Ancora una volta profitti privati e perdite pubbliche
Uno, nessuno e centomila: prendiamo a prestito il titolo di un'opera di Pirandello in riferimento alla vicenda Monte dei Paschi di Siena. Pirandello in fondo criticava le apparenze, nutrendo però una profonda sfiducia nella possibilità di conoscere la sostanza della realtà.
Non condividiamo tale sfiducia, ma va detto che si applicherebbe perfettamente al bilancio del Monte dei Paschi (Mps), così come a quello del resto della finanza internazionale. Sono contesti dove l'apparenza è sostanza e la sostanza è solo apparenza. Un castello di carta, di prodotti finanziari derivati da altri prodotti finanziari, di minusvalenze trasformate in plusvalenze, di crediti venduti per debiti, di interessi spacciati per capitali: questo è il macigno che l'intero mondo capitalista ha sollevato sulle nostre teste.
E allora a Siena non c'è nessuno scandalo. Ciò che succede al Monte dei Paschi è perfettamente in linea con la traiettoria del capitalismo internazionale. Mps ha giocato con i derivati, investito in operazioni finanziarie, speculato su titoli di Stato, alla pari di qualsiasi altro istituto bancario. Lo ammette anche il Sole 24 Ore (3 febbraio):
“Il caso del Monte dei Paschi di Siena (..) ha distolto completamente l'attenzione dal vero problema da cui ha origine, cioè la crisi del capitalismo finanziario, preferendosi discettare su questioni certamente connesse, ma non essenziali, e a volte marginali”.
In questo senso Mps è solo una delle tante manifestazioni della crisi strutturale del sistema. Si aggiunge alla lista dei crolli e dei crack alla pari di Lehman Brothers, Dexia, Northern Rock ecc. Lo scandalo è uno: il capitalismo. E contemporaneamente sono centomila, perché ogni singolo crollo getta luce sul funzionamento concreto del sistema, sui suoi uomini, i loro intrecci, sugli ingranaggi che formano la macchina capitalista.
Mps viene travolta dal mercato dei derivati, prodotti finanziari basati su altri prodotti finanziari. Ma il mercato dei derivati non esiste per logica propria. È l'ultimo prodotto, inevitabile, del tentativo del mercato di fare denaro dal denaro per sfuggire alle proprie contraddizioni interne. Così la ricostruzione della vicenda Mps non ci appare altro che l'evoluzione sulle proprie stesse basi di questa logica stringente. Un'operazione finanziaria ne prepara un'altra, una nuova scommessa serve a rimediare a quella precedente. E sarebbe vano cercare di capire quando tutto ha inizio. Nel caso di Mps, in un certo senso, tutto ha inizio con la fondazione della Banca, nel 1472, perché l'evoluzione del Monte altro non è che l'approdo finale del sistema bancario capitalista: nato per accumulare denaro da trasformare in capitale, finito per fare capitale giocando con il denaro.
Ma limitiamoci, ovviamente, a prendere in considerazione solo gli ultimi 12 anni.
2001 - Si sgonfia la bolla dot.com legata ai titoli della cosiddetta new economy. Il titolo di Mps tocca il massimo storico di 5,3 euro nel 2000 ed è a 1,77 euro nel 2002. Gli utili scendono calano da 960 milioni nel 2000, a 613 nel 2001, a 599 nel 2002. Dalla crisi emerge un nuova tendenza al monopolio e alle fusioni bancarie: Mps non si può sottrarre.
2002 - acquisizione della Banca 121, del Salento, da parte di Mps. Si tratta di una delle prime “virtual bank” italiane, con prodotti finanziari dai titoli accattivanti come My Way. Dal punto di vista politico è la corrente D'Alema nei Ds a beneficiarne. De Bustis, direttore della Banca 121, entra nella direzione di Mps. A fine 2006, emergono dubbi e contenziosi legali sull'intera operazione: ballano 500 milioni di oneri aggiuntivi. I piani finanziari di Banca 121 “My Way e 4 You, presentati come piani di accumulo” si rivelano “mutui che fecero perdere circa 2 miliardi di euro a 170mila risparmiatori”. (Il Sole 24 ore, 3 febbraio).
2003 - Per coprire i buchi della bolla dot.com e dell'acquisizione di Banca 121, si passa ai prodotti derivati. Ne vengono sottoscritti inizialmente con Credit Suisse e Lehman Brothers. È l'operazione Fresh 2003 che nel 2011, dopo il crack Lehman, viene chiusa con una perdita dell'83% sul valore iniziale.
2006 - Operazione Nota Italia; una partita di giro con società fittizie controllate da Jp Morgan che permettono di effettuare extra-guadagni speculando su titoli di Stato Italiani e sulle loro polizze assicurative (Cds).
2007-2008 - Le crepe sempre più vistose del sistema bancario portano a un nuovo giro di fusioni: Unicredit con Capitalia, Banca Intesa con San Paolo. Per attestarsi come terzo polo bancario nazionale, Mps deve mirare a Antonveneta, evitando che la acquistino i francesi di Bnp Baripas. Una partita in cui entra anche Deutsche Bank, basandosi su Mps. Nel frattempo si inizia a sviluppare il caso Lehman e nell'affare Antonveneta si deve cercare di far rientrare tutto: derivati, ricapitalizzazione fittizia del Monte dei Paschi e anche un lauto giro di tangenti. Così l'operazione assume un'esuberanza inspiegabile: il Banco de Santander ha acquistato Antonveneta nel 2007 per 6,6 miliardi. Nel 2008 Mps lo rileva per una spesa complessiva di oltre 10 miliardi, pagandolo tra l'altro in contanti. L'operazione è in verità un pagamento indiretto a Jp Morgan, visto che i capitali vengono rastrellati con una nuova operazione “Fresh” di derivati con la copertura della stessa Jp Morgan. Mps si ricapitalizza in maniera fittizia: iscrive a bilancio 800 milioni di euro di beni intangibili, che dice di aver scoperto nella “pancia” di Antonveneta. In realtà quest'ultima porta in dote crediti a rischio per 1,3 miliardi di euro.
Il crack finanziario, l'allargarsi dello spread e la svalutazione dei titoli di Stato italiani – che Mps possiede per un totale di 30 miliardi – portano a operazioni speculative sempre più audaci e “occulte”: a) operazione Santorini; una partita di giro con società fittizie controllate da Deutsche Bank, con una perdita finale di 224 milioni. Come amministratore di Deutche Bank Italia ritroviamo una vecchia conoscenza senese: De Bustis. b) operazione Alexandria; una partita di giro di prodotti finanziari con la banca nipponica Nomura che permette di truccare i conti reali di Mps a copertura di un buco nei conti di 700 milioni. Nel frattempo Mussari, direttore di Mps è stato eletto a presidente dell'Abi, Associazione Bancaria Italiana.
Nazionalizzazione delle perdite o del sistema bancario?
Il bisogno di Mps di ingrandirsi non risponde a cattive scelte di management, ma al meccanismo - spiegato da Marx - implicito nel funzionamento del mercato: dalla concorrenza tra capitali, si sviluppano i grandi monopoli capitalistici. I grandi monopoli non azzerano la concorrenza ma la portano a un livello superiore, potenzialmente devastante per l'intera società. Le vicende dei grandi gruppi privati hanno cessato da tempo di essere “private”. Sciacalli, affaristi, come Mussari o Profumo, si trovano alla guida di colossi in grado di travolgere Stati:
“Nei Paesi dell'Unione gli attivi delle prime due banche valgono più del PIL. Un multiplo in parecchi casi. Si va dal top della Svizzera dove Ubs e Credit Suisse contano 4,7 volte il prodotto interno lordo elvetico, al 'minimo' rappresentato dall'Italia dove il totale dell'attivo di Unicredit e Intesa-Sanpaolo vale più o meno quanto il PIL della Penisola. In mezzo ci sono Paesi piccoli come l'Olanda che vede le prime due banche pesare 3,2 volte il prodotto nazionale e Paesi più grandi – come Francia e Regno unito – dove la coppia dei maggiori istituti vale circa il doppio del PIL. Comunque un'enormità.
Tutto bene, se le banche sono 'tranquille'. Ma se invece in pancia hanno qualche elemento di rischio in più, allora la cosa è diversa. Per esempio, dovessero girare storti i derivati nei portafogli delle due big elvetiche si rischierebbe di bruciare un anno di ricchezza nazionale. Ma anche la Germania, che è vicina ai numeri dell'Italia, ha una componente relativamente alta di derivati - per le prime due banche pari al 31,5% del PIL - poco sotto il 40,3% della Gran Bretagna. Oltretutto il contesto del settore è ancora incerto”. (Il Sole 24 ore, 17 giugno 2011).
Si guardi solo alla vicenda di Mps. Le avventure finanziarie della “Banda del 5%” – così erano definiti i dirigenti del Monte – avrà una ricaduta sulla vita di migliaia di persone. Non si tratta solo dei risparmiatori, in alcuni casi piccoli e piccolissimi, che vedono bruciati magari i sacrifici di una vita. Si tratta dei 30mila lavoratori di Mps o i dipendenti delle aziende ad esso collegate (Unicoop e Menarini su tutte). Ma non è di certo per salvaguardare quest'ultimi che oggi lo Stato sta regalando soldi a Mps.
L'intervento pubblico per salvare le Banche in difficoltà è un'ammissione indiretta da parte dello stesso sistema di non essere in grado di amministrare le forze economiche da esso sprigionate. Ma qua ci si ferma. Perché il tipo di nazionalizzazioni di cui stiamo parlando rappresentano la pura socializzazione delle perdite a salvaguardia dei profitti privati.
Dal 2007 sono state salvate o aiutate in Europa 437 Banche per un totale di 2696 miliardi di euro di contributi pubblici. L'ultima in ordine cronologico è stata l'olandese Sns Reaal: “gruppo bancario-assicurativo olandese con rilevanza sistemica, (…) nazionalizzato ieri dal governo locale. Il costo per le casse statali? 3,7 miliardi di euro in termini di ricapitalizzazione, cui si aggiungeranno crediti e garanzie per altri 6,1 miliardi di euro” (Il Sole 24 ore, 2 febbraio 2013). L'Italia ha dato finora 123 miliardi di contributi al sistema bancario. Naturalmente questo non coincide in nessun modo con un reale aumento delle leve economiche in mano allo Stato. Tutto al contrario. Quest'ultimo incamera semplicemente il debito dei grandi gruppi bancari ai quali continua peraltro a pagare lauti interessi sui titoli di Stato posseduti dalle Banche stesse.
Lo stesso Monte dei Paschi di Siena ha ricevuto una forma di contributo statale mascherato dalla cosiddetta emissione dei Monti Bond, i quali si vanno a sommare ai precedenti Tremonti Bond, fino a un totale di 4,5 miliardi di euro di aiuti statali indiretti a Mps. I Monti Bond sono la codificazione più estrema del meccanismo della socializzazione delle perdite: si tratta di titoli perpetui emessi da Mps e sottoscritti dallo Stato. In caso Mps non riesca a ripagarli con i propri utili, può farlo con delle azioni al prezzo di mercato determinando un'entrata di fatto dello Stato in Mps. In pratica Mps è libera di fare utili privati con soldi pubblici, o viceversa di rendere lo Stato socio delle proprie perdite. Della serie: se vinco, vinco io con i tuoi soldi. Se perdo, perdi i tuoi soldi. Per questo i Monti Bond sono “potenzialmente in grado di trasformarsi nella nazionalizzazione del terzo gruppo bancario del paese”. (Il Sole 24 ore, 5 febbraio 2013).
Le nazionalizzazioni che rivendichiamo come comunisti rispondono alla logica esattamente opposta. Devono permettere la totale apertura dei libri contabili, l'accertamento delle responsabilità e dei buchi creati dai privati, senza alcun onere per lo Stato se non quelli legati all'indennizzo dei piccoli risparmiatori, e il controllo pubblico sulla leva del credito a fini di pubblica utilità.
Il sistema Toscana e l'utile bipolarismo
Come già detto, la crisi Mps non è altro che una manifestazione particolare della crisi generale del capitalismo. In clima di “voto utile”, ha tuttavia un certo interesse soffermarsi anche sul sistema particolare scoperchiato dalla vicenda. Il socio di maggioranza assoluta di Mps era fino a poco tempo fa la Fondazione Mps, controllata da Comune, Provincia e Regione. A fine 2007 la Fondazione aveva iscritto a bilancio attivi per 6,4 miliardi. Alla fine del 2011 erano svalutati del 59%, a 2,6 miliardi mentre oggi l'Ente ha debiti finanziari per 350 milioni. Si tratta di quasi 4 miliardi bruciati in un anno.
In 10 anni la Fondazione ha incassato dividendi dalla Banca per circa 2 miliardi di euro, metà dei quali sono stati usati per sostenere un vero e proprio blocco di potere fatto di 34 aziende controllate integralmente e 60 partecipate per un totale di 100 consigli di amministrazione.
Una pioggia di soldi pari a un sesto del PIL dell'intera provincia senese che non poteva non avere effetti anche sulle direzioni sindacali, alimentando la leggenda di un welfare bilaterale sostenuto dalla Fondazione stessa. Scalare il sindacato a Siena equivaleva alla certezza di finire a guidare un asset della Banca. L'ex segretario generale della Cgil Vigni è oggi vicepresidente di Mps Capital Service. Un altro ex segretario Cgil, Borghi, siede direttamente nel Cda del Monte dei Paschi di Siena e in quello di altre quattro controllate. Non c'è da stupirsi, poi, che oltre alla Fondazione, siano soci di Mps l'Unicoop Firenze e la famiglia Aleotti, proprietaria del gruppo farmaceutico Menarini, fortemente legato al settore sanitario che ha fatto la fortuna di tanti assessori sul nostro territorio.
Il Pd è ovviamente il gran mattatore della situazione. Basta considerare che Mussari, l'ex presidente di Mps, ha versato in 10 anni contributi leciti al Pd per un valore di 700mila euro. Ma il Pd non è l'unico beneficiario. Tutto è spartito in un solido equilibrio con il Pdl, il quale si guarda bene dal mettere in discussione l'equilibrio elettorale nella regione.
Mussari aveva una linea diretta con l'ex coordinatore nazionale Pdl Denis Verdini, il quale a sua volta chiedeva al Monte dei Paschi di Siena aiuti per la Btp, l'azienda costruttrice Baldassini Tognozzi Pontello, recentemente fallita. Chiunque abbia mai girato Firenze negli ultimi anni non può non aver notato il marchio Btp sui diversi cantieri aperti in città. Come dichiara oggi Donzelli, consigliere regionale Pdl passato a Fratelli d'Italia: “Quello tra Pd e Pdl è un accordo di potere. Mi ricordo la sorpresa quando seppi che la Btp era finanziata dalla banca di Verdini. La Btp a Firenze faceva una marea di lavori per conto dell'amministrazione a guida Pd”. Probabilmente è l'unica cosa vera mai detta da questo fascistello in carriera.
Non è un caso del resto che il Credito Cooperativo Fiorentino di Verdini abbia sede a Campi Bisenzio, roccaforte Pd. Né lo è che questo “utile” bipolarismo trovi spesso un terreno di trattativa direttamente nelle sedi massoniche. La massoneria è da sempre l'organizzazione tipica del notabilato toscano. Non c'è da stupirsi quindi che il consulente legale del Monte nel periodo delle operazioni più avventate fosse il maestro del Grande Oriente d'Italia Raffi, che il direttore del Corriere di Siena sia un massone, e che lo sia anche il presidente della società per l'aeroporto di Ampugnano in provincia di Siena del quale il Pd ha sempre voluto l'ampliamento.
Aeroporto di Ampugnano che è finito in mezzo agli scandali giudiziari, alla pari del Monte dei Paschi. Scandali giudiziari che direttamente o indirettamente hanno colpito anche i lavori per il sotto attraversamento Tav a Firenze, la società che doveva realizzare il rigassificatore a Livorno, il progetto per l'autostrada Prato-Lastra a Signa ecc. ecc.: tutti progetti voluti dal Pd, avallati dal Pdl e passati sotto il silenzio dei vertici sindacali. È il centrosinistra, è il modello toscano.
Naturalmente ora si sprecano le richieste di controlli e di regole certe, gli atti di accusa verso questo o quell'amministratore. Ma il marciume che abbiamo descritto non deriva dalla “casta”, così come sostenuto dal signor Grillo, socio di Mps. Deriva dall'intero sistema capitalista e dalla classe che ci domina. E non sarà qualche buon amministratore a porvi fine, ma l'intero rovesciamento dei rapporti di produzione esistenti. Che è l'unica cosa, poi, degna di essere chiamata rivoluzione.