente della sinistra boliviana, e deputato del Mas, Antonio Peredo Leida: “hanno svenduto la sovranità nazionale”. Tali premesse fanno nascere più di un dubbio sugli impegni solenni che i vari governi e enti multilaterali come il Fondo monetario internazionale hanno assunto per condonare il loro credito verso la Bolivia. Comunque, con una coperta così corta il governo avrebbe bisogno di ben altre risorse per garantire almeno la pace sociale promessa, e ben altre scelte per realizzare lo sviluppo del paese contenuto nello slogan di tutte le mobilitazioni: “nacionalizar y luego industrializar”, nazionalizzare il gas per industrializzare la Bolivia. Gli stessi Morales e Garcia Linera sanno bene che per far fronte a questa situazione non basta elevare la imposizione fiscale sulle multinazionali del gas. Appena eletto Presidente, Morales è stato invitato in un viaggio tra Spagna, Francia, Sudafrica, Brasile e Argentina dal Club de Madrid, una organizzazione di ex capi di stato in pensione che ha lo scopo di “favorire il rafforzamento della democrazia” con l’aiuto di soci come Sanchez de Lozada e Tuto Quiroga, carnefici e avversari storici delle masse boliviane. Nella parte europea del suo itinerario Morales ha garantito sicurezza giuridica per gli investimenti stranieri, mentre con i governi confinanti, principali acquirenti di gas boliviano, ha cercato di ricontrattare il prezzo del gas. Per capire perché non ci sia riuscito finora basta fare un parallelo: Putin può permettersi sul prezzo del gas un braccio di ferro con l’Europa intera, mentre Morales non riesce neppure ad elevare di poco quello del gas boliviano, il più basso sul mercato, perché la oligarchia russa ha il controllo di Gazprom mentre l’intera economia boliviana dipende dal capitale straniero.

...e le contraddizioni del governo

Con queste basi ovvio che i progetti del governo si muovano costantemente sul filo di esplosive contraddizioni, che coinvolgono i suoi stessi esponenti. La prima dichiarazione dell’operaio-ministro del Lavoro è stata l’impegno ad elevare il salario minimo dai 450 bolivianos attuali (circa 40 euro) ai 1500 rivendicati dalla Cob, impegno prontamente smentito dai borghesi ministri dell’Economia e dell’Industria, i tecnici Villegas e Quintana, già a suo tempo coinvolti nelle privatizzazioni degli anni ’80 e ’90.

Anche se oggi alcune multinazionali del gas come Petrobras si dichiarano disposte a subire un incremento della pressione fiscale, che alla fine non sarà, secondo la legge attuale, superiore al 35%, il governo sa bene che questo flusso di denaro è insufficiente a sviluppare l’impresa manifatturiera necessaria anche allo sviluppo agricolo e in generale per liberare il paese dallo scambio diseguale fondato sulle materie prime, specie poi se si mantiene l’idea di finanziare la micro impresa e le sue indegne condizioni di lavoro.

Quello che sta accadendo in realtà è che, al di là delle chiacchiere, Morales con una serie di accordi sta spingendo l’economia nazionale nell’orbita di quella venezuelana. Chàvez ha già incrementato l’acquisto di soia dalla Bolivia e l’impresa petrolifera venezuelana Pdvsa ha già aperto uffici a La Paz. Ma in questo scambio vicendevole, politico ed economico - che oggi mantiene il carattere di possibile motore sia della rivoluzione boliviana che di quella venezuelana e più in generale dell’America Latina - risiedevano già a suo tempo, come da noi segnalato fin dall’inizio, molte delle possibilità di successo della rivoluzione boliviana. Da parte loro le multinazionali, l’imperialismo e la borghesia, obbligate a mantenere ora un atteggiamento più prudente dalle innumerevoli sconfitte subite in campo aperto, proveranno a disseminare l’intero cammino del governo di trappole, in primo luogo contando sull’appoggio della maggioranza di destra del Senato e dei prefetti più importanti.

Vere riforme?

Il limite della “teoria delle due fasi”, sul piano dell’analisi, è voler spiegare le ragioni del sottosviluppo del paese con il sottosviluppo (in pratica una non spiegazione), che come visto è in realtà frutto del capitalismo e delle sue leggi, che condannano la Bolivia a rimanere il paese più arretrato del sudamerica. Non capiamo allora a cosa alluda Massimo Cavallini in un articolo del 22 dicembre su Liberazione quando, appellandosi al popolo boliviano lo invoca ad abbandonare la “forza disgregatrice della demagogia rivoluzionaria” per scegliere “quella unificante delle vere riforme”. Morales a Tiwanaku ha detto di voler costruire il socialismo, affermando anche “se indietreggio spingetemi, potrò sbagliare ma non tradirò mai”. Le ambiguità in cui si arrovella già a pochi giorni dal suo insediamento il nuovo governo prova che di spinte ce ne sarà bisogno eccome. Il modo con il quale dirigenti sindacali, indigeni e deputati del Mas, hanno applaudito spellandosi le mani Chavez che esclamava “adesso è il momento: socialismo o morte!” mentre riceveva una laurea ad honorem a La Paz, dimostra una volta in più quanta forza abbia ancora il popolo boliviano per spingere il suo governo fino all’unica riforma veramente possibile per la Bolivia, l’intera America Latina e gli sfruttati di tutto il mondo: il socialismo.