La legge 194 si difende con la lotta! - Falcemartello

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La legge 194 si difende con la lotta!

La manifestazione svoltasi a Milano il 14 gennaio ha visto una partecipazione che è andata al di là delle più rosee aspettative degli organizzatori. I 150mila scesi in piazza hanno protestato contro gli attacchi di Chiesa e governo alla legge 194 e all’autodeterminazione delle donne in tema di sessualità e aborto

Molte persone hanno vissuto la manifestazione come uno spartiacque, destinata a segnare il passaggio da una fase di stasi ad una di attivismo.

La domanda che molti si sono fatti era “cosa possiamo fare affinché la voglia e la disponibilità di mobilitazione espresse oggi non vadano disperse?”. Per rispondere bisogna innanzitutto capire come si è arrivati alla manifestazione del 14 gennaio. Il “sasso nello stagno” è stato lanciato da una giornalista del Diario che in un suo articolo si era chiesta per quale motivo le donne non avessero fatto nulla di fronte alle recenti ingerenze clericali in tema di legge sull’aborto e ai tentativi del governo di rendere inapplicabile tale legge, favorendo l’ingresso del Movimento per la vita nei consultori pubblici.

Il dibattito scatenato dall’articolo ha portato alla convocazione di due affollatissime assemblee alla Camera del Lavoro di Milano e poi alla manifestazione del 14 gennaio. Questo percorso ha messo in evidenza sia i limiti che le potenzialità del neonato movimento.

In primo luogo va detto che, nonostante tutte le iniziative siano state caratterizzate da un esasperato assemblearismo le organizzatrici e la struttura che nei fatti ha gestito tutto è stata la Cgil. Questa è stata la debolezza del movimento che non è stato in grado di esprimere una direzione eletta e riconosciuta democraticamente, se non quella della Cgil che si è imposta nei fatti. Probabilmente se non ci fosse stata la Cgil, una manifestazione come quella del 14 gennaio scorsa non ci sarebbe stata. La Cgil oggi è l’unica struttura con un minimo di capacità organizzativa e di mobilitazione: non si può negare lo stato pietoso, da questo punto di vista, dei vari collettivi femminili, che pure sono presenti in modo significativo alle iniziative assembleari.

La presunta maggior democrazia del metodo spontaneo e assembleare si è rivelato per quello che è: una modalità con la quale un gruppo dirigente si impone, prende le decisione realmente importanti e le sottrae al dibattito della base.

A questo va aggiunto che la richiesta di maggiori approfondimenti di una parte consistente delle partecipanti si è tradotta in una deriva moderata.

All’ultimo incontro milanese si è deciso di dividersi in gruppi più piccoli per approfondire le tematiche della salute, del lavoro, della presenza femminile in politica e in seguito a questo approfondimento elaborare una lettera aperta al candidato premier e al candidato sindaco dell’Unione.

Quindi, come se non fossero già note le posizioni dell’Unione, si apre il dialogo con i candidati e si rimuove il conflitto.

E invece proprio di conflitto c’è bisogno: nei posti di lavoro contro i continui peggrioramenti delle condizioni di lavoro, nella Cgil contro la concertazione su flessibilità e lavoro precario, nei quartieri e sul territorio contro le chiusure dei consultori e dei poliambulatori territoriali, nelle scuole per promuovere coscienza attorno ai temi della sessualità e del diritto alla salute per tutti.

A Milano, i manifestanti protestavano anche contro il governo Berlusconi per i suoi tagli allo stato sociale e per i suoi attacchi ai lavoratori ed era evidente che non avrebbero “fatto sconti” neanche ad un futuro governo di centrosinistra. Questa radicalità non trova una risposta adeguata dalle promotrici della mobilitazione. Dichiarazioni come quelle della Ds Barbara Pollastrini “finalmente ci sentiamo meno sole nelle nostre battaglie in difesa della laicità” o quelle della segretaria Cgil della Lombardia Susanna Camusso “Non disperdiamoci, continuiamo ad usare il sito, teniamoci in contatto” fanno sorridere. In tante giunte i Ds minacciano la laicità attraverso i drastici ridimensionamenti delle attività dei consultori. A Zola Predosa vicino Bologna hanno stipulato convenzioni con il Servizio Accoglienza alla Vita (versione locale del movimento cattolico antiabortista) e solo un movimento delle donne del consultorio stesso le quali si sono rifiutate di accedervi ha costretto la regione Emilia Romagna, governata dal centrosinistra, a ritirare il provvedimento e interrompere la convenzione.

L’unica condizione affinchè questa disponibilità alla mobilitazione non si disperda non è visitare un sito, non è rallegrarci per le belle iniziative fatte, ma approfondire la nostra lotta, allargare il fronte fra le lavoratrici e sul territorio per difendere la 194, ma anche per conquistare quello stato sociale che può veramente darci dignità.

Nel 1975 l’allora governo Andreotti fu costretto a dimettersi dopo che a Roma 50mila donne manifestarono per ottenere la legalizzazione dell’aborto. Il governo cadde non tanto per il numero di manifestanti quanto per la loro coesione e determinazione. Bisogna quindi investire per garantire alle prossime mobilitazioni un programma di rivendicazioni radicali discusso e sostenuto dalle donne sui posti di lavoro, nelle scuole, nelle periferie degradate senza servizi sociali per impedire che l’attuale partecipazione venga strumentalizzata dalle “burocrazie di movimento” e prenda una deriva moderata.

Partiamo dalla difesa ed il rilancio della legge 194 (inclusa l’apertura di un consultorio ogni 20mila abitanti e il licenziamento dei medici obiettori di coscienza), l’estensione a tutte le lavoratrici delle leggi che tutelano la maternità e l’istituzione di corsi di educazione sessuale nelle scuole tenuti da personale laico.