Un saccheggio inarrestabile
Il dibattito suscitato dal movimento di Seattle sui temi della globalizzazione e dello sviluppo economico più in generale ha riportato l’interesse sul tema del debito dei paesi del terzo mondo. E’ indubbio che la cancellazione del debito dei paesi poveri rappresenterebbe un sollievo per i popoli di questi paesi. Poco però si dice sulle cause di questa piaga
Dopo la seconda guerra mondiale fu il movimento delle masse dei paesi poveri dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina a porre fine al dominio militare diretto delle potenze imperialiste (europee in testa) le quali sono dovute ricorrere ad un raffinato quanto infame dominio indiretto, attraverso il debito ed i meccanismi stessi del funzionamento del mercato mondiale. Dalla seconda metà degli anni ’60 in poi i paesi ricchi hanno promosso una politica di prestiti verso i paesi ex-coloniali dove, tra l’altro, una delle condizioni per la concessioni dei prestiti era l’acquisto di prodotti e tecnologie industriali degli stessi paesi prestatori. Ad esempio l’Italia prestò denaro ai paesi africani in cambio dell’acquisto di materiale per la produzione agricola della Fiat: non erano certo spinte dai buoni sentimenti le potenze mondiali che "prestarono" denaro.
Gli aiuti sono sempre stati dirottati verso quelle economie ritenute non "più bisognose", ma più utili al mercato dell’occidente, per lo sfruttamento delle loro materie prime o per interessi geopolitici: il 40% più "ricco" del terzo mondo ha ricevuto il doppio degli aiuti rispetto al 40% più povero. Ad esempio gli investimenti in Africa sono finiti per il 32% alla sola Nigeria, ovvero uno dei principali produttori di petrolio.
Una serie di fattori tra i quali il calo delle materie prime, l’aumento del costo dei prodotti industriali e l’apprezzamento del dollaro sui mercati finanziari mondiali hanno portato all’attuale insostenibile situazione per questi paesi.
La generosità della Banca Mondiale
Non è ora per improvvisa intenzione caritevole verso le popolazioni ridotte alla fame da questo meccanismo che oggi le istituzioni che muovono le fila dell’economia mondiale lanciano proclami e campagne per la cancellazione di parte di questo debito: si rendono semplicemente conto che parte di questo non potrà più essere ripagato. Nel 1998 per ogni dollaro di debito contratto originariamente, i paesi poveri ne dovevano ripagare 13 e, nonostante negli ultimi anni sia diminuito il prestito concesso a questi paesi in quanto la presenza di quote arretrate di debito verso la Banca Mondiale o Fondo Monetario Internazionale sono una barriera invalicabile verso nuovi finanziamenti, il debito ha continuato a crescere in modo esponenziale. La stragrande maggioranza del debito deriva dagli interessi sul debito stesso, non si tratterebbe quindi di concedere qualcosa in più a questi paesi, semmai di rinunciare ad accumulare una parte di credito del tutto fittizio. Il debito estero dei paesi poveri era nel 1980 pari a 575 miliardi di dollari e nel giro di 10 anni è più che raddoppiato arrivando alla cifra di 1.319 miliardi di dollari! Nel 2000 il debito aveva già superato la cifra dei 2.100 miliardi di dollari ed in questo ultimo dato non è considerato il debito dei paesi dell’est europeo. La rinegoziazione del debito, la sua riscadenziazione o anche una piccola cancellazione del debito stesso servono esclusivamente per la perpetuazione del meccanismo bastardo della continua rincorsa al pagamento degli interessi sui debiti concessi.
La cancellazione proposta già dal ’96 da G7 e Banca mondiale (Bm) riguarda una fetta sottilissima del debito totale; la cancellazione del 90% del debito dei paesi poveri più indebitati (Hipc – Highly indebted poor countries) proposta da Bm & Co. vorrebbe dire la cancellazione del solo 1% del debito estero globale!
Per rientrare in questo programma, inoltre, viene richiesta la svendita totale della propria economia e la più completa capitolazione di fronte agli interessi delle multinazionali straniere, viene imposto di rispettare tutta una serie di "raccomandazioni" del Fmi (dette Piano di aggiustamento strutturale) quali la privatizzazione dei servizi pubblici, l’abbattimento delle barriere doganali e l’abbandono delle politiche di sovvenzioni all’agricoltura ed alla produzione locale, ecc. Queste "classiche" ricette del Fmi sono quelle che hanno portato alla privatizzazione in Ruanda di imprese statali come la Electrogaz o la Rwandatel, a un piano massiccio di licenziamento dei dipendenti pubblici, alla completa distruzione della sanità e dell’istruzione pubbliche, al totale soggiogamento dell’economia alle esigenze non della popolazione ma delle potenze straniere (vedi tabella 1). In Zambia come effetto di questo piano l’aspettativa di vita è passata da 54,4 anni nel 1991 ai 42,6 del 1997.
L’esito di questo programma non è certo stato "risolutivo". Dei 41 paesi inseriti in questo progetto solo 36 erano nell’aprile 2000 considerati tra i Hipc e solo 3 di questi hanno dichiarato di aver ridotto il debito e di una percentuale non superiore al 35% (sono la Bolivia, l’Uganda e la Mauritania). Dopo un estenuante periodo di negoziazione al ribasso per rientrare in questo piano, oggi solo 22 paesi potranno vedere una diminuzione degli interessi sul debito nei prossimi anni: si pensi che l’Ocse considera ben 187 i paesi estremamente poveri!
Il "debito sostenibile"
Anche a sinistra si è vista una riedizione di queste idee, con la proposta di riduzione del debito estero dei paesi poveri fino a riportarlo ad un livello giudicato "sostenibile". Questo appello, partito direttamente dal Vaticano, sembra aver fatto luccicare gli occhi di molte personalità anche legate al movimento di Seattle ed alla sinistra più in generale. Un paese avrebbe un debito giudicato insostenibile se, ad esempio, questo avesse una somma di interessi e di capitale da rimborsare che supera il 200% delle sue esportazioni. In questo caso si procederebbe ad una riduzione sino alla soglia di sostenibilità, ovviamente solo a patto che il paese interessato segua per filo e segno per un periodo di sei anni un Piano di aggiustamento strutturale sotto il controllo del Fmi. L’inserimento di qualsiasi parametro, fosse anche il più "sociale", non risolverebbe nessun problema, l’esistenza del debito e del meccanismo degli interessi su di esso rimarrebbe in piedi e questo porterebbe alla perpetuazione infinita di questo meccanismo. Il concetto del "debito sostenibile" è semplicemente di fermarsi un attimo prima di aver ammazzato la bestia da soma, in modo da continuare a sfruttarla fino all’osso.
Quale via d’uscita?
Se le risorse del mondo coloniale fossero usate razionalmente sulla base di un piano internazionale di produzione, i problemi della povertà e della fame nel mondo potrebbero essere risolti in un lasso di tempo relativamente breve.
Fu il movimento rivoluzionario delle masse di questi paesi a porre fine al dominio diretto dell’imperialismo su questi paesi e dovrà essere il risveglio di queste a porre nuovamente sul campo la questione dello sviluppo armonico di questa società. Persino lo sviluppo economico del capitalismo del secondo dopoguerra ha permesso non già di risolvere, ma nemmeno di alleviare le sofferenze per queste popolazioni, e questo deve già suonare come una condanna per il sistema capitalista stesso. Questi paesi sono stati dissanguati in questi anni più ancora che in passato. Nonostante l’indipendenza formale abbia rappresentato uno sviluppo progressista nessun problema fondamentale è stato ad oggi risolto. Si è calcolato che i paesi del terzo mondo avrebbero versato nelle casse dei paesi ricchi dal 1980 in poi una cifra non inferiore a 3.350 miliardi di dollari, ovvero una spesa equivalente a quella di circa 42 Piani Marshall: un aiuto veramente "originale" per lo sviluppo dell’imperialismo che si è dimostrato un vero e proprio vampiro insaziabile. È per una presa di coscienza del movimento operaio internazionale contro la perpetuazione delle cause di questo scempio che dobbiamo lottare. La cancellazione incondizionata ed unilaterale del debito estero, come l’esproprio delle multinazionali e l’istituzione di un piano internazionale di produzione, devono tornare ad essere inserite nelle rivendicazioni e nei programmi di tutte le organizzazioni dei lavoratori, e tornare ad essere discusse e proposte in tutti i movimenti che si battono per la trasformazione di questa società.
Tabella 1
Spese per la salute e per gli interessi sul debito
Spese Spese per
Paese sanitarie interessi %
sul debito
Nigeria 960 3375 352%
Kenya 375 720 192%
Costa d’Avorio 334 720 216%
Zambia 117 586 501%
(*) Dati in milioni di dollari