Alcuni dati sulla crisi in corso
La profondità della recessione non si può desumere esclusivamente dal dato del Pil (che spesso è soggetto a manipolazioni statistiche). Ad ogni modo, giova ricordare che, per la prima volta da otto anni, nel secondo semestre del 2001 il Pil americano sarà negativo. Ma guardando i dati singoli, la situazione appare molto peggiore.
Partiamo dalla disoccupazione, che è aumentata dal 4 al 5,4% negli ultimi mesi (e di 500mila unità solo a settembre). Negli Usa, già ora, agli inizi della recessione, ci sono più disoccupati che negli ultimi dieci anni. In Giappone il tasso di disoccupazione è il più alto dal dopoguerra, in Europa sta aumentando rapidamente. Solo negli ultimi mesi sono stati annunciati 700mila licenziamenti da parte delle grandi imprese. In alcuni casi (Toshiba, Fujitsu, Motorola, Nortel, Ericsson, DaimlerChrysler, Boeing ecc.) si tratta di 20-30mila esuberi tutti assieme. I tagli sono causati dal crollo dei profitti, ma conducendo a un drastico calo dei consumi (i disoccupati non sono molto propensi a spendere), segnalano ulteriori cali dei profitti. Si consideri solo questo caso emblematico: il 6 novembre, il colosso dell’informatica Cisco (che ha visto le proprie azioni crollare del 90% l’anno scorso) ha annunciato che nell’ultimo trimestre le sue vendite sono diminuite del 32% e il guadagno per azione del 75%, e il titolo è salito del 7%, perché la borsa si aspettava notizie ancora peggiori…
La produzione industriale è in calo da 15 mesi, il più lungo periodo dagli anni ’30. I servizi, che come sempre seguono con un certo ritardo l’industria, hanno cominciato a frenare solo quest’anno, ma il crollo è stato più rapido. A settembre, l’indice Napm-servizi, che segnala l’espansione o la contrazione del settore, è crollato da 50 a 40 punti, il più brusco crollo da vent’anni. Infine, gli investimenti, che sono il motore del ciclo capitalistico, hanno registrato nell’ultimo semestre un calo medio dell’8%, ma la cosa più interessante è che nei settori della "new economy" il crollo va dal 10 al 20%, perché sono i settori dove è più concentrata la sovrapproduzione. I dati giapponesi ed europei sono solo leggermente migliori, ma peggiorano rapidamente. Le ultime stime dicono che l’economia mondiale crescerà dell’1,5%-2% nel 2002, il dato più basso da trent’anni, ma probabilmente sarà anche peggiore.
Bolle speculative, debiti e deflazione
Negli ultimi anni si è fatto un uso assolutamente senza precedenti del credito, della creazione di moneta fittizia, oltre che di un supersfruttamento della classe lavoratrice dei paesi arretrati e avanzati. Se lo strapotere dell’imperialismo ha permesso lo sviluppo del commercio mondiale, ha anche ridotto il potere d’acquisto dei salari, aggravando la crisi che si stava preparando. Hanno coperto tutto questo consentendo ad aziende e famiglie di indebitarsi a livelli stratosferici. Ora ne pagano il conto in termini di un’immane massa di debiti, deflazione, una classe lavoratrice impoverita persino durante il boom.
Nel 1980 le richieste di fallimento in Usa erano 330.000. Nel 1991, l’anno dell’ultima recessione, erano 940.000; negli ultimi cinque anni, un quinquennio di boom e dunque, si suppone, di ricchezza e benessere, non sono mai scese sotto il 1.200.000, di queste circa 100.000 riguardano ragazzi. Già, perché l’80% degli adolescenti americani ha una carta di credito… Ma oltre alle famiglie, anche le imprese americane sono immerse nei debiti sino al collo e alcuni nomi gloriosi stanno fallendo (Polaroid, Bethleem Steel…). La banca centrale americana ha avvertito da tempo che il rapporto debito/reddito è al livello massimo da sempre. E questo, ricordiamolo, dopo dieci anni di crescita economica. Vi è infine da ricordare che il deficit commerciale, che ormai raddoppia ogni tre anni è già pari a oltre 400 miliardi di dollari. Di questo passo, o gli Stati Uniti bloccano questa crescita (ovvero costringono il resto del mondo a non esportare più), o rischiano il crollo del dollaro e dunque di Wall Street. Quale soluzione sia peggiore per l’economia mondiale, nessuno può dirlo.
In Asia la situazione non è migliore. L’entità dei prestiti irrecuperabili è salita al 30% del Pil dell’area e il paese più importante, il Giappone, ha un rapporto debito pubblico/Pil pari al 150%. Ricordiamo che in Giappone, il crollo della borsa e dei prezzi degli immobili, che va avanti dal 1990, ha distrutto 17 milioni di miliardi di lire, una cifra pari a circa otto volte il Pil italiano.
Quali rimedi
Il 6 novembre, la Federal Reserve ha tagliato i tassi d’interesse per la decima volta nell’anno, la terza dopo l’attacco. La frequenza di questi tagli non ha precedenti nella storia americana e ha condotto i tassi al livello più basso da quarant’anni. Ora, i tassi reali sono negativi. Questa frenesia è senza dubbio un segnale di disperazione e dimostra che i vertici dell’amministrazione Usa iniziano a rendersi conto della profondità della crisi. A questi continui tagli si è aggiunto il piano di stimolo di 155 miliardi di dollari. Le previsioni di una ripresa per il 2002 non hanno alcuna base scientifica, sono proiezioni delle speranze della classe dominante.
Un ultimo elemento decisivo è il crollo del commercio mondiale, che nel 2000 cresceva ancora del 12% e che nel primo semestre del 2001 è cresciuto del 2%. Il blocco degli scambi significherà disastri per i paesi sottosviluppati (come dimostrano i conflitti nell’attuale vertice del Wto in Qatar) che potrebbero vedere scendere le loro esportazioni di un 10% complessivo.
In questo contesto sarà necessario non poco tempo prima che qualche misura di "stimolo", fiscale o finanziaria, convinca i capitalisti a investire.