La vera verità invece la sappiamo bene: nel 2008 c’è stato un calo del 10% delle violenze sessuali sulle donne rispetto al 2007. Anche se il 2007 ha visto una crescita rispetto all’anno precedente e i dati parziali del 2009 pure sembrano indicare un aumento delle violenze. In realtà considerando un periodo più ampio vediamo che le statistiche sulle violenze mostrano una certa stabilità. Una stabilità per nulla rassicurante, visto che, secondo i rilevamenti dell’Istat nel 2007 le donne vittima di violenze ammontavano a 1 milione e 150mila e rappresentano il 24% delle donne fra i 16 e i 44 anni.
Così come è stabile il fatto che il 60% delle violenze sessuali sono commesse da italiani e solo il 7,8% da romeni, in questi giorni su tutti i giornali considerati gli stupratori delle nostre donne.
Altra stabile verità è che il 97% delle violenze avvengono entro le mura domestiche e che il 69,7% degli stupri sono opera del partner, il 17,4% di un conoscente e solo il 6,2% opera di estranei.
La recente legislazione anti stupro che istituisce le ronde di privati cittadini coordinati dalle prefetture, come si può ben capire, è del tutto fuori bersaglio rispetto al problema della violenza sulle donne.
L’obiettivo di questa campagna è quello di immergere la società nella paura, nel puro individualismo come unico modello possibile per risolvere i problemi. Se la polizia e la magistratura non sono sufficienti a riportare l’ordine, che ci pensino i cittadini di buona volontà, ancora meglio che questi siano i ragazzetti di Forza Nuova o di Borghezio, che al grido di “dio, patria e famiglia” faranno della paura e dell’“ognuno in casa propria” il modello del vivere quotidiano.
D’altra parte la crisi economica, sociale e politica è talmente profonda, che il governo e chi domina la società non può non avvertire la paura della sua fine e irradia la società di una ideologia aberrante e oscurantista, contro chiunque sia “diverso”, contro gli immigrati e ahimè anche contro le donne, nonostante il governativo “difendiamo le nostre”.
Bisogna tuttavia fare i conti con la lotta di classe. Chi, come la classe lavoratrice, gli studenti, le donne, gli immigrati vede annientato ogni più semplice diritto (da quello di sciopero, a quello di poter uscire la sera) non può stare in casa e nonostante i desideri più truculenti dei nostri governanti, uscirà nelle piazze a lottare per dare proprie soluzioni ai problemi della società.
Ma torniamo alla violenza sulle donne, fatto drammaticamente reale e segnale del livello di sviluppo, o sarebbe meglio dire di sottosviluppo della nostra società. Uno studio recente dell’inglese Joanna Bourke, sulla storia della violenza sessuale mostra il legame diretto fra condizione della donna e condizione dello sviluppo sociale, le società più sviluppate, dove esiste una maggiore indipendenza economica e inserimento nella vita sociale delle donne, minore è la violenza su di loro. Viceversa condizioni economiche sociali avverse, vedono le donne, come le prime vittime: esempi fra i più clamorosi, le violenze sessuale durante le guerre, di ogni epoca e paese.
Già Fourier, nel lontano 1808, disse che “i progressi sociali si misurano in ragione del progresso della donna verso la libertà”.
Ricordiamo che è solo dal 1996 che la violenza sessuale è un reato contro la persona e non più contro la moralità pubblica. Ancora oggi la maggioranza delle donne che subiscono violenze, lo considerano normale. Il 97% dei casi di violenze non viene denunciato in parte per la paura, ma molto più spesso perchè le donne sono accondiscendenti verso i “problemi” del loro compagno e subiscono in silenzio.
Dunque, qual è il vero problema? Perché esiste la violenza sulle donne?
Non è questa la sede per scomodare studi antropologici sulle origini dell’oppressione femminile, va detto però che da quando esiste il capitalismo la natura di questa oppressione è cambiata. La ricchezza della società si basa sullo sfruttamento del lavoro salariato e il lavoro di cura non pagato delle donne è essenziale per garantire al capitale le “risorse umane” di questo lavoro salariato. Il loro ruolo principale è la cura, l’accudimento del compagno o marito, dei figli, dei genitori anziani, ecc. poi, in seconda battuta, hanno anche accesso al lavoro salariato. Appartenendo a quello che Marx chiamava esercito di riserva della forza lavoro, le donne entrano nel mondo del lavoro salariato in condizione subalterna, le condizioni di lavoro e salario sono peggiori, spesso molto peggiori, a tutto vantaggio dei padroni. Non a caso il 60% del lavoro precario è femminile.
Ma come è possibile perpetuare una condizione di subalternità di tale dimensione, spesso vicina alla condizione di schiavitù (di altro non si può parlare per quella gran parte di donne che dipende economicamente dal proprio marito e dalla propria convivenza familiare, costrette a subire ogni sopruso)?
È possibile solo grazie all’ideologia del capitale che ha “felicemente” fecondato quella patriarcale. Il punto è che le donne sono essenziali alla riproduzione della forza-lavoro e a garantire la stabilità dell’impalcatura sociale dello sfruttamento capitalista, quindi devono sgobbare gratis e molto. A questo scopo le donne devono essere bellissime, per loro ci sono i vestiti più avvenenti, i profumi più inebrianti, per non parlare dei reggiseni che troneggiano su tutti i cartelloni pubblicitari delle nostre città. C’è un modello adeguato per ogni tipo caratteriale: la chiesa copre il modello “angelo” e la moda aggressiva degli ultimi tempi quello delle cosiddette “bambine cattive che vanno dappertutto”, come diceva lo slogan femminista degli anni ’70. Sì perché l’ideologia del capitale non si ferma davanti a nulla, si può sterilizzare anche lo spirito più ribelle se lo si trasforma in un bel paio di pantaloni. D’altra parte i vestiti bisogna pur comprarli.
L’ideologia dominante ci vuole belle e piacevoli, perché la bellezza è ambita e desiderata, ma improduttiva e chi non è utile a sviluppare la società svolge un ruolo solo di servizio inessenziale. Il lavoro di cura non esiste, ci sono pubblicità di prodotti per la pulizia per la casa dove fanno tutto i prodotti e la donna ride felice. Ma quando mai?
Il modello della donna indipendente e autonoma corrisponde generalmente o alla cosiddetta “zia zitella” o alla donna sola, magari in carriera, ma decisamente senza affetti, modelli non particolarmente attrattivi. Questo per dire che per tenere le donne schiave del loro ruolo subalterno l’ideologia capitalista è pervasiva, entra ovunque, per costringere le donne, nella solitudine della vita privata ad accettare l’ineluttabilità della propria condizione, anzi molte di loro stesse pensano di essere incapaci, inutili e che al massimo possono dedicarsi alla famiglia. Potremmo elencare infiniti esempi sui modelli ideali promossi dal capitale, e non si pensi che siano elementi marginali nella lotta del capitale nello sfruttamento del lavoro. Più la capacità di reagire della classe operaia si fa debole, più la parte femminile della classe è assente dal conflitto e più l’ideologia dominante penetra e produce i suoi effetti devastanti.
Gli uomini opprimono le donne e spesso le violentano perché considerano di poter esercitare un diritto di proprietà su di loro. Questo diritto patriarcale si basa sulla falsa ideologia borghese. Alle donne tocca la responsabilità di ribellarsi a questa oppressione, rivendicando la propria autonomia dalla famiglia, il diritto al lavoro dignitoso, alla parità salariale, ai servizi sociali e sanitari garantiti per tutti.
Abbiamo una ragione in più per allargare il conflitto sociale, per difendere i diritti degli individui, contro i diritti familiari, per difendere l’autonomia economica e psicologica delle donne: vincere la nostra lotta contro il capitale ed emancipare gli uomini dalla vile condizione di oppressori.