Dopo numerosi scandali, da vacanze e yacht pagati ad infiltrazioni camorristiche, la Regione Lombardia è tornata al voto per scegliere il nuovo presidente ed il nuovo consiglio regionale. Ancora una volta, e con gran sorpresa di molti, a vincere la disfida è stato il centrodestra ed il candidato leghista Maroni. Dopo quasi un ventennoio di regno formigoniano (spalleggiato dalla Lega), tutti si aspettavano il ribaltone alla guida della regione: come è possibile che questo non sia avvenuto?
La Lega Nord, data sul piano nazionale ormai in caduta libera di consensi, e travagliata dai dissidi interni dopo le vicissitudini di Bossi e del suo “cerchio magico”, era alla battaglia della sua vita, perdere avrebbe voluto dire un lento vaporizzarsi del movimento leghista. Per vincere in Lombardia, Maroni ha rinunciato alla propria indipendenza alleandosi col PdL a livello nazionale ma incassandone l’appoggio a livello lombardo. Questo ha significato il ritiro immediato dell’appoggio del PdL all’ex Albertini e ottenere il supporto incondizionato di CL e Compagnia delle Opere in Lombardia (che rappresenta ancora un consistente numero di voti (come si vede dal risultato nazionale).
La Lega Nord ha impostato la campagna elettorale con lo slogan: “il 75% di tasse rimanga in Lombardia” oppure “la Lombardia in testa” (compattando il popolo leghista), concentrandosi nella critica al governo nazionale uscente e all’austerità imposta dall’Europa. Aveva dalla sua parte un anno d’opposizione da destra al governo dei tecnici.
Tutto questo basta a spiegare la vittoria leghista? O, ancor meglio, bisognerebbe domandarsi: tutto questo spiega la sconfitta del centrosinistra?
Per la prima volta in Lombardia il centrosinistra (con Ambrosoli candidato presidente), aveva tutte le possibilità di vincere e, rispetto alle volte precedenti, c’è andato vicino. Maroni ha ottenuto il 42,81 % di voti contro il 38,24% di Ambrosoli, non una debacle come nelle scorse elezioni (dove poco ci mancava che il “re azzurro” Formigoni avesse ogni volta quasi doppiato il suo sfidante, 56,10% contro il 33,27% nel 2010).
A nulla è servita anche la discesa in campo dell’intera CGIL a sostegno di Ambrosoli.
L’insuccesso del centrosinistra è dovuto principalmente al non aver rappresentato una reale alternativa al sistema formigoniano. Anzi, non erano molte le differenze fra il centrodestra ed il centrosinistra. Ambrosoli non si è mai schierato in maniera chiara e decisa contro il finanziamento alle scuole private o al ricorso alla sanità privata. Favorevole all’EXPO milanese, e alla cementificazione che ne deriva, mai si è schierato per fermare i cantieri della TEM o della Brebemi.
Anche la battaglia sull’onestà, portata avanti da Ambrosoli, è naufragata quando tutti i consiglieri regionali del centrosinistra sono stati inquisiti per l’utilizzo dei rimborsi spese. E già prima, più di un esponente del PD era stato coinvolto in scandali, ne è l’esempio Penati ex-candidato alla regione. Il candidato presidente Ambrosoli non rappresenta certo la rottura con il sistema di poteri forti, nè tantomeno con le politiche del governo Monti e dell’Europa.
Ambrosoli, di fatto era il candidato dei salotti buoni milanesi, poco conosciuto al di fuori di quelle cerchie ristrette e non certo l’espressione di lavoratori e disoccupati che, ogni giorno, in Lombardia fanno i conti con una crisi economica galoppante. Più di una volta ha strizzato l’occhio al centro, più di una volta ha fatto finta di non conoscere le liste di sinistra che lo sostenevano.
Le liste di sinistra sono state le vere sconfitte di questa tornata elettorale, nessuna di essa ha ottenuto un consigliere regionale.
Se SEL conferma i voti delle scorse elezioni, l’IDV, che a livello regionale correva con una propria lista nella alleanza del centrosinistra, quasi sparisce con lo 0,64% (ben lontano dal 6,84% del 2010).
E il PRC?
Rifondazione a dicembre ha abbracciato in una stretta mortale il centrosinistra, partecipando alle primarie regionali, sostenendo il candidato Di Stefano. In un secondo momento ha continuato nell’alleanza dando vita alla lista Etico a Sinistra, proponendo nelle più grandi provincie come capolista Di Stefano. E’ stata una vera mazzata per il partito, che ha ottenuto solo lo 0.96% contro il 2,2% delle scorse elezioni quando correva in autonomia con candidato Agnoletto.
La scelta di alleanza col centrosinistra si è pagata a caro prezzo, difficile ed imbarazzante spiegare le scelte fatte in regione Lombardia, di segno contrario a quelle nazionali.
Ancor di più, ha pesato aver optato per dar vita ad una lista con un simbolo che nulla ricordava quello del partito (anzi, si sono dovuti stampare manifesti e volantini col simbolo della lista e quello del partito sottolineando che “Rifondazione c’è”). Peccheremmo di superficialità se la colpa della sonora sconfitta l’attribuissimo solo al simbolo; Etico a Sinistra era un progetto col fiato molto corto, si è pensato di unire società civile e partito, col ritrovare poi spesso solo i compagni di Rifondazione a fare campagna elettorale.
Inoltre veniva promosso un programma non certamente comunista e intriso di idee keynesiane, come il rilancio dell’industria privata con soldi pubblici. Non certo un programma che ha scaldato i cuori di giovani, lavoratori nè tantomeno in grado di avvicinare tutti quei settori che giorno dopo giorno conducono, fabbrica per fabbrica, le lotte in Lombardia.
Per il PRC, le elezioni lombarde potevano essere un trampolino di rilancio, ma l’alleanza col centrosinistra e la lista Etico a Sinistra sono state l’ostacolo per intercettare la volontà di cambiamento dei lombardi. Questi hanno preferito votare il Movimento 5 Stelle, che è cresciuto di quasi il 10% (proponendo un programma piccolo borghese ma di rottura col passato: dal cancellare il finanziamento alle scuole private al limitare il consumo di nuovo suolo ed inoltre la candidata alla presidenza si è espressa più volte conto la realizzazione dell’expo).
Rifondazione avrebbe dovuto lavorare prima per avere un proprio programma, ed un proprio candidato autonomo dal centrosinistra. Con una candidatura indipendente alle strane alchimie elettorali, sicuramente sarebbe stata in grado di intercettare il desiderio di cambiamento che molti lombardi non hanno trovato sulla scheda elettorale nella sinistra.
Nonostante il mal di pancia di molti compagni, il post elezionil ha lasciato tutto intatto nel Prc a livello Lombardo, le dimissioni della segreteria sono state respinte ed il comitato politico regionale ha approvato un ordine del giorno in cui ci si assolveva per le scelte fatte.
Serve molto altro per far crescere una vera opposizione al sistema lombardo. Bisogna saper essere interpreti e condividere le lotte che molti lavoratori in Lombardia stanno facendo per difendere il proprio posto di lavoro. Bisogna aver la consapevolezza di dover far crescere e nascere un movimento d’opposizione che formerà poi quel partito che difenda la classe senza se e senza ma.
Solo in questo modo la sorte, quasi ormai segnata del PRC, potrà cambiare.
Noi siamo e saremo sempre sulle barricate di questa lotta.