Come ogni anno, anche questo 15 novembre, in occasione della Giornata internazionale dello studente centinaia di giovani in tutta Italia sono scesi in piazza per protestare contro un sistema economico che sempre più, specialmente in questi anni di crisi capitalistica, fa sentire la sua mortale stretta sulle classi sfruttate. Ma quale è stata la reale consistenza di questa mobilitazione della quale è, a nostro parere, doveroso fare un bilancio?
In generale, i cortei sono stati organizzati nelle maggiori città di tutta la penisola. Tuttavia, in pochi casi i partecipanti hanno superato le poche centinaia, complici anche le condizioni atmosferiche sfavorevoli, soprattutto al Nord. Eppure non è il solo motivo per il quale gli studenti non sono scesi in piazza. È evidente che non abbiamo avuto in questo autunno un’esplosione di un movimento di massa in Italia, come lo abbiamo visto invece ad esempio in Spagna, con 250mila studenti e lavoratori in marcia per le strade di Madrid, semplicemente perché non sono ancora maturate le condizioni. Ad esempio, è innegabile che quest’anno è mancato, da parte del governo, un attacco diretto al diritto allo studio, a differenza del 2008 con la riforma Gelmini o dell’anno scorso con il decreto ex-Aprea. Inoltre le organizzazioni sindacali hanno fatto di tutto per frenare ogni mobilitazione, e questo non può non avere un impatto nelle scuole. Considerati questi fattori, è naturale che le possibilità di sviluppo di una mobilitazione studentesca su vasta scala siano minori.
In questo scenario, in un momento in cui i militanti più coscienti dovrebbero dedicarsi alla costruzione di una organizzazione rivoluzionaria, le strutture che hanno promosso la manifestazione del 15 ostacolano lo sviluppo di un movimento di massa, sviluppando posizioni sempre più concertative. Lo vediamo ad esempio nel manifesto pubblicato dall’Unione degli studenti, struttura promotrice della manifestazione: questa organizzazione utilizza una fraseologia che superficialmente potrebbe sembrare di contrapposizione alle istituzioni, ma che nei fatti rivela la sua vera natura riformista. Infatti l’Uds formalmente lancia un ultimatum al governo, nel quale chiede più fondi alle scuole pubbliche, ma allo stesso tempo legittima quello stesso governo, facendolo proprio interlocutore, per il fatto stesso di avergli indirizzato un ultimatum. Questa posizione rivela quella che è sempre stata la politica dell’Uds, ossia tentare una interlocuzione con i governi borghesi del nostro paese, meglio se retti dal Partito democratico, formazione maggiormente “amica” rispetto a quelle di centrodestra. Ma se anche il governo accettasse questo ultimatum, cosa poco probabile, quale sarebbe la scuola pubblica proposta dall’Unione degli studenti? Una scuola in cui resterebbe in vigore la legge di Autonomia scolastica, secondo la quale è il preside, e non gli studenti affiancati dai lavoratori, che decide come utilizzare i fondi destinati all’istituto. Una scuola in cui i privati potrebbero concedere finanziamenti agli istituti pubblici, condizionando così l’utilizzo di quel denaro da parte del preside.
Dall’altra parte, nella variegata area dell’autonomia e dei centri sociali, seconda realtà che ha convocato questa manifestazione, vediamo emergere la stessa mancanza di prospettive. Da Torino a Napoli, da Palermo a Roma, le varie strutture autonome si sono limitate a fare grandi proclami sull’invasione delle strade e delle piazze, salvo poi far pascolare in giro per la città gli studenti, senza dargli una prospettiva e senza porre rivendicazioni politiche. La stessa retorica la vediamo utilizzata a proposito degli scontri con la polizia, visti come il momento culminante di uno scontro con le istituzioni che è decisamente muscolare e che di politico ha ben poco. Inoltre, molto spesso questi scontri vengono concordati tra gli stessi autonomi e la Questura per fare, come si dice comunemente, un po’ di scena.
Per quanto ci riguarda, non ci interessa avere come interlocutore un qualunque partito borghese. Crediamo che i nostri unici interlocutori possano essere soltanto gli studenti e i lavoratori, insieme ai quali rivendichiamo l’abolizione di tutte le controriforme dell’istruzione, compresa quella sull’autonomia scolastica. Allo stesso modo, non crediamo che l’obiettivo principale del movimento sia lo scontro fisico con le forze dell’ordine: lo scontro al quale siamo interessati è quello fra le classi. In questa fase è necessario costruire mattone dopo mattone una struttura studentesca rivoluzionaria, che porti come rivendicazioni transitorie l’immediato raddoppio dei fondi destinati all’istruzione pubblica e l’abolizione del finanziamento pubblico alle scuole private e che, allo stesso tempo, non si nasconda dietro vuote fraseologie.
In occasione della mobilitazione del 15 novembre siamo intervenuti come Sempre in lotta in tutte le città in cui siamo presenti, da Varese ad Agrigento, per portare all’interno di ogni corteo le nostre proposte rivoluzionarie. Quando finalmente un movimento di massa scoppierà anche nel nostro paese, non avrà nulla da invidiare alle mobilitazioni spagnole, francesi o greche. Noi, per quanto ci riguarda, ci faremo trovare pronti.