Il processo di smantellamento dell’istruzione pubblica è quasi giunto a conclusione. Gli ultimi tagli dei trasferimenti statali alle scuole sono stati così micidiali da introdurre quasi dappertutto l’ormai famoso contributo scolastico, un versamento che le scuole richiedono per il mantenimento dell’attività scolastica. In teoria è facoltativo, nella pratica è diventato obbligatorio poiché, senza di esso, le scuole fallirebbero.
Il contributo scolastico è andato di traverso a non pochi studenti e in molte scuole sono partite vertenze contro questo nuovo attacco al diritto allo studio!
A Crema, tutto comincia quando un’alta percentuale di studenti del liceo Racchetti decide di non pagare più i 130 euro di contributo scolastico annuale: questo accade perché le famiglie non tollerano più che una scuola pubblica e gratuita diventi a pagamento e molte di loro non possono più permettersi tali costi, sommati ai libri e ai trasporti scolastici.
L’anno successivo, quasi spontaneamente, il boicottaggio si ripete con intere classi non paganti e parte subito una campagna cittadina per dire basta ai contributi e chiedere che i finanziamenti arrivino dal Ministero e non dalle famiglie!
La principale scuola coinvolta nella campagna, oltre al Racchetti, è il Pacioli. Il Pacioli è una scuola che vive solo grazie ai privati: ogni anno il preside-manager va in cerca di finanziamenti di aziende-banche. Oltre a ciò, puntualmente, a marzo riscuote i suoi 160-190 euro di contributo per ogni studente. Con questa politica, il “buon” manager raccoglie 428mila euro contro gli appena 28mila provenienti dallo Stato.
Non appena, a gennaio, i volantini firmati Csp-Sempre in lotta Crema iniziano a inondare le scuole cremasche, il preside del Pacioli entra in agitazione. Al Consiglio d’istituto di febbraio, convocato appositamente per l’approvazione del bilancio, il “manager” inveisce contro il Csp e i rappresentanti degli studenti al grido “volete far fallire la scuola, i finanziamenti di famiglie e privati son necessari se il Ministero non manda soldi”. Alla risposta “li vada a chiedere al Ministero i soldi, avrebbe l’appoggio di tutta la scuola” rincara la dose “chi non paga è un parassita, vi taglio i servizi, farò discriminazioni nei confronti dei non paganti!”
Il preside non si ferma alle minacce verbali e inizia una politica di limitazione dei diritti democratici degli studenti. Viene inizialmente imposta all’assemblea del Comitato studentesco (rappresentanti d’istituto e rappresentanti di classe), la presenza del presidente del Consiglio d’istituto, affinché potesse controbattere alle tesi del Csp sul contributo. Quando si vede che l’imposizione non spaventa gli studenti, il preside decide di estromettere i rappresentanti d’istituto degli studenti, in modo da avere una sola posizione in assemblea: quella del preside portata avanti dal presidente del Consiglio d’istituto!
La risposta degli studenti non si fa attendere e, nel giro di poche ore, circola la voce di boicottare l’assemblea in quanto antidemocratica. Degli oltre settanta rappresentanti di classe aventi diritto a presentarsi in assemblea se ne presentano non più di sei.
La campagna dà i suoi frutti, molti studenti non pagano nonostante le minacce di impedire l’accesso ai servizi scolastici a tutti i non paganti e, nel frattempo, anche il Ministero dell’istruzione si incarica di placare i bollenti spiriti del preside del Pacioli, dichiarando illegittima qualsiasi discriminazione venga compiuta sulla scorta della battaglia sui contributi. I dati ufficiali non ci sono in quanto la segreteria scolastica al momento non li fornisce, ma la cosa certa è una: la logica dei privati dentro le scuole non deve passare.
Le scuole non sono aziende, i finanziamenti privati devono uscire dalle scuole, l’istruzione deve tornare a essere finanziata dallo Stato.